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Un rendering del Ponte sullo Stretto

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Spesso dimentichiamo che chi vive in un’isola dispone di due soli “gradi di libertà” per quanto concerne la possibilità di raggiungere, partendo da un qualsiasi punto dell’isola, un luogo del Paese o della Unione Europea, cioè la modalità di trasporto marittima e quella aerea e chi non vive nell’isola ma vuole raggiugerla dispone anche di due soli gradi di libertà. Questa che sembra una definizione banale denuncia, a mio avviso, da sola quanto possa pesare la “insularità”.

Nel 2003 quando, nel Gruppo presieduto da Karel Van Miert e composto da un rappresentante delegato da ogni Paese della Unione Europea, cominciammo a identificare i Corridoi portanti dell’intero assetto comunitario, Corridoi che avrebbero dato vita al sistema delle Reti TEN – T, ricordo che ci soffermammo a lungo proprio sul Corridoio 1 (Berlino – Palermo).

E, come ho ricordato più volte, la realizzazione di un collegamento stabile tra la Sicilia ed i continente diventava condizione obbligata per la incisività e la validità funzionale dell’intero Corridoio; infatti grazie alla limitata distanza tra continente ed isola il progetto del ponte regalava non solo all’Italia ma alla intera Unione Europea la possibilità di annullare la serie di negatività posseduta da una delle isole fondamentali, con i suoi 5 milioni di abitanti, della vasta famiglia delle isole dell’intero sistema comunitario (362 isole con più di 50 abitanti e con un valore globale di 17,7 milioni di abitanti).

Effettuammo anche, con l’aiuto della Banca Europea degli Investimenti (BEI) che sovraintendeva ai lavori del gruppo, una serie di approfondimenti relativi al PIL posseduto dall’isola in assenza di un collegamento stabile e al PIL invece in presenza di una simile infrastruttura: questi approfondimenti motivarono ampiamente la urgenza di portare a termine, in tempi certi, la realizzazione di un collegamento stabile perché, con una sistematicità annuale, avremmo compromesso una crescita del PIL della Regione di oltre il 30% e la cosa più grave fu, sempre nel 2003, la presa di coscienza del dato davvero preoccupante relativo al PIL pro capite: a quella data il PIL pro capite in Sicilia era pari a 16.000 euro quando la soglia media dei Paesi della Unione Europea era di 31.000 euro e quella media delle isole, sempre della Unione Europea, era di 22.000 euro.

Oggi i vari organismi competenti della Regione Sicilia con il supporto della Società Prometeia hanno effettuato un interessante studio mirato ad individuare proprio “i costi della insularità”. Da tale lavoro pregevole è emerso che l’insularità è in primo luogo un fattore limitante delle opportunità di crescita, nella misura in cui “produce ritardi di sviluppo sociale ed economico e fa degli isolani cittadini con diritti ridotti e affievoliti rispetto ai cittadini della terraferma. Si pensi solo all’annoso problema dei trasporti, che fa lievitare i prezzi dei servizi. Essere un’isola sconta uno svantaggio naturale che non mette in condizioni di pari opportunità con gli altri abitanti della penisola”. Di fronte a questo tema, a livello europeo è possibile registrare una certa vivacità del dibattito.

La stessa Commissione Europea, sempre secondo tale ricerca, considera, infatti, le Regioni insulari meritevoli di azioni e politiche per recuperare tali divari in coerenza con gli obiettivi della Politica di Coesione, nel cui ambito, si è tenuto ampiamente conto nel riparto delle risorse finanziarie delle Politiche di Coesione e dei fondi FAS per i cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020, al fine di incrementare le risorse assegnate alla Sicilia e alla Sardegna per “compensare” la loro particolare condizione. In termini generali, si ricorda nella ricerca, sono state ad esempio selezionate le dimensioni sottostanti allo svantaggio derivante dallo stato di isola, rispetto alle quali è possibile identificare alcune precipue caratteristiche che rendono possibile una diversa lettura del territorio quali in particolare l’isolamento e distanza geografica, la limitata dimensione dei mercati insulari, la difficoltà del trasporto stradale insulare, l’impatto della mono-specializzazione dell’economia insulare, la vulnerabilità economica, la mancanza d’attrattività per la manodopera e per le imprese, l’accesso limitato alle tecnologie di informazione e di comunicazione.

