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Il porto di Gioia Tauro

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Priolo-Augusta, Gioia Tauro e il triangolo Bari-Brindisi-Taranto: tre gioielli del Mezzogiorno con potenzialità enormi che da soli potrebbero aumentare il Pil del Sud di oltre due punti

Se riuscissimo a trasformare una rendita di posizione teorica in rendita di posizione reale forse potremmo rivendicare un ruolo fondamentale nella offerta logistica e commerciale del Mezzogiorno del Paese. Voglio fare tre esempi relativi ad ambiti territoriali del Sud per dimostrare quanto sia stato miope non leggere in modo capillare la miriade di potenzialità possedute da questi tre siti che da soli potrebbero incrementare il PIL del Sud di oltre due punti percentuali.

TRE GIOIELLI DEL MEZZOGIORNO: PRIOLO-AUGUSTA

Comincio con la realtà di Priolo Augusta e le sue interazioni con un hinterland che, oltre alla realtà produttiva del vasto ambito industriale siracusano con i Comuni di Lentini e di Rosolini, coinvolge direttamente e indirettamente realtà ubicate anche in siti molto lontani ma in cui sono da sempre presenti attività legate alla manipolazione ed alla movimentazione di filiere logistiche essenzialmente legate al comparto agro alimentare.

Siamo in presenza di potenzialità e di centri per la ottimizzazione dei processi intermodali come l’interporto di Catania o la piastra industriale di Priolo che non hanno singolarmente raggiunto livelli di adeguata efficienza funzionale ma, cosa ancor più grave, non hanno mai immaginato quanto sarebbe stato efficace interagire le proprie potenzialità e, soprattutto, come sarebbe stato utile gestire localmente, insisto localmente, il valore aggiunto prodotto dalle attività logistiche e dalle attività legate alla manipolazione e, alla trasformazione, di alcuni filiere merceologiche.

OLTRE 11 MILIONI DI TONNELLATE DI MERCI PRODOTTE E MOVIMENTATLE

Ebbene, analizzando dettagliatamente la tipologia dei prodotti e la dimensione e la logica legata alla aggregazione delle varie filiere e la relativa distribuzione, ci troviamo di fronte a due dati che da soli ci portano ad un maxi dato relativo al possibile valore aggiunto davvero rilevante: tolte le quantità legate al comparto energetico, trasformate e movimentate nel porto di Augusta, la quantità globale delle merci prodotte e movimentate in questa vasta area orientale della Sicilia, supera la soglia di 11 milioni di tonnellate e tutto questo produce, solo per quanto concerne le ricadute nel comparto logistico margini pari a circa 120 milioni di euro all’anno.

Questo margine per oltre l’80% viene assorbito da attività imprenditoriali esterne all’area in cui si generano i processi produttivi, commerciali e logistici. La causa è solo una: non esiste un organismo capace di gestire in modo manageriale ed in modo unitario l’intero processo. Non esiste in realtà una Società per Azioni, con rilevante partecipazione privata, che contenga al suo interno sia i siti della movimentazione (porti, interporti, aeroporti), sia quelli della produzione sia industriale che agricola, sia quelli della trasformazione, sia le filiere logistiche su gomma e su ferro. In realtà questo rilevante HUB logistico che annualmente assicura un margine di 120 milioni di euro, come dicevo prima, non solo non è gestito da nessuno ma, ancora peggio, non lascia nulla al Mezzogiorno e, addirittura, trasferisce in altri ambiti del Centro, del Nord e dell’Europa, i margini prodotti nel Sud.

GIOIELLI DEL MEZZOGIORNO, IL PORTO DI GIOIA TAURO

Un’altra interessante realtà è quella di Gioia Tauro; una realtà che da sola potrebbe motivare il coinvolgimento non di singoli siti come fatto per l’HUB siciliano ma l’intero assetto regionale. Elenco solo delle realtà produttive come quella di Vibo, di Nicastro, di Sambiase, di Castrovillari, di Crotone, di Rossano, di Corigliano, di Cirò per capire che se si riuscisse a far interagire le singole aree con un nodo della movimentazione come Gioia Tauro o come i potenziali siti finalizzati alla aggregazione delle produzioni ed alla loro manipolazione, automaticamente trasformeremmo una produzione di circa 5 milioni di tonnellate di prodotti in una ricchezza, legata solo alle attività logistiche, di oltre 70 milioni di euro all’anno.

