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Quasi un miliardo in un solo anno. Se è vero che i numeri dicono più di tante parole, questo numero non si limita a parlare: grida. Dati dei Conti pubblici territoriali alla mano, dal 2016 al 2017 quello che abbiamo definito lo “scippo” ai danni del Mezzogiorno è cresciuto, passando da 61,5 miliardi di euro a 62,3. Risorse che, in base alla quota di popolazione residente, spetterebbero di diritto al Sud e che invece, nel silenzio generale, vengono dirottate al Centronord, rendendo l’immagine di un’Italia a due velocità ancor più nitida.
Un travaso reso possibile da un meccanismo perverso: la spesa storica. Per un determinato servizio lo Stato elargisce risorse pari al massimo a quanto è stato speso nell’anno precedente. Se quindi un Comune è povero, così povero da non potersi permettere di pagare gli asili nido, resterà tale per sempre. E questo meccanismo vale per tutto: trasporti, sanità, istruzione.
DELITTO PERFETTO
È l’alibi per il delitto perfetto, come dimostra la diseguaglianza cronica fra le università meridionali e quelle del resto del Paese. Nel Mezzogiorno mancano i soldi per rimpiazzare persino gli insegnanti andati in pensione. In aree ben più ricche del Paese, invece, per ogni pensionato sarà possibile assumere tre nuovi docenti. Non è difficile immaginare quali atenei risulteranno fra i migliori l’anno prossimo e, di conseguenza, saranno premiati con una fetta più grossa di fondi. In una eterna e distruttiva coazione a ripetere.
Anche nell’ambito salute, alcune regioni, per dirla con Orwell, sono “più uguali” di altre. Il Veneto, tanto per fare un esempio, assume e paga a spese dello Stato 16mila addetti in più nella sanità rispetto alla Regione Campania. Uno spiegamento di forze difficile da spiegare visto che la regione guidata da Vincenzo De Luca conta circa un milione di abitanti in più.
LA REGOLA AUREA
E non è un’eccezione, è la regola aurea di un Paese alla rovescia. Anche il Piemonte per gli stessi servizi generali offerti dalla Regione Campania spende quasi cinque volte di più, sempre con un milione e mezzo di abitanti in meno.
Quella approvata ieri dal Consiglio dei ministri non è la manovra capace di mettere in fila e correggere una stortura ormai eletta a sistema. Come era chiaro fin dall’origine, sarà una legge di Bilancio interlocutoria, capace solo di evitare che scattino le clausole di salvaguardia e poco altro. Servirebbero diverse leggi di bilancio e una visione di lungo periodo per accorciare le distanze fra il Sud e il Centronord. Servirebbe puntare sugli investimenti finalizzati allo sviluppo del Mezzogiorno, oggi inchiodati al minimo storico, un misero 0,15% del pil, contro lo 0,85% raggiunto negli anni Settanta.
INFRASTRUTTURE
Sono tante le opere incompiute al Sud. Strade, autostrade e aeroporti attesi per decenni. Se, infatti, la Salerno-Reggio Calabria è finalmente completa, dopo anni di disagi per gli utenti, al netto delle linee diverse dalla Tav Napoli-Roma che registrano ritardi e disservizi, i grandi assenti sono la Napoli-Bari sui binari e la statale Jonica su strada. Quanto alla linea tra il capoluogo campano e quello pugliese, basti pensare che la conclusione dei lavori è prevista nel 2025 per la tratta Frasso Telesino-Vitulano, nel 2026 per la Apice-Orsara.
I TRENI
Risale al 28 giugno 2017 l’ultimo intervento chiuso in ordine di tempo con la messa in esercizio del nuovo tratto di linea Cervaro-Bovino: 23 km di raddoppio per un investimento di 270 milioni di euro. Secondo il rapporto “Pendolaria” di Legambiente le grandi necessità sono: elettrificazione Ferrovie sud est, velocizzazione Battipaglia-Metaponto, elettrificazione linea Jonica. Per i treni, infatti, in Campania nonostante gli investimenti in corso e annunciati negli ultimi mesi, l’età media resta alta (19,8 anni) soprattutto per l’anzianità del parco rotabile di EAV (ex Circumvesuviana, Sepsa e MetroCampania NordEst), ma anche qui sono previsti investimenti, con 40 nuovi treni per Trenitalia nei prossimi anni.
In Puglia saranno 43 i nuovi treni, di cui i primi a entrare in funzione nel 2019 saranno 3 Jazz. In Sardegna sono 26 i treni destinati alle linee Trenitalia e 15 Stadler per le ferrovie regionali ARST . In Sicilia, infine, sono 43 i nuovi treni, di cui i primi in arrivo nel 2019. In Basilicata, seppur anche in questo caso il dato mostri un trend in calo, ancora troppi sono i convogli con oