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PER poter comprendere perché continuo ad insistere sulla necessità e sulla urgenza di infrastrutturare in modo adeguato il Paese è necessario prendere atto di quale sia il danno causato alla economia del Paese, quale sia il vincolo alla sua crescita causato da una assenza o da una parziale offerta infrastrutturale.

Come ho ricordato pochi mesi fa dopo una serie di studi ed approfondimenti fatti dalla Banca d’Italia, dalla Confindustria, dalla Confetra abbiamo potuto stimare, in modo inequivocabile, quanto sia il danno economico che il nostro Paese subisce annualmente per la mancata disponibilità di un impianto infrastrutturale efficiente. In particolare il valore si attesta su una soglia annuale di circa 60 miliardi di euro. Ultimamente la Confcommercio ha, addirittura, dimostrato che il valore supera il valore di 70 miliardi di euro.

Ebbene questo preoccupante dato non ha trovato negli ultimi anni nessuna risposta, nessuna azione capace di ridimensionarlo. Tutti ricordiamo che nel 2008 il nostro Paese ha subito una crisi economica che ha interessato l’intero sistema planetario. La crisi ha prodotto una recessione che è durata fino agli inizi del 2013; per due anni abbiamo avuto una limitata ripresa ma dal 2015 in poi siamo praticamente rimasti in piena stagnazione. In realtà è andata, avanti anche se lentamente, una semplice inerzia procedurale: sono andate avanti, solo e in modo davvero parziale e lento, le opere del Programma delle Infrastrutture della Legge Obiettivo. In tutti i modi anche se in piena stagnazione tuttavia fino al mese di marzo dello scorso anno eravamo in grado di ipotizzare le possibili evoluzioni tendenziali della nostra offerta infrastrutturale.

Quindi nel rispetto delle fasi cicliche che caratterizzano la evoluzione e la involuzione della economia del nostro Paese prima potevano permetterci il lusso di prevedere o di anticipare quali potevano essere le possibili evoluzioni della crescita o del ridimensionamento del danno creato dalla mancata realizzazione di una adeguata offerta infrastrutturale oggi, a causa non della pandemia ma della prolungata stagnazione, siamo costretti a misurare quasi analiticamente un futuro che risentirà negativamente non della pandemia ma di questa assurda logica del “non fare”. In fondo, come ho avuto modo di ricordare altre volte la stagnazione degli anni 2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2020 oggi ci consente di anticipare, di prevedere praticamente nulla in merito ai possibili e naturali scenari di breve e medio periodo ma solo di misurare quale, coerentemente ad una naturale inerzia, sarà l’assetto infrastrutturale del Mezzogiorno nel breve e medio periodo, cioè fra dieci anni.

Per questo ritengo utile effettuare una prima analisi dei macrodati sul Mezzogiorno relativi alle opere inserite nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo e approvate dal CIPE con delibera 121 del 2001. In realtà fino al 2014, come si evince dalla Tabella allegata erano stati spesi praticamente solo 4.800 milioni di euro, dopo si sono spese solo le risorse destinate alla tratta AV/AC Napoli – Bari e si è arrivati ad un valore di 5.260 milioni di euro.

E se effettuiamo questa simulazione scopriamo che nel Mezzogiorno, non avendo attivato praticamente nulla sull’alta velocità Palermo – Messina – Catania, non avendo avviato i lavori della Ragusa Catania, seguendo lentamente per lotti i lavori della Palermo Agrigento e della Agrigento Caltanissetta, non avendo avviato tutti i lotti della strada 106 Jonica, avendo praticamente solo idee per l’alta velocità nel tratto Salerno – Reggio Calabria, non avendo accettato l’avvio dei lavori del ponte sullo Stretto di Messina, non avendo definito il progetto che collega il porto di Napoli con la piastra logistica di Nola Marcianise, nel 2030 il Mezzogiorno d’Italia disporrà della tratta AV/AC Napoli – Bari, del completamento della Linea 1 della Metropolitana di Napoli, del completamento della prima Fase della rete Circumetnea, dell’asse viario Olbia – Sassari. In realtà inseguiremo sempre la crescita ma non la raggiungeremo mai; va ricordato che è stato davvero un miracolo se, sempre grazie alla Legge Obiettivo, si sia riusciti a portare a termine sia l’autostrada Catania – Siracusa, sia l’autostrada Palermo – Messina e l’autostrada Salerno – Reggio Calabria.

Quindi nel breve e medio periodo siamo sicuri che il Mezzogiorno non disporrà di nessuna evoluzione strategica. Contestualmente, sempre seguendo la logica della inerzia, cosa succede al Centro Nord del Paese, sempre nel medio periodo si completeranno una serie di interventi garantendo un volano di risorse pari a circa 56 miliardi di euro solo per le reti ferroviarie, metropolitane e stradali principali. Appare evidente, come ho ricordato più volte, che il nord diventa praticamente una grande macro area del centro Europa; una macro area in cui il PIL pro capite può mantenere la soglia attuale pari a 40.000 euro e la sua partecipazione nella formazione del PIL nazionale superare l’attuale 67%.

Non aumenta solo il gap tra Nord e Sud ma ancora peggio: si disegna in modo irreversibile un assetto completamente antitetico a ciò che la Unione Europea, con una chiara direttiva del Direttore Generale Le Maître, aveva formalmente ribadito: “è essenziale che nel redigendo Recovery Plan il Mezzogiorno recuperi, attraverso proposte organiche e misurabili, un ruolo ed una dimensione adeguata in modo da diventare attore diretto della crescita del Paese”. Ho voluto tentare di effettuare una analisi dettagliata tra opere (solo stradali, metropolitane e ferroviarie) avviate al Sud con una chiara evidenza della lentezza della spesa, della lentezza degli avanzamenti e quindi della impossibilità nel medio termine di raggiungere livelli di efficienza funzionale e quelle avviate e supportate finanziariamente al Centro Nord.

In realtà il grave confronto lo abbiamo tra quanto finora speso per interventi strategici nel Mezzogiorno e quanto in corso di realizzazione o già definito progettualmente e finanziariamente nel Centro Nord. Il triste confronto in realtà è tra un volano di risorse di poco superiore a 5 miliardi di euro ed uno superiore ai 56 miliardi di euro. Queste distanze non si colmano con i Piani del Sud o con i Recovery Plan come quelli finora prodotti; cerchiamo, una volta tanto, di convincerci che occorre cambiare integralmente l’approccio finora seguito nei confronti del Mezzogiorno del Paese.


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