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Un’autostrada a tre corsie e mezzo. È questo il percorso scaturito dal vertice al ministero dei trasporti cui hanno partecipato il governo e i vertici di Atlantia e Aspi. C’erano Carlo Bertazzo, amministratore delegato di Atlantia, e Roberto Tomasi, amministratore delegato di Aspi. Presente anche il segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa, oltre ai capi di gabinetto del ministero delle Infrastrutture e del Mef. Al termine sono trapelate alcune indiscrezioni. Spiegano che il governo ha dato alle società del gruppo Benetton di preparare, nell’arco di un paio di giorni, che contenga un corposo taglio delle tariffe e l’aumento degli investimenti per manutenzioni oltre a un corposo codice di doveri per il concessionario.
Una specie di ultimatum, scaduto il quale partirà la procedura di revoca. La tensione è molto alta e i riflessi si riverberano sulle azioni Atlantia che, al termine di una giornata difficile perde l’8,2% a 13,1 euro. Scambi molto forti: sono passate di 5,8 milioni di azioni, contro il milione e 400mila scarse di tutta la giornata di ieri. Non essendo chiara la soluzione finale il mercato si mette al riparo uscendo dall’investimento. A questo punto sul tavolo ci sono tre possibilità reali e una mezza corsia. La mezza variante è data dal fatto che il governo accetti il nuovo piano presentato da Aspi. L’opposizione dei grillini, espressa da Di Battista è molto chiara: «Autostrade va nazionalizzata». Dunque per i grillini l’annullamento del contratto. Poi ci sono le soluzioni. Un po’ più sofisticate.
La prima prevede l’ingresso in Autostrade di Cdp ed F2i che costruirebbe un veicolo speciale per l’occasione. Vale a dire un fondo d’investimento con la partecipazione di Poste Vita che potrebbe investire 3-400 milioni, e alcune casse di previdenza (medici, ragionieri, ingegneri). Come altro investitore ci sarebbe Cdp che potrebbe trasformare in capitale un po’ dei debiti che vanta verso la società. Complessivamente metterebbero sul tavolo 1,2 miliardi destinati ad acquistare il 50% di Autostrade per l’Italia, mandando in minoranza la famiglia Benetton. Un’altra quota potrebbe finire al fondo australiano Macquarie specializzato negli investimenti in infrastrutture. L’ingresso di F2i e Cdp avrebbe anche logica industriale e non solo risarcitoria nei confronti di un concessionario come Aspi che non si è dimostrato sempre all’altezza della situazione. Cdp, infatti, si sta caratterizzando come titolare delle grandi dorsali che connettono l’Italia. È già azionista di Terna (rete elettrica). Adesso si sta occupando di fibra ottica come azionista al 50% di Open Fiber e al 10% di Tim. L’obiettivo è quello di arrivare ad una sola infrastruttura che copra tutto il Paese. Una scelta resa più urgente dagli ingenti investimenti che servono per il 5G. A questo bouquet ora potrebbe aggiungere i tremila km di autostrade attualmente in mano ai Benetton attraverso Atlantia.
Lungo questa corsia però c’è un casello difficile da aprire: il prezzo. Quanto vale Aspi in questo momento? Per stabilirlo è necessario ricostituire un quadro normativo adeguato. La somma di 1,2 miliardi messa a disposizione dai potenziali acquirenti sarà sufficiente? L’ultimo pezzo di trattativa sarà interamente concentrato su quest’aspetto tutt’altro che secondario. Sul tavolo c’è una variante a questa corsia. Vale a dire l’ingresso di Cdp e F2i direttamente nel capitale di Atlantia. Potrebbero prendere il 15% dimezzando la partecipazione dei Benetton oggi al 30%. L’operazione avrebbe una valenza globale considerando le dimensioni di Atlantia. Il gruppo è presente in 23 Paesi, gestisce 14 mila km di autostrade con 31 mila dipendenti. Inoltre è proprietaria degli Aeroporti di Fiumicino e Ciampino oltre ad altri tre in Costa Azzurra. Poi c’è la seconda corsia: la rottura del contratto e il ritiro della concessione. Una strada molto impervia che aprirebbe la porta ad un contenzioso che, in caso di soccombenza, potrebbe costare allo Stato fino a 7 miliardi. L’Anas dovrebbe subentrare in attesa di una gara europea per la nuova assegnazione.
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