All’interno delle unità selezionate si registra una forte variabilità rispetto ai livelli della ricchezza come è possibile osservare nella figura 1, che riporta il Pil pro capite di alcune Isole europee. Dalla figura si evince, che il PIL pro capite delle isole del Nord Europa prese in esame è superiore al livello della media UE e anche del PIL medio pro capite delle 362 Isole europee. Di contro, le Isole del Sud Europa hanno un PIL pro capite di molto inferiore sia alla media UE, sia alla media delle 362 Isole.
I principali dati macroscopici evidenziano questi divari, mostrando nel 2018 per la Sicilia un prodotto interno lordo pro capite paria a 17.721 euro che la colloca in penultima posizione tra le Regioni italiane (seguita dalla sola Calabria), risultando distante dalla media del Mezzogiorno per un valore pari a 1.266 euro.

Nello stesso anno, il tasso di disoccupazione in Sicilia è stato pari al 21,5 per cento, distanziando di circa 3 punti percentuali il valore medio del Mezzogiorno (18,4 per cento) e duplicando il valore medio dell’Italia (10,6 per cento). I redattori dello studio hanno scelto di seguire due differenti percorsi metodologici riassumibili nei seguenti approcci:

  1. stimare con un modello econometrico, attraverso una selezione di variabili esplicative, l’impatto sul PIL pro capite di opportuni indicatori legati ai fattori che determinano la ricchezza di un territorio. Quella che si ottiene è una valutazione macroeconomica complessiva che però non consente di distinguere il costo delle diverse componenti su cui incide l’insularità e che inoltre è condizionata dal modello scelto, dalle variabili disponibili e dal set di dati utilizzati;
  2. stimare gli effetti dell’insularità sui costi di trasporto e valutare poi, con il Modello Multisettoriale della Regione Siciliana (MMS), le ricadute complessive del maggiore costo di trasporto sull’economia dell’Isola, con riferimento sia alle esportazioni internazionali di beni, che ad altre variabili di domanda sensibili a variazioni nei livelli dei prezzi (consumi delle famiglie, ecc.). L’approccio è in parte simile a quello utilizzato per valutare le ricadute economiche delle Zone Economiche Speciali in Sicilia e fornisce la stima di uno dei principali effetti dell’insularità.

Il primo approccio si basa sul lavoro svolto nel 2020 dall’Istituto IBL (Istituto Bruno Leoni) attraverso un modello econometrico che fa riferimento alla letteratura dello sviluppo per quantificare l’impatto medio annuo dell’insularità sul PIL pro capite e sul PIL complessivo senza però potere differenziare rispetto alle singole “voci di costo” legate all’insularità.

Il secondo approccio intende stimare il gap che l’insularità determina nei costi di trasporto per stimare a cascata gli effetti sugli operatori economici e sui diversi settori economici delle attività di riferimento.

Ebbene i risultati della ricerca dimostrano che il gap della Sicilia in termini di maggiori costi di trasporto la rende la Regione italiana con l’indice più elevato. Infatti, in base alla media semplice, l’indice dei costi di trasporto della Sicilia è superiore a quello medio italiano del 50,7 per cento ed è superiore a quello del Sud (il Mezzogiorno continentale) del 29.8 per cento.

Inoltre, se si tiene conto anche della dimensione economica delle Regioni di destinazione, gli indici dei costi di trasporto delle Regioni italiane si modificano in maniera significativa, riducendosi per le Regioni del Nord Ovest (-10,5 %), per quelle del Nord Est (-6,4 %) e per quelle del Centro (-4,3 %). Per la Sicilia il gap nei costi di trasporto raggiunge il 58,8 % rispetto alla media nazionale ed il 31,9 per cento rispetto al Sud. In realtà quest’ultima informazione rappresenta una stima del gap della Sicilia attribuibile proprio all’insularità.

