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Andrea Cozzolino

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«Il Mezzogiorno è tornato al centro del confronto politico, ma allo stesso tempo vedo riproporsi antiche divisioni tra l’Italia del Sud e del Nord che hanno fatto tanti danni sia all’Italia del Sud che a quella del Nord. Questo perché negli ultimi dieci anni, per via di politiche di contenimento della spesa pubblica e delle ideologie che si sono andate affermando sul federalismo fiscale, le due realtà del Paese si sono sempre più allontanate, con conseguenze enormi sull’economia e sulla società di entrambe le aree del Paese. L’euro – che di per sé è un fattore che su aree monetarie differenti produce asimmetrie – ha indebolito ulteriormente il Mezzogiorno, ma ha anche reso più fragile l’economia italiana e quindi anche del Nord».

Andrea Cozzolino, europarlamentare del Pd e responsabile per la coesione territoriale del partito, interviene sul dibattito che si è aperto nel Paese con l’introduzione della fiscalità di vantaggio per il Sud – provvedimento inserito nel decreto Agosto appena varato dal governo – ma con la centralità che la questione meridionale è tornata ad avere nel Paese anche su impulso delle istituzioni europee che hanno posto la ricomposizione delle fratture territoriali tra le condizioni per l’assegnazione delle risorse del Next Generation Eu.

Il Covid 19 ha prodotto uno stravolgimento epocale nella politica dell’Unione Europea.

«L’Europa ha preso atto degli effetti che il coronavirus ha introdotto nella vita e nelle condizioni economiche dei cittadini europei, e del fatto che non si può uscire da questa situazione lasciando interi territori, e milioni di cittadini, in condizione di svantaggio permanente. Queste due intuizioni hanno prodotto una svolta di cui il Recovery Plan è solo un aspetto, dovranno essere messi in campo altri strumenti perché la crisi è profonda e sta accentuando problemi che ci portiamo dietro dalle crisi precedenti e che si scaricano sul lavoro, creando vuoti enormi sul piano sociale, con centinaia di migliaia di persone che perdono il lavoro e tanti giovani che forse non avranno mai un’esperienza di lavoro stabile. Di fronte a tutto questo si è messa in campo una svolta che il governo, a mio avviso, sta cercando di interpretare accompagnando gli strumenti adottati per aggredire l’emergenza con l’idea di costruire un’economia più robusta e in grado di competere, affrontando nodi strutturali, come la bassa produttività, e il dramma di avere una parte del Paese profondamente arretrata e che non ce la fa a marciare, che è il grande tema del Sud».

Pensa che il timore di una maggiore affermazione dei sovranisti in Europa abbia contribuito all’allentamento dei cordoni della borsa da parte dell’Europa?

«C’è sempre una componente politica, ma ciò che ha scosso i gruppi dirigenti europei, consentendoci di fare cose fino a poco tempo inimmaginabili, credo sia stata essenzialmente la pandemia che ci ha costretto a chiudere le nostre società per mesi, ha bloccato le nostre produzioni. E ancora dominerà la scena politica, economica, sociale e sanitaria dei prossimi mesi, perché come vediamo la partita non è affatto chiusa: intorno all’Italia ci sono pericoli significativi, dalla Francia alla Germania, all’Europa dell’Est».

La fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno ha generato parecchi malumori…

«… Anche nel Pd. Questo appartiene a una vecchia discussione che spero possa essere al più presto archiviata. Non si fanno i conti con una verità storica: ci sono studi, pubblicazioni, non ultimo il lavoro prezioso che il vostro giornale sta facendo, che dimostrano che negli ultimi dieci anni il Nord ha vissuto sostanzialmente sulle spalle del Mezzogiorno. Gran parte degli investimenti pubblici si sono concentrati nel Nord, come gran parte delle risorse per settori chiave come l’università, la sanità nelle realtà del Centro Nord. Abbiamo fatto contenimento della spesa pubblica concentrando le risorse in una sola parte del Paese, con una doppia penalizzazione per il Sud che oltre ad avere meno investimenti ha subito anche l’inasprimento della leva fiscale. Questo ha prodotto un ritardo di sviluppo crescente e tale che all’arrivo del Covid ancora non aveva superato la crisi del 2008-2009. Servono pertanto misure shock e la fiscalità di vantaggio è in grado di produrre effetti per un lungo ciclo».

Il Pd, con le sue due anime, quella nordista e quella meridionalista, sembra lo specchio del dualismo del Paese.

«Se c’è un limite nel Pd è l’esser stato un selezionatore di classi dirigenti locali soprattutto al Nord, più che un partito società, di coesione nazionale. Questi amministratori sentono di dover stare su un terreno competitivo, che chiede di più per il Nord. È uno schema che bisogna rompere perché è interesse del Nord che i cittadini e le imprese del Sud possano conoscere una fase di sviluppo. Il futuro di questo partito si misurerà anche sulla capacità di saper rispondere all’enorme sfida che viene da questa emergenza sanitaria, economica e sociale, e chiama in causa un progetto per il Paese che è pienamente integrato in una duplice sfida Europa-Mediterraneo».

Intanto i governatori di Emilia Romagna, Toscana e Campania, tutti del Pd, si sono lasciati sedurre dalle sirene dell’autonomia differenziata.

«Dobbiamo considerare se un certo regionalismo non sia stato la causa dell’aggravarsi di alcuni nostri problemi più che la soluzione: guardiamo a quello che è successo con la sanità, il modo in cui abbiamo distribuito le risorse e garantito la sicurezza sanitaria. C’è una responsabilità complessiva su cui lo Stato e le classi dirigenti, a cominciare dal Pd, dovrebbero aprire una riflessione per avere un regionalismo più maturo. Il ministro Boccia credo sia arrivato a un buon punto. Ci vuole una grande cabina di regia sulla distribuzione di risorse in settori fondamentali, sanità, scuola, università: perché un cittadino della Calabria o della Sicilia deve avere meno chance per curarsi rispetto a uno di Torino o Bergamo?»

Le misure per il Mezzogiorno hanno provocato mal di pancia anche nel mondo confindustriale e imprenditoriale del Nord.

«Mi stupisce che una grande organizzazione come Confindustria non sia riuscita a individuare una guida in grado di meglio rappresentarla in questo momento storico. Ma c’è una Confindustria anche nel Mezzogiorno, dove c’è la possibilità di reinvestire molte risorse sul reshoring, riportando nel ciclo produttivo europeo e meridionale quanto è stato delocalizzato per far leva sul minor costo del lavoro in altre parti del mondo.

È una grandissima opportunità per la ripresa produttiva e innovativa del tessuto italiano. Senza il Mezzogiorno il Paese non ce la fa. Si aprono sfide enormi nel campo delle infrastrutture, delle energie rinnovabili in tutto il Mediterraneo. Agli amici del Nord dico che abbiamo di fronte un’occasione importante se giochiamo una partita internazionale con l’Europa: c’è il tema della ricostruzione del Libano, della Libia, c’è un grandissimo campo in cui possiamo sperimentare una nuova fase di crescita e sviluppo, ma non possiamo farlo se non rimettiamo in piedi il Mezzogiorno e loro devono aiutarci perché è anche nell’interesse della piccola e media impresa del Nord».

La fiscalità di vantaggio da sola non basta.

«Alla ripresa degli investimenti pubblici di qualità – che puntino sull’innovazione, non solo sull’alta velocità – e alla fiscalità di vantaggio, bisogna accompagnare la ricostruzione dello Stato nel Mezzogiorno, perché non c’è più. Facciamolo con l’aiuto dell’Europa, riportando i giovani di talento che prepariamo nelle nostre università. Abbiamo una burocrazia anchilosata e una pubblica amministrazione senza più classe dirigente. Non riusciamo a spendere le risorse perché possiamo avere le idee più innovative, ma non abbiamo le gambe per far viaggiare i progetti. Facciamo con lo Stato un patto per ricostruire lo Stato nel Mezzogiorno. Se fra tre anni avremo i nostri ragazzi migliori a dirigere le Regioni, i Comuni, la Pa, avremo fatto un pezzo importante del cammino della nuova Italia che vogliamo costruire».


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