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Giuseppe Conte durante l'inaugurazione del Ponte di Genova

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Slitta ancora la definizione economica e giuridica sulla proprietà del nuovo Ponte di Genova. Ieri c’è stata l’inaugurazione con grande sfarzo e molto sforzo per evitare possibili contrattempi che potessero rovinare la festa. Meno di due anni dopo il crollo del Ponte Morandi il transito sul Polcevera e stato ricostruito. Domani l’apertura al traffico. Le notizie positive per il governo si fermano qua. Nonostante le promesse contrarie la gestione tornerà ai Benetton che attraverso Atlantia hanno l’88% di Autostrade per l’Italia. Esattamente quello che il governo e in particolare i Cinquestelle volevano evitare a tutti i costi. Con la consueta improvvisazione hanno lasciato che i giorni, i mesi, gli anni passassero inesorabili.

Un mese fa hanno scoperto che, in assenza di fatti nuovi il Ponte sarebbe tornato sotto il controllo dei Benetton che ormai per i grillini sono il simbolo del capitalismo di rapina. Tuttavia si sono dovuti rassegnare: il Ponte è tornato ai Benetton. Si tratta di una governance provvisoria in attesa che si arrivi ad una soluzione che metta in pratica del decisioni annunciate dal governo il 14 luglio.

Al momento, però, non c’è nulla di definitivo e in Italia, è noto, non c’è nulla di più solido del provvisorio. Domani non ci sarà la firma del memorandum per definire l’ingresso dei nuovi azionisti raccolti introno a Cdp. La riunione, come ha annunciato il ministro dei Trasporti Paola avrà solo carattere interlocutorio. Intervistata ad Agorà. “La firma non credo che sarà mercoledi – ha detto la ministra – Credo che l’impianto che stiamo definendo in questi giorni, con una difficoltà giuridica che è importante, vada nella direzione richiesta dalle famiglie delle vittime”.

La soluzione, però, non è semplice né vicina. L’uscita di scena della famiglia Benetton dalla gestione di Autostrade è molto meno semplice di quanto non sia sembrato durante gli annunci che hanno fatto seguito al consiglio dei ministri del 14 luglio. La strada della revoca, più volte richiamata in queste ore è puramente virtuale. Lo stesso ministro Paola De Micheli in una lettera inviata al premier Conte aveva messo in luce i rischi di un’operazione del genere. Soprattutto alla luce del parere espresso dall’Avvocatura dello Stato che metteva in guardia sul rischio che, alla fine la penale sarebbe stata quella originaria 22 miliardi e non i sette miliardi previsti dopo l’abbattimento operato dal decreto Milleproroghe.

Dunque bisogna battere la strada della trattativa fissata dal consiglio dei ministri. Ma anche questa soluzione è impervia.

Al centro della partita c’è Atlantia, controllata al 30% dalla famiglia Benetton che a sua volta possiede l’88% di Autostrade. Lo scoglio , è rappresentato dalla valutazione di Autostrade per l’Italia. E’ evidente che in Cdp, come compratori, cercano di abbattere i valori e quindi la spesa mentre i soci di Atlantia e della stessa Aspi giocano la partita esattamente contraria. Tanto più importante perché da Aspi arriva quasi la metà degli utili dell’intero gruppo Atlantia Privarsene rappresenta un sacrificio enorme che, ovviamente, deve essere adeguatamente compensato. Ed è su questo passaggio che il negoziato, al momento si è arenato.

Secondo le stime su cui lavora Cdp il valore complessivo dell’azienda arriva a circa 10 miliardi. Tuttavia soci di minoranza di Aspi (Allianz, Edf e il fondo cinese Silk Road) l’anno pagata quindici. Dopo il crollo del Ponte Morandi avevano abbassato il valore a 12,5 miliardi. Se davvero, come sembra Cdp non vuole andare oltre la soglia di 9-10 spendendo quindi non più di tre miliardi per il 30% è chiaro che si pone un gran problema. Che non è solo finanziario ma anche politico. I soci di Atlantia e di Aspi hanno accusato il governo di aver tenuto un comportamento inappropriato. Gli hedge fund azionisti di Atlantia parlano di esproprio. La trattativa non sarà semplice considerato che, l’Italia, in attesa dei Recovery Fund, non può rischiare di far fuggire i capitali internazionali. Da qui la decisione più prudente: il Ponte di Genova torna in mano ad Autostrade. Dopo ci sarà tempo per definire gli accordo.

A renderlo difficile, però, ci sono anche i conti di Cdp che chiamata a fronteggiare tutte le emergenze del Paese comincia ad avere il fiato grosso. Non a caso ha chiuso i primi sei mesi con un risultato netto di gruppo negativo per 0,7 miliardi. Pesa principalmente l’effetto della valutazione a patrimonio netto di Eni (-2,3 miliardi), spiega la società. A livello di capogruppo Cdp Spa chiude il semestre “nonostante gli effetti della pandemia Covid-19” con un utile netto pari a 1,3 miliardi, in calo rispetto a 1,5 miliardi dello stesso periodo dell’anno prima. Nei sei mesi la raccolta postale e’ aumentata di 6,6 miliardi, a quota 271 miliardi. Per oggi sono previsti i conti di Atlantia e Aspi. 


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