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Il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano

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PER realizzare il Piano per il Sud c’è il rischio che si ripropongano gli errori dell’ultimo periodo della Cassa del Mezzogiorno. Questo è il timore dei cittadini e dei rappresentanti delle istituzioni del Mezzogiorno, dopo aver esaminato con maggiore dettaglio il Piano illustrato venerdì scorso a Gioia Tauro dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano. Le rassicurazioni che così non sarà vengono dalla stesso Provenzano, che pone l’accento sul nuovo e più stringente meccanismo di governance, con un ruolo forte dell’amministrazione centrale. Ma il rischio reale nel nuovo Piano è rappresentato dal fatto che, accanto a cifre dettagliate sulla provenienza delle risorse, la cui utilizzazione va accelerata nel triennio 2020-2022, manca ancora l’indicazione di specifici progetti per la spesa. E il 2020 è già partito.

LE ISTITUZIONI CENTRALI

Il ministro, in un’intervista radiofonica, ha ammesso che «il disincanto di tanti è giustificato, nel senso che da troppi anni si parla del Sud e poi non si interviene mai. Ormai c’è l’idea che qualsiasi intervento al Mezzogiorno sia destinato allo spreco o, peggio, al malaffare». Allora cosa c’è di diverso nel piano che pone al riparo da questo rischio? «La vera novità sulla quale vorrei ci concentrassimo è sul metodo – dice Provenzano – Noi proponiamo un ruolo più forte delle istituzioni centrali che si dovranno assumere la responsabilità di intervenire qualora anche le amministrazioni locali e regionali non lo facciano. Questo non con uno spirito di sostituzione, ma mettendosi al servizio. Abbiamo inaugurato un metodo che si chiama “cooperazione rafforzata” in cui i centri di competenza nazionale, a partire dall’Agenzia della Coesione Territoriale che è sotto il mio ministero, si mettono a servizio degli enti locali, li accompagnano al processo di investimento, dalla progettazione fino alla realizzazione degli interventi. Il problema non è mai stanziare le risorse, spesso sono state stanziate. Il problema è spenderle e spenderle bene e se questo non accade è anche perché la nostra amministrazione pubblica ha perso capacità progettuale». L’Agenzia per la Coesione, per dirla ancora con le parole del ministro, deve tornare a sporcarsi le scarpe, andare in giro nelle amministrazioni locali e non stare solo a Roma a rendicontare le risorse europee, che pure è un lavoro importante e utilissimo».

LE RISORSE

Ad analizzare bene le tabelle del Piano si comprende che esso non prevede risorse aggiuntive, soprattutto nella parte che riguarda le azioni a più breve termine, riferite al triennio 2020-2022. Si tratta, comunque, di una ricognizione delle risorse già previste e che finora non sono state spese nel Mezzogiorno. Per dare una sterzata allo sviluppo del Sud immediatamente percepibile nei territori, Provenzano si pone l’obiettivo di spendere 21 miliardi in più rispetto al triennio 2016-18. Alla base un dato sconfortante: in 10 anni la spesa per gli investimenti ordinari della Pubblica amministrazione nel Mezzogiorno è più che dimezzata, passando da 21 miliardi nel 2008 a 10,3 nel 2018. Sorte analoga per il Fondo Sviluppo e Coesione (Fsc), finalizzato a colmare il divario tra Nord e Sud del Paese. Negli ultimi anni, la sua attuazione è stata praticamente accantonata o comunque oggetti di un drastico calo: dal 2008 al 2018 la spesa del Fsc è passata da 4,5 a 1,2 miliardi. E’ necessario quindi accelerare e le buone intenzioni, sulla carta ci sono. Circa 7,6 miliardi in più vengono dal recupero della clausola del 34% (in base alla popolazione residente) sulla spesa ordinaria della Pubblica amministrazione e dall’applicazione della stessa clausola sui fondi dell’ultima legge di bilancio. Un’altra fetta importante, ben 6,5 miliardi in più, derivano dal recupero della capacità di spesa sul Fondo Sviluppo e Coesione del ciclo 2014-2020, la cui utilizzazione al momento è rimasta molto arretrata. Dai fondi strutturali europei è previsto il “salvataggio” di circa 3 miliardi del ciclo 2014-2020 e l’anticipo di 3,9 miliardi dei fondi della programmazione 2021-2027. Provenzano ha tenuto a specificare che «l’Italia non ha mai perso risorse europee. Il problema è che queste risorse sono sempre state spese all’ultimo, secondo logiche emergenziali, molto spesso coprendo e rendicontando opere che invece andavano finanziate con altri fondi, quindi non c’è mai stato l’effetto aggiuntivo di queste risorse. Anche su questo dobbiamo migliorare la capacità amministrativa. In questi mesi ho lavorato proprio sull’emergenza, per evitare di restituire alla Ue i fondi europei, ci siamo riusciti ma non posso dire che sia una gran risultato, dovrebbe essere la normalità».

IL RISCHIO

Il rischio reale nel nuovo Piano è che al fianco di cifre dettagliate sulla provenienza delle risorse, manca ancora l’indicazione di specifici progetti per la spesa. E il 2020 è già partito. Il piano parla della necessità di combattere la povertà educativa minorile, di investire nelle infrastrutture scolastiche, di assicurare il diritto allo studio, di tenere le scuole aperte tutto il giorno, di migliorare il trasporto pubblico locale e la rete ferroviaria, di investire nella svolta ecologica. Tutto assolutamente condivisibile, ma in tempi brevi le buone intenzioni devono essere tradotte in progetti concreti.


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