Il ministro Paola De Micheli
4 minuti per la letturaNon si sblocca lo stallo nella trattativa su Autostrade per l’Italia. Lo ha ammesso ieri la stessa ministra dei Trasporti Paola De Micheli nel corso dell’audizione in Parlamento. Il governo a questo punto rischia un danno d’immagine molto forte.
L’ultimatum di dieci giorni sta scadendo e non c’è una soluzione a portata di mano. La minaccia della revoca è un’arma spuntata e infatti la stessa De Micheli, nel corso della sua esposizione ha evitato di richiamarla. Tanto più che sono stati proprio i suoi uffici a luglio a far circolare la lettera dell’Avvocatura dello Stato che metteva in guardia contro decisioni troppo avventate. Il pericolo per lo Stato è di dover pagare una penale di 22 miliardi come previsto dal contratto iniziale fra l’Anas e la famiglia Benetton. Soprattutto se il processo che inizia il 4 dicembre dovesse finire con un’assoluzione.
Sarà un procedimento che si giocherà, soprattutto sull’attendibilità delle perizie. La linea di difesa di Autostrade si sta chiarendo ed è molto semplice: il Ponte è crollato il 14 agosto 2018 per un difetto di progettazione impossibile da individuare. La costruzione di Riccardo Morandi era bella ma con una fragilità nascosta.
Ieri un ultimo tentativo di mediazione. Aspi ha mandato una lettera in cui accetta tutte le condizioni poste dal governo per chiudere la transazione: dalla riduzione delle tariffe all’incremento degli investimenti. Solo una richiesta stralciare l’articolo che impone il passaggio di proprietà a Cdp. Una posizione, dunque, che di fatto non cambia e che porta Paola De Micheli a certificare il nulla di fatto.
«Devo darvi notizia che è appena arrivata, un’ora fa, una nota di Aspi con cui ci ha comunicato di accettare il testo dell’accordo negoziale prospettato dalla parte pubblica, chiedendo la sola eliminazione della clausola dell’art. 10», spiega evidenziando come l’articolo 10, che vincola l’efficacia dell’accordo al fatto che Aspi passi sotto il controllo di Cdp, non fa altro che subordinare la transazione «alla realizzazione degli impegni assunti da Atlantia con la lettera del 14 luglio»: quindi, nessun «atto di forza», nessun «braccio di ferro».
La nuova lettera, che diversamente dalle comunicazioni precedenti – fa notare la ministra – non è co-firmata da Atlantia, verrà ora approfondita con Ministero dell’Economia e Presidenza del Consiglio prima di arrivare ad una decisione. Ma nel frattempo, è chiaro che l’atteso cambio di passo ancora non c’è: lo “stallo” della trattativa, spiega De Micheli, «è dovuto al fatto che permane anche nella lettera appena giunta al Mit la non accettazione della clausola dell’articolo 10, che richiama perfettamente gli impegni assunti da Atlantia e Aspi nella lettera inviata ai ministri e discussa nel cdm del 14 e 15 luglio».
Nella nota, fa sapere successivamente Aspi «inviata in data odierna, Autostrade per l’Italia ha confermato ai Ministeri competenti la propria disponibilità, anche immediata, a sottoscrivere – con la sola eliminazione della condizione di efficacia relativa al perfezionamento della cessione del controllo di Autostrade per l’Italia a Cassa Depositi e Prestiti, in quanto estranea al rapporto concedente-concessionario – l’Atto Transattivo, anche nella versione inviata dagli stessi dicasteri lo scorso 23 settembre, senza alcuna modifica o affinamento».
«Quanto sopra, naturalmente – si aggiunge – nell’ambito di una eventuale definizione conclusiva delle procedure di presunto grave inadempimento, a suo tempo avviato dal Concedente». Il «punto di caduta» di tutta la trattativa per il Governo resta sempre lo stesso: ovvero il «rispetto degli impegni» presi da Atlantia e Aspi a metà luglio, ribadisce la ministra, che sulla questione societaria si limita (essendo Atlantia quotata) a far notare che la trattativa condotta da Cdp ha sempre seguito «criteri competitivi e prassi di mercato».
De Micheli, ripercorrendo tutta la vicenda dalla «contestazione di gravissimo inadempimento» avviata più di due anni fa dopo il crollo del Morandi, ha evidenziato come l’esecutivo fin qui si sia mosso con il solo obiettivo di trovare una soluzione «nell’interesse pubblico». Ha ribadito che non si tratta di nazionalizzazione ma che le trattative seguono il percorso proposto da Atlantia e accettato dal Governo, e ha chiarito che anche nel caso di un azionariato con Cdp «non è immaginabile che i danni vengano pagati dagli italiani» (il nodo della manleva). L’attesa è ora tutta per il prossimo cdm che, come annunciato da Conte nei giorni scorsi, farà il punto sulla situazione e prenderà «le valutazioni conseguenti». Intanto il Comitato delle vittime del pone Morandi definisce vergognosa la missiva di Aspi e fa appello alle istituzioni per porre fine a «questo balletto».
Sullo sfondo ci sono le quattordici manifestazioni d’interesse inviate ad Atlantia per l’acquisto dell’88% di Aspi in suo possesso. In pole position ci sono tre aziende italiane: il gruppo Toto, la Astm dei Gavio e la famiglia di costruttori piemontesi Dogliani. Poi un gruppo di fondi d’investimento internazionali.
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