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DAL 2015 a oggi, dopo un arco temporale di oltre sette anni, il comparto delle costruzioni è stato, anno dopo anno, distrutto. In realtà in più occasioni abbiamo ricordato dei dati che da soli denunciano una simile crisi come: il fallimento di 120.000 imprese, la perdita di 600.000 posti di lavoro, il ridimensionamento sostanziale della partecipazione dell’intero comparto nella formazione del Prodotto interno lordo: dal 12- 14% ad appena il 4-5 %. Ma ora sono esplosi ulteriori fattori come l’aumento del costo delle materie prime, l’aumento del costo della energia e la guerra in Ucraina che hanno destabilizzato ulteriormente l’intero settore delle costruzioni. E il nostro Paese, di fronte a una simile ormai consolidata emergenza, continua a discutere su un disegno di legge delega sulla riforma degli appalti.
IL CALENDARIO PREVISTO
Infatti il Parlamento, in seconda lettura, sta seguendo l’esame di un provvedimento che deve rispettare una cadenza temporale che riporto di seguito da cui si evince quanto sia disattesa, nel nostro Paese, la cultura del fattore tempo, quanto sia assente la coscienza della urgenza a dare attuazione a un’organica azione di infrastrutturazione. Riporto, quindi, di seguito il calendario previsto proprio dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: dopo l’adozione del decreto legge in materia di semplificazioni del giugno 2021 si prevede una riforma complessiva del quadro legislativo in materia di contratti pubblici con la seguente tempistica:
- 1) Entro giugno 2022 l’entrata in vigore della legge delega ora all’esame del Parlamento.
- 2) Entro marzo 2023 l’entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi.
- 3) Entro giugno 2023 l’entrata in vigore di tutte le altre normative (primarie e subprimarie)
- 4) Entro dicembre 2023 il pieno funzionamento del sistema nazionale di e-procurement.
Sembra davvero incredibile ma, purtroppo, questa cadenza che praticamente ci porta al 2024, non solo è vera ma fa parte integrante, come detto prima, dello stesso Pnrr. Non solo, ma mentre si discute sull’avvio di una riforma contestualmente si continuano a produrre comunicati stampa in cui si assicura il trasferimento di cospicue risorse per le reti metropolitane. Nello specifico si raccontano nei minimi particolari impegni già assunti in passato dal ministro Delrio nel 2016, dal ministro Toninelli nel 2018 e dalla ministra De Micheli nel 2020.
GLI INTERVENTI RINVIATI ALL’INFINITO
Sono tutti interventi già presenti, addirittura, nel Programma delle Infrastrutture strategiche previsto dalla legge 443/2001 (legge Obiettivo). Risorse che all’epoca erano state rese già disponibili ma poi, a partire dal 2015, bloccate dai vari governi per garantire la copertura delle leggi sull’aumento dei salari minimi, sul reddito di cittadinanza e sul provvedimento “quota 100”.
Ebbene, la Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 29 marzo, ha approvato 4,8 miliardi di investimenti per 15 nuovi progetti di metropolitane e tramvie per cinque grandi aree urbane come Genova, Milano, Napoli, Roma e Torino. Se si considerano le risorse già assegnate dal Recovery Plan (2,4 miliardi di nuovi fondi più 1,2 di vecchi fondi) si arriva a un totale di 8,4 miliardi di euro per il trasporto rapido di massa. Ma proprio perché sono convinto che questo comunicato e questi dati saranno, fra un anno o fra due anni, riprodotti integralmente senza che contemporaneamente sia partito un cantiere, ritengo opportuno elencare, come già fatto da diversi quotidiani, i vari interventi con i relativi importi. Riporto (vedi la tabella in alto) solo quelli assegnati ultimamente perché gli altri 3,6 miliardi di euro, essendo rimasti “dichiarazioni di volontà”, è utile evitare di continuare a menzionarli. Esclusi tre interventi di cui si dà copertura solo dei progetti di fattibilità e relativi alla nuova linea metropolitana M6 ramo Sud e al prolungamento M3 San Donato-Asta Paullese, la cui copertura prevista è di 10 milioni, e il collegamento tra la stazione di Afragola e la rete metropolitana di Napoli, pari a 794,87 milioni di euro, il resto sono vecchi “ricordi”, vecchi impegni programmatici che, come detto prima, fino al 2015 avevano anche trovato coperture nelle varie leggi di bilancio.
Questo dettagliato quadro programmatico e questo rilevante volano di risorse trovano come riferimento procedurale, per dare concreto avvio ai lavori, uno strumento che da anni si cerca di riscrivere, si cerca di reinventare e che proprio in questi giorni, come detto prima, è oggetto di esame (in seconda lettura) in Parlamento.
IL CASO RAGGI E IL SUD PENALIZZATO
Per Roma sorge subito un primo interrogativo: ma la ex sindaca di Roma Virginia Raggi sapeva che in base a un calendario noto, quello che giornalmente usiamo per definire i nostri impegni di lavoro, cioè il lunedì, il martedì, il mese, l’anno, ecc., nel 2025 ci sarebbe stato a Roma un evento chiamato “Giubileo”? Come mai nel 2017, 2018, 2019, 2020, 2021 non era stato fatto e chiesto nulla al governo, mentre l’esigenza più urgente per la ex sindaca era stato il progetto di una cabinovia molto simile a quelle già utilizzate nelle località sciistiche nel resto d’Italia? In particolare il progetto prevedeva sette stazioni: Battistini, Acquafredda, Montespaccato, Torrevecchia, Campus, Collina delle Muse-Grande Raccordo Anulare e Casalotti? È inutile ricercare responsabilità su un passato vicino, cerchiamo invece di porre fine, una volta per tutte, a queste giornaliere comunicazioni di risorse, cerchiamo di porre fine a questi elenchi che, tra l’altro, testimoniano che su 4.427 milioni di euro, al Mezzogiorno vanno solo 794,87 milioni di euro, cioè solo il 18% (dov’è l’ex ministro Provenzano che aveva dichiarato: «Ogni azione programmatica dovrà garantire almeno il 40% al Sud»?).
DI OBIETTIVI SI MUORE
Evitiamo di garantire l’attuazione di opere definite da anni e rimaste poi solo sulla carta “obiettivi essenziali per lo sviluppo delle nostre grandi realtà urbane”. Aveva ragione un grande urbanista come Marcello Vittorini: «Nelle nostre realtà metropolitane di obiettivi si muore».
La mia non è una forma di pessimismo ormai consolidato, perché il pessimismo di solito si vive quando si denunciano esperienze future che non trovano conferme in comportamenti del passato. La lunga esperienza degli ultimi sette anni annulla ogni possibile critica di pessimismo nei miei confronti.
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