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Lo scontro, del tutto prevedibile, tra Governo e Regioni è di nuovo sulla scuola. E sull’opportunità o meno, davanti ai numeri in crescita dei contagi (anch’essi prevedibili) di rassegnarsi al ritorno alla didattica a distanza. Una scelta, secondo la ministra Azzolina, del tutto inopportuna e irresponsabile, che sacrificherebbe inutilmente gli studenti nel luogo invece «più sicuro, dove ci sono regole, distanziamento, gel e mascherine».
Una scelta, sarebbe meglio dire, che torna ancora una volta ad aggravare la grande ingiustizia Nord/Sud e il già enorme divario in termini di formazione effettiva nel Mezzogiorno, che sconta strutture fatiscenti, mancanza di insegnanti e rapporto tra docenti e studenti del tutto inadeguato. Così come ricordato nelle proteste di tre giorni fa dei maggiori sindacati della Scuola, Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda. «Le scuole hanno riaperto – hanno sottolineato i segretari generali dei sindacati – ma la didattica non decolla perché mancano i docenti. Inutile dire che le misure da prendere dovevano essere di altro tipo, prova ne sono i buchi di organico e le mancanze strutturali».
Ecco perché chi andrà prima e più a lungo in didattica a distanza sarà il Sud. Lo stesso Sud che però la didattica a distanza non se la può permettere per mancanza di infrastrutture tecnologiche, connessione inesistente, pc e tablet in uso alle scuole e alle famiglie del tutto insufficienti, con l’ulteriore esclusione su base nazionale ma peggiore nel Mezzogiorno di 1 studente su 3 diversamente abile (la quota di studenti tra 6 e 17 anni che non ha un computer/tablet in casa sale dal 12,3% (pari a 850mila ragazzi) nazionale al 20% nel Mezzogiorno (circa 470mila ragazzi, mentre ben il 36%.
Eppure, funzionante o meno, con la crescita dei contagi la dad sarà una scelta obbligata e più diffusa proprio nel Mezzogiorno, perché è qui che sono rimaste inalterate le classi pollaio, con ciascun insegnante che ha al proprio attivo 10 studenti in più rispetto ad un collega del Nord, e a fronte di un precariato ben più accentuato, visto che sul totale nazionale, il Sud può contare su appena il 28, 6% di docenti a tempo indeterminato, contro il 39% del Nord.
È al Sud che resta invariata l’assenza di agibilità degli edifici, con un 15% di immobili scolastici a norma, contro il 63% del Nord, e di quella igienico-sanitaria, presente nel 2019 per il 67% delle scuole al Nord e per 15% di quelle al Sud, con la sola metà degli asili nido della Calabria in possesso della relativa documentazione.
È sempre al Sud che il personale Ata (responsabile di pulizia e sanificazione) resta insufficiente, con ciascuna scuola che ha avuto solo 2 unità di personale in più per il Covid, con ricadute drammatiche sulla sicurezza effettiva di alunni e personale scolastico: un dipendente Ata per 57 alunni, contro i 41 del Nord.
È ancora al Sud che i trasporti restano carenti o del tutto assenti. Con una spesa pro capite dello Stato in tutti i settori strategici come sanità, ambiente, scuola e – appunto – mobilità che la relazione 2019 sui Conti pubblici territoriali, a cura dell’Agenzia per la coesione territoriale, mette in evidenza: oltre 900 euro per il Friuli Venezia Giulia, a fronte della Puglia che non raggiunge i 400 euro e la Sicilia che li supera appena. E un Bilancio di previsione delle singole regioni per l’anno 2019 che indica la spesa per i trasporti del Veneto a 860 milioni di euro e del Piemonte a 747, contro i 499 della Puglia.
Di fatto – ed a fronte della possibilità lasciata dal Governo di introdurre misure più restrittive – aumentano di giorno in giorno e da nord a sud le scuole costrette ad abbandonare le lezioni in presenza a causa di nuovi focolai e in attesa dell’esito dei tamponi. Da ultimo, la decisione dell’altro ieri del governatore De Luca di chiudere fino al 30 ottobre tutte le scuole di ogni ordine e grado della Campania – con tanto di protesta degli autisti di scuolabus – e il vertice di ieri tra il governatore lombardo Fontana ed i sindaci dei capoluoghi di provincia per fare il punto sull’eventuale allungamento dell’orario scolastico al pomeriggio e le università aperte in presenza solo per le matricole.
Disagi e difficoltà un po’ per tutti, visto l’andamento della pandemia, ma con una evidente e già sperimentata dispersione scolastica, che segna numeri ben diversi da Nord e Sud da decenni (secondo l’ultimo Rapporto Svimez, il Sud presenta tassi di abbandono assai più elevati: nel 2018, il 18,8% a fronte dell’11,7% delle regioni del Centro-Nord) e che già durante la prima ondata di contagi e sotto lockdown ha fatto registrare assenze ancora più preoccupanti soprattutto nel Mezzogiorno.
A dircelo, da ultimo, è l’inchiesta sulla Didattica a distanza promossa e condotta dalla Flc-Cgil in collaborazione con la Fondazione Giuseppe Di Vittorio, l’Università di Roma Sapienza e l’Università di Teramo su una rilevazione effettuata tra il 3 aprile e il 7 maggio 2020 tramite questionario online, che ha raccolto su tutto il territorio nazionale 1451 questionari, di cui validi 1197. Se per il 76,6% degli insegnanti la didattica in presenza è insostituibile e può essere solo una soluzione temporanea e meno di un terzo degli insegnanti intervistati (30,4%) raggiunge, con la didattica a distanza, tutti gli studenti della sua classe, i maggiori problemi risultano nel Mezzogiorno, dove la percentuale di insegnanti che dichiarano di riuscire a raggiungere tutti gli studenti della propria classe si abbassano al 24,2% nel Sud e al 23,7% nelle Isole. La conferma arriva anche sulla tipologia di ostacoli e problemi. Le difficoltà di raggiungere gli studenti con la didattica a distanza sono dovute infatti sia a problemi di adeguatezza dei dispositivi da parte delle famiglie degli studenti, ma anche a criticità legate a fattori organizzativi: dall’infrastruttura tecnologica messa a disposizione o adoperata dalla scuola e dal coordinamento interno, con il dirigente e con i colleghi.
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