UNA POTENZIALE RICCHEZZA PER IL TERRITORIO DI OLTRE 70 MILIONI DI EURO L’ANNO

Questo valore, sicuramente in difetto, rappresenta il margine che annualmente questa terra di Calabria genera e che annualmente regala, per oltre il 90%, ad altre realtà economiche del Paese. Come nel caso dell’area siciliana anche per questa calabrese stiamo parlando solo del margine prodotto per le attività logistiche; se invece l’analisi economica la affrontassimo in modo più ampio scopriremmo soglie economiche ed occupazionali molto più elevate, scopriremmo cioè come la tessera del mosaico economico del Mezzogiorno annualmente sia la base per una produzione i cui vantaggi vengono quasi integralmente acquisiti da altre realtà del Paese.

Anche in questo caso la responsabilità è da identificare proprio nell’assenza di una Società per Azioni che possa gestire in modo organico un core business che spesso, pur riconoscendolo, non siamo stati in grado di riportarlo all’interno di una gestione manageriale unitaria e, soprattutto, non siamo stati capaci di annullare provincialismi patologici che hanno sistematicamente marginalizzato realtà con elevata potenzialità produttiva come quella del crotonese o dei siti di Corigliano e di Cirò.

GIOIELLI DEL MEZZOGIORNO, IL TRIANGOLO BARI-BRINDISI-TARANTO

La terza area è quella del sistema triangolare Bari – Brindisi – Taranto. In questo caso la base produttiva, con rilevanti articolazioni commerciali dalla produzione di acciaio alla produzione agro alimentare, supera la soglia di 12 milioni di tonnellate e trova in una vasta serie di siti come quello di Bari Lamasinata, di Monopoli, di Barletta, di Molfetta, di Gioia del Colle, di Martina Franca o di Francavilla Fontana, i riferimenti chiave per il sistematico assetto produttivo di merci con elevato valore aggiunto. In questo caso possiamo stimare un margine, solo per la componente logistica, superiore ai 150 milioni di euro all’anno. Un sistema territoriale che da oltre dieci anni contiene al suo interno una bomba sociale, quella della emergenza Taranto, davvero grave con una crisi occupazionale di oltre 20.000 unità.

Un triangolo davvero strategico in quanto adeguatamente collegato sia con assi viari che ferroviari e che, addirittura potrebbe anche gestire in modo unitario la portualità di Brindisi e quella di Taranto; esiste infatti un asse ferroviario tra Brindisi e Taranto che potrebbe essere, come dichiarato da sempre, un ottimo canale secco fra i due nodi logistici. Anche in questo caso una Società per Azioni potrebbe superare la grave crisi del centro siderurgico di Taranto e, al tempo stesso, costruire le condizioni per gestire le convenienze, per ottimizzare le potenzialità possedute da un sistema che offre al Paese un valore aggiunto di oltre 3 miliardi di euro all’anno e mantiene di tale valore nella propria realtà territoriale appena il 15%.

TRE SOCIETÀ PER AZIONI PER RILANCIARE I GIOIELLI DEL MEZZOGIORNO

Tre Società per Azioni, con rilevante partecipazione privata, che non devono aspettare la istituzione delle Zone Economiche Speciali (ZES). Zes definite con Decreto Legge sei anni fa e, escluso qualche raro caso, rimaste interessanti annunci strategici utili per la serie di campagne elettorali che si sono tenute in questi sei anni. Tre Società per Azioni che potrebbero essere create se un pool di banche decidesse di diventare catalizzatore di queste potenzialità socio economiche misurabili. Tre Società che finalmente denuncerebbero quanto il Mezzogiorno trasferisce al Centro Nord in termini di convenienze e di crescita economica; tre Società che trasformerebbero le ormai quasi irreversibili aree di crisi in polmoni per lo sviluppo.

Sono sicuro che l’intelligenza economica, sì quella dei grandi analisti, metterà in dubbio i macro dati da me riportati prima; è una tipica forma comportamentale di chi non accetta o non vuole accettare gli indicatori reali e preferisce sempre ritenere marginali alcuni fenomeni presenti nelle aree prima indicate o poco conveniente investire in tali ambiti perché, come al solito, c’è il rischio di una presenza di attività malavitose oppure c’è il rischio di una scarsa qualità manageriale. C’è però da ricordare a questa élite di intellettuali che una parte del 65% del PIL che si produce in sole 5 Regioni del Paese (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto) contiene, come lievito di base, una forte percentuale prodotta non nell’intero Mezzogiorno ma solo nelle tre realtà portate come esempio. Il Governo ed il mondo della finanza una volta tanto affronti questa tematica in modo organico e convinto.


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