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Il “caso Pedemontana” finisce in Parlamento. Pedaggi alle stelle, costi non più sostenibili, un mix di calcoli errati e di flussi dimezzati. Un flop che rischia di pesare per i prossimi due decenni sulle tasche dei veneti e sui conti della Regione e servirà a stabilire un nuovo primato europeo: 15 miliardi di euro. La superstrada più cara d’Europa. In passato era stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Inca, a esprimere le sue perplessità per la cifra che in 39 anni la Regione guidata dal presidente Luca Zaia dovrà corrispondere al concessionario, 12 miliardi e 108 milioni, cui si aggiungono i finanziamenti erogati dallo Stato e dall’ente locale. A raccogliere la denuncia, rilanciata dal Quotidiano del Sud, è la senatrice 5Stelle Orietta Vanin che ha presentato un’interrogazione urgente al ministro alle Infrastrutture e alla sostenibilità della mobilità, Enrico Giovannini. L’atto di sindacato ispettivo riassume la gestione travagliata.

LA TELA DI PENELOPE

Progettata come superstrada a pedaggio, finanziata con project financing a prevalente capitale privato e con l’apporto di fondi pubblici della regione Veneto, la Pedemontana Veneta si sta trasformando sempre più in un’idrovora che assorbe risorse. Un cantiere a peso d’oro, una delle infrastrutture più straordinariamente costose: circa 80,14 milioni + Iva al km. Ai costi non corrispondono in alcun modo i benefici: 94,5 km di  lunghezza + 68 km di opere complementari, una lunga striscia d’asfalto che, una volta ultimata, sarà data in concessione al privato costruttore per 39 anni. Al netto delle obiezioni degli ambientalisti per l’impatto sul paesaggio, resta l’“effetto Penelope”.

«La tela cucina e scucita di un’opera che avrebbe dovuto essere completata entro gennaio 2016, poi slittata a dicembre 2018 e infine a settembre 2020 senza che la Regione Veneto ritenesse di voler incassare le penali per ritardata consegna dell’opera» rileva Enrico Cappelli che, svestiti i panni di senatore 5Stelle, ha lasciato palazzo Madama ed è tornato a occuparsi del suo territorio. Suo l’esposto all’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) per stabilire che la metodologia utilizzata per quantificare il canone di disponibilità è inadeguata.

Non è infatti ammissibile che slittino i  termini di ultimazione lavori senza una corrispondente riduzione del  termine di durata della gestione. I ritardi nella consegna  dell’opera si riflettono quali mancati introiti della  gestione dell’infrastruttura.  La Corte dei conti riporta le stesse deduzioni dell’Anac, concordando sul fatto che sarebbe alterata l’allocazione del rischio di costruzione del concessionario.

RIFLETTORI SPENTI

I dubbi sulla Pedemontana si trascinano da anni. Ciò nonostante, l’influenza  del doge-governatore tiene spenti i riflettori. Il ministro alle Infrastrutture dovrà rispondere  su tutte le questioni più dolenti, elencate una per una. A partire dalla prima, che suona provocatoria, se «sia a conoscenza dei fatti esposti;  se sia a conoscenza di altra analoga infrastruttura, in costruzione in Italia, che preveda un esborso pubblico altrettanto straordinariamente elevato».

Quindi si chiede se corrisponda al vero che «la Regione Veneto ha ritenuto di non incassare le penali per ritardata consegna dell’opera e se non ritenga che, con l’assunzione da parte della Regione del connesso “rischio di disponibilità”, venga meno un requisito indispensabile per sostenere il progetto di finanza. Infine, se conosca le ragioni che hanno indotto la Regione Veneto a disapplicare la citata delibera Anac nella parte in cui stabilisce che «non è ammissibile lo slittamento del termine di ultimazione dei lavori al 30.9.2020 senza una corrispondente/adeguata riduzione del termine di durata della gestione».

La gestione della rete autostradale fa parte ormai del core business della Regione. Non pochi pensano, infatti, che dietro le ambizioni della Cav Spa, la concessionaria per metà della Regione e per l’altra metà dell’Anas che gestisce il Passante di Mestre, vi sia la necessità di finanziare la Pedemontana senza rischiare le bancarotta. Tutto nasce dalle difficoltà per il concessionario privato a far fronte al closing finanziario e dalla decisione di Cdp e Bei di non partecipare al finanziamento. Una scelta dettata da uno studio sulle stime di traffico molto inferiori alle previsioni.

Nonostante la stipula del Tac (Terzo atto convenzionale) che ha rivisto le clausole contrattuali, i dubbi su un eccesso di remunerazione del concessionario restano. Senza dire che  il nuovo schema contrattuale continuerebbe a essere in contraddizione con la ratio originaria della finanza di progetto (project financing). Il concessionario privato non rischia nulla e incassa il canone. Mentre la Regione, nel corso dei 39 anni, sborsa solo costi di gestione non quantificabili.

LE ALTRE INCOGNITE

A questo si aggiungono altri fattori e uno su tutti: i tempi di realizzazione delle interconnessioni con le autostrade A4, A31 e A27. La piena funzionalità della “Pedemontana Veneta” presuppone l’interconnessione diretta con le autostrade. Non risulta, inoltre, ancora definita la riclassificazione infrastrutturale, non si possono superare dunque i 110 km/h. A Palazzo Chigi è arrivato nei giorni scorsi un dossier dettagliato, un documento riservato che ai leghisti piace poco.

Dice, tra l’altro, che per la tratta già in funzione il pedaggio è di 0,16,420 euro al km per le auto e di circa 0,30 euro per i veicoli pesanti. Carissimo, E che i conti si pareggiano solo se vi circolano 27mila veicoli al giorno, un obiettivo ancora lontano. E Pantalone continua a pagare.


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