Nella seconda fase della elaborazione, sono stati presi a riferimento le ricadute economiche di investimenti infrastrutturali sull’estensione della rete autostradale e dei conseguenti risparmi nei costi di trasporto. Per una stima preliminare, si è ritenuto sufficiente simulare gli effetti economici di una riduzione dei costi di trasporto della Sicilia che allinei questi ultimi con quelli dell’area benchmark (Regioni del Sud). La ricerca ha preso come riferimento l’arco temporale 2010 – 2016 ed ha simulato cosa succede se i prezzi del settore Trasporti e magazzinaggio hanno una riduzione esogena pari al 23 per cento rispetto al livello di inizio periodo (2010). Per effetto delle interdipendenze tra i prezzi dei settori produttivi l’impatto sul deflatore del valore aggiunto del settore Trasporti e magazzinaggio è di -31,4 % (ovvero un valore molto vicino al gap con il Sud stimato in precedenza) nel primo anno di simulazione, per poi progressivamente raggiungere il -47,0 % dopo 7 anni quando l’economia si è stabilizzata su un nuovo livello di equilibrio. In termini aggregati la riduzione dei prezzi innescata dalla riduzione una tantum del costo dei trasporti si diffonde progressivamente nel sistema economico regionale, lungo tutto il periodo considerato, raggiungendo il -9,5 % nell’ultimo anno. La riduzione dei prezzi e dei costi ha un effetto importante sulle esportazioni internazionali di beni che a fine periodo aumentano dell’8,1 per cento rispetto allo scenario base. Aumentano anche in termini reali (valori concatenati) i consumi delle famiglie (+2,4 %) e le spese per consumi finali delle attività produttive che reagiscono sia alla riduzione dei prezzi sia all’aumento del reddito disponibile delle famiglie (+8,9 % in termini reali). Il PIL aumenta fino a raggiungere un incremento del 6,8 % rispetto allo scenario base, mentre gli occupati aumentano del 2,8 per cento dopo 7 anni sempre rispetto allo scenario base.

L’interessante lavoro ha, quindi, cercato di fornire una stima preliminare dei possibili costi legati alla condizione di insularità della Sicilia, ricorrendo a due diversi approcci metodologici:

• un primo approccio basato sull’analisi dei principali elementi che determinano lo sviluppo di un territorio insulare individuati nei fattori “dimensione”, “distanza” e “vulnerabilità”. Questi fattori sono stati misurati attraverso alcune variabili proxy poste in serie storica e riferite agli ultimi venti anni per tutte le Regioni italiane e a seguito dell’applicazione di un modello regressivo, è stata ottenuta una stima econometrica che quantifica il costo dell’insularità per la Sicilia in circa 6,54 miliardi di euro pari al 7,4 per cento del PIL regionale (a valori correnti dell’anno 2018).
• un secondo approccio, basato sulla determinazione dei maggiori costi di trasporti che penalizzano la Regione e sul loro impatto sugli operatori economici e sui vari settori di attività, ha condotto, in termini contro fattuali, tramite l’applicazione al modello multisettoriale della Regione Siciliana (MMS), ad una stima dell’impatto che una riduzione dei prezzi del settore “Trasporti e magazzinaggio” può determinare sull’economia siciliana. Secondo questa procedura, l’effetto positivo di una riduzione tale da equiparare i costi di trasporto della Sicilia a quelli medi del Mezzogiorno continentale determina un aumento del PIL complessivo regionale (2018) pari al 6,8 %, quantificabile in circa 6,04 miliardi di euro.

A differenza della Regione Sardegna dove è praticamente impossibile annullare la sua insularità la Sicilia, invece, può davvero recuperare quel grado di libertà ricordato all’inizio che, secondo quanto emerso dalla ricerca prima descritta, seguendo due distinti itinerari metodologici consentirebbe un aumento del PIL regionale di oltre il 6% con un recupero annuale di circa 6 miliardi di euro.

Penso che proprio grazie a questo lavoro e, soprattutto, grazie agli oggettivi ed incontestabili risultati la Giunta della Regione siciliana abbia inserito nel “Primo contributo al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)” tra le opere strategiche essenziali la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina. Una scelta non solo motivata e supportata da una drammatica analisi storica dell’impoverimento della Regione causato dalla sua insularità ma che rappresenta anche una conferma nei confronti della Unione Europea della essenzialità del Corridoio inteso come un cordone ombelicale continuo che incrementa il PIL regionale, il PIL nazionale, il PIL comunitario.

Nasce spontanea una considerazione: in realtà l’approfondimento fatto dalla Regione Siciliana misura quale sia il costo del non fare e nel caso specifico il mancato aumento del PIL di 6 miliardi l’anno ha prodotto alla Sicilia ed al Paese un danno dal 2011, data di annullamento dell’opera, ad oggi di circa 54 miliardi di euro. Prima di continuare a rinviare e a non fare forse il Governo dovrebbe sapere che questo comportamento ha un nome: “danno all’erario”.


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