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«Datemi una leva e vi solleverò il mondo», disse Archimede. Più modestamente, quella parte d’Italia in cui visse Archimede potrebbe dire: «Datemi le infrastrutture e solleverò il tasso di crescita».

Chissà se il solito proverbio cinese – «Se volete creare ricchezza costruite una strada» – data da prima o da dopo Archimede, ma ambedue i detti esprimono lo stesso concetto: le infrastrutture sono una precondizione per la crescita. Il recente rapporto della Svimez si china, in uno dei più pregnanti capitoli, sul divario infrastrutturale fra Nord e Sud del Paese.

La tabella sulla “Dotazione di infrastrutture terrestri” presenta un confronto fra quelle dotazioni nell’Europa a 15 e l’Italia, declinata, quest’ultima, per regioni meridionali e per grandi ripartizioni territoriali. Le infrastrutture terrestri (quantificate in rapporto alla popolazione) riguardano i trasporti, essenzialmente strade e ferrovie.

LA FOTOGRAFIA

La tabella fotografa la situazione a due date: 1990 e 2017. Gli indici non sono assoluti, ma relativi: cioè a dire, nelle due date l’Europa a 15 viene fatta eguale a 100, e l’Italia e le regioni sono parametrate ai valori medi europei.

Come si vede, per le autostrade nel 1990 l’Italia era sulla media europea, e il Mezzogiorno, se pure con un indice inferiore a quello del Centro-Nord, non sfigurava. Ma con l’andar del tempo il “doppio dualismo” di cui abbiamo già parlato – Italia/Europa e Centro-Nord/Mezzogiorno – ha colpito ancora. La posizione relativa dell’Italia è scesa di molto, a quota 72, ma è scesa ancora di più quella del Sud rispetto al Nord (in queste analisi useremo indifferentemente “Nord” per “Centro-Nord” (C/N) e “Sud” per “Mezzogiorno”).

Per quanto riguarda le ferrovie, l’Italia anche qui era sulla media europea per l’elettrificazione nel 1990, ma, come i polli di Trilussa, quel valore medio di 101 era composto di un 118 per il C/N e di un 71 per il Sud. Comunque, passando al 2017, l’Italia è scesa rispetto all’Europa (dualismo esterno…) ed è continuato, seppure un po’ ridotto, il dualismo interno.

Là dove il confronto si fa più interessante (o desolante) sta nel comparto ferroviario dell’Alta Velocità (AV). Nel 1990 l’Italia del C/N aveva un indice perfino superiore a quello europeo (121), ma, a livello della penisola intera, l’indice scendeva a 77, grazie allo 0 (zero) del Mezzogiorno. Da allora le cose sono migliorate per l’Italia e nel 2017 l’indice, rispetto all’Europa, sale da 77 a 93, ma il C/N batte il Mezzogiorno 125 a 34.

Le infrastrutture fisiche, comunque, non sono solo quelle dei trasporti. Se guardiamo all’intero comparto delle opere pubbliche, abbiamo dati più recenti, aggiornati al 2019. Il grafico spazia su mezzo secolo, dal 1970 al 2019, e le cifre (in volume, milioni di euro a prezzi costanti del 2010) descrivono, anche qui, desolanti traiettorie.

Un’osservazione si impone: fin verso il 1990, i fondi spesi per le opere pubbliche, al Nord e al Sud, non erano molto differenti (anzi, in euro per abitante, erano più elevati al Sud). Ma dal 1990 in poi si assiste a una divaricazione; e, guarda caso, è proprio quello il momento in cui inizia la stagnazione italiana e va crescendo il divario con l’Europa. È come se l’Italia avesse rinunciato a sfruttare quel giacimento di crescita potenziale che si trova sotto al Garigliano e così facendo, governo e Parlamento avessero trasformato il Mezzogiorno in una palla al piede della crescita italiana.

HARAKIRI ECONOMICO

Gli ultimi dati, al 2019, danno, per il Sud – un’area dove vive il 34% della popolazione – un livello di spesa in opere pubbliche pari al 19% del totale. Un’interessante analisi degli stadi di avanzamento per gli investimenti pubblici conclude che «le opere non prioritarie (cioè non sottoposte ad approvazione del Cipe) presentano uno stato di avanzamento relativamente migliore, un aspetto che evidenzia il “peso” del Cipe (con tutti i vari passaggi impliciti, tra Ministeri e Corte dei conti) sul processo decisionale e di avanzamento programmatico».

Torna, insomma, il problema dei lacci e lacciuoli, delle competenze concorrenti, dei passaggi burocratici, delle minuzie regolamentari che tanto hanno fatto per impastoiare la crescita della penisola.

Una meritoria elaborazione della Svimez costruisce un indice sintetico della dotazione infrastrutturale complessiva, che viene elaborato per le singole ragioni meridionali, oltre che per le ripartizioni (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud, Isole).

Il proverbio cinese citato all’inizio (“Se volete creare ricchezza, costruite una strada”) si potrebbe declinare in “Se volete creare ricchezza, costruite una strada, una ferrovia, un porto, un aeroporto, un interporto, un terminale intermodale…”. E tutte queste reti e questi nodi sono stati collassati in un indice impietoso (vedi tabella): facendo l’Italia = 100, il Centro/Nord è a quota 139,6 e il Mezzogiorno a 51,1. Questa non è solo un’ingiustizia; è anche un suicidio economico per l’Italia tutta.


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