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Leggendo attentamente il Disegno di Legge di Stabilità 2021 e, in particolare, soffermandoci sui vari Capitoli di spesa del Ministero dell’Economia e delle Finanze ho potuto soffermarmi sul Capitolo 8000 e sono rimasto davvero sconcertato da un dato che pensavo solo utilizzato per denigrare il comportamento delle Regioni del Mezzogiorno o quello del Governo centrale nei confronti del Sud e invece, purtroppo, il dato relativo alle risorse residue del Programma comunitario 2014-2020, un Programma pari a circa 54 miliardi di euro, è pari, come si evince dalla tabella di seguito riportata, a oltre 30 miliardi di euro.
E, cosa ancora più grave, dei 24 miliardi di euro impegnati la spesa reale non ha superato i 5-6 miliardi di euro; cioè in sei anni abbiamo impegnato 24 miliardi di euro, ed ora, secondo le previsioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in soli tre anni dovremmo essere in grado di impegnarne oltre 30 miliardi di euro.
In realtà il Ministero dell’Economia e delle Finanze sa benissimo che è un obiettivo quasi impossibile ed infatti, come si vede dalla tabella di seguito riportata, ha programmato una limitata disponibilità di cassa, cioè le previsioni reali di spesa sono 2,9 miliardi nel 2021, 3 miliardi nel 2022 e meno di un miliardo nel 2023. In fondo, in un modo diplomatico, il Governo sta anticipando la richiesta alla Unione Europea di poter utilizzare quota parte delle risorse, non spese nei sei anni passati, nel Programma 2021-2027.
Questo deludente quadro di incapacità sia dell’organo centrale che di quello locale a trasformare le risorse in interventi, a trasformare i programmi in scelte concrete, diventa forse la base su cui effettuare un attento esame di coscienza non solo per identificare le gravi responsabilità di chi, sia a livello centrale che locale, ha gestito la cosa pubblica nel 2014, nel 2015, nel 2016, nel 2017, nel 2018, nel 2019 e nel 2020 ma, soprattutto, per convincere le otto Regioni che rappresentano da sempre quella realtà geo economica definita “Mezzogiorno” che è finita la fase degli inutili individualismi ed esasperati provincialismi ed è arrivato il momento di federarsi per dire alla Unione Europea quale debba essere la allocazione delle risorse non impegnate e non spese; mai le otto Regioni vivranno una occasione così propizia come quella attuale, proprio in questo particolare momento storico, infatti, l’Unione ha detto apertamente di essere disposta ad accettare un nuovo e diverso utilizzo delle risorse previste dalla Programmazione comunitaria 2014-2020 a valere sui 4 Fondi Strutturali e di Investimento europei (ricordo quali sono i 4 Fondi: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo sociale europeo (FSE), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), il Fondo per la politica marittima e della pesca (FEAMP)) in modo diverso da quello stabilito nel 2014.
Prende corpo così un primo approfondimento sulla serie di opere che sarebbero potute partire concretamente nei sei anni precedenti; faccio questa banale esercitazione solo per denunciare cosa ha perso in questi sei anni l’intero assetto infrastrutturale meridionale: il completamento delle reti metropolitane di Cagliari, Napoli, Palermo e Catania, il completamento della ferrovia ad alta velocità Napoli-Bari, l’avvio dei lavori dell’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria-Messina-Palermo-Catania, il ponte sullo Stretto di Messina, gli assi viari Ragusa-Catania, Cagliari-Porto Torres, la 106 Jonica, la Molisana (San Vittore-Termoli), la Maglie-Santa Maria di Leuca, la camionale di Bari.
Sembra davvero strano ma il costo globale di tutti questi interventi non supera i 25 miliardi di euro (cioè la quota pari all’85% dei 30 miliardi da assegnare al Sud dell’intero Programma) e, se avviato a realizzazione in questi lunghi sei anni, avrebbe davvero cambiato l’intero impianto socio economico del Mezzogiorno.
Purtroppo seguendo la logica dei compromessi tra singola Regione e Stato, seguendo l’abitudine delle emergenze presenti in determinate realtà regionali, seguendo la logica di chi, in termini politici, assume ruoli e funzioni dominanti, si è riusciti a perdere questa occasione.
Oggi però i singoli Presidenti delle Regioni non hanno nessun alibi e, soprattutto, sanno benissimo che mantenendo inalterati i programmi definiti sei anni fa all’interno dei PON (Piani Operativi Nazionali) e dei POR (Piani Operativi Regionali) si arriverà al 31 dicembre del 2023 con la sola certezza dell’impegno delle risorse ma senza la concreta realizzazione di una sola opera.
Non è pessimismo, non è terrorismo mediatico il mio e solo certezza legata alla incapacità di essere soggetti responsabili della gestione di un limitato ambito territoriale invece di essere soggetti federati coscienti che il Mezzogiorno può crescere solo se si libera delle deformazioni concettuali legate alla sommatoria di programmi e di scelte locali.
Non sarà facile cambiare l’attuale mentalità, non sarà facile modificare l’attuale approccio perché secondo le visioni miopi delle singole Amministrazioni regionali si perde consenso elettorale locale, si perde la possibilità di misurare subito i vantaggi prodotti da determinate scelte: penso, però, che il Mezzogiorno abbia, in modo diffuso sul proprio tessuto territoriale, una caratteristica comune: una preoccupante assenza di offerta infrastrutturale, legata alla mobilità delle persone e delle merci, efficiente ed efficace; una assenza infrastrutturale che annualmente produce un danno alla economia del Mezzogiorno pari a circa 30 miliardi di euro.
Penso che questo dato, questo folle onere, ricada in modo omogeneo su tutti i cittadini del Sud e quindi ogni azione mirata a ridimensionare una simile perdita si trasformi in un beneficio per tutti. Ma questo modo di affrontare questa non facile emergenza, ripeto ancora una volta, può avvenire solo se le attuali realtà regionali comprendano e si convincano di cosa sia un comportamento ed un assetto “federato”.
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