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Le infrastrutture restano uno dei nodi dello sviluppo del Sud

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Il Fondo per le Infrastrutture cambia nome e resta a secco: il Decreto coesione vuole ridurre il gap fra le due Italie ma non ha coperture finanziarie per due anni

C’E’ UN articolo del Decreto coesione, il provvedimento che ha ridisegnato la politica per le aree più deboli del Paese che davvero si fatica a comprendere. Precisamente, i comma 1-4 dell’articolo 11 che recitano, testualmente, “Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale per il Mezzogiorno”. Fin qui tutto bene. Ed è condivisibile anche l’obiettivo: ridurre il gap che ancora esiste fra Nord e Sud sul fronte delle ferrovie, delle risorse idriche, delle strutture portuali e aeroportuali, della sanità e della scuola. Solo che, leggendo con attenzione il testo e, soprattutto, scorrendo il dossier che il servizio studi della Camera ha dedicato al decreto, si ha la sgradevole sensazione di trovarsi di fronte al più classico dei giochi, quello delle tre carte, dove l’unica cosa certa è che, alla fine della partita, ci si ritrova con le tasche praticamente vuote.

Più o meno quello che succede al Mezzogiorno. La prima carta vale più o meno 4,6 miliardi di euro: è la dote del Fondo di perequazione delle infrastrutture, nato nel 2009, insieme con la legge sul federalismo fiscale. Soldi che avrebbero dovuto essere spesi dal 2022 al 2033 con un cronoprogramma già definito. Ovvero: 100 milioni per il 2022, 300 milioni all’anno dal 2023 al 2027, 500 milioni dal 2028 al 2033. La seconda carta è quella giocata con il decreto coesione. Il governo, infatti, decide di cambiare il nome al vecchio fondo del 2009 aggiungendo la parolina “meridionale” e, soprattutto, precisando, al comma 2, che “è destinato al finanziamento dell’attività di progettazione e di esecuzione di interventi da realizzare nei territori delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, Sardegna e relativi a infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali, idriche, nonché a strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche”. Ed è a questo punto che il gioco diventa più complicato. Perché, sempre nella scheda di lettura del decreto si scoprono due cose. La prima è che, con la legge Finanziaria di quest’anno, il governo ha “fortemente definanziato” il fondo sottraendo oltre 3,5 miliardi di euro. Il risultato è che ora, per la perequazione infrastrutturale Nord-Sud necessaria per compensare le nuove norme sul federalismo fiscale, restano in cassa appena 1,2 miliardi. Ma la seconda sorpresa è che, si legge sempre nel rapporto del servizio studi, “la dotazione risulta azzerata per le annualità 2024-2026 e presenta soltanto una disponibilità di 100 milioni per ciascuna annualità dal 2027 al 2033 (700 milioni complessivi)”. Mancherebbero all’appello, insomma, circa 500 milioni.

Per riassumere: con la prima carta abbiamo visto un fondo di perequazione, con la seconda le risorse e con la terza tutti i soldi, almeno per i prossimi due anni, sono spariti. Una svista? No, perché il decreto prevede, in realtà, che le risorse per la “perequazione infrastrutturale” fra Nord e Sud saranno definite in un prossimo Dpcm che sarà adottato su proposta del Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, di concerto con quello per gli affari regionali e le autonomie, delle infrastrutture e dell’economia, previa intesa in sede di Conferenza unificata”.

Un provvedimento che dovrebbe anche essere coordinato con il nuovo piano strategico della Zes Unica per il Sud da approvare entro luglio. Resta il fatto che, per ora, le somme stanziate dal governo sono meno di un terzo rispetto a quelle originarie. Tanto che l’Ance, l’associazione dei costruttori, ha già chiesto il ripristino delle risorse. Vedremo fra qualche settimana quale carta giocherà ancora il governo sul tavolo del Mezzogiorno. E se, soprattutto, riuscirà a trovare nelle pieghe del bilancio la soluzione per rimpinguare la dote del Fondo di Perequazione. Sarà in ogni caso difficile recuperare il tempo perduto negli ultimi due anni e, soprattutto, prevedere un’accelerazione della spesa per il 2024. Per ora ha vinto il banco. Vedremo se con la prossima mano riuscirà a piazzare un punto anche il Sud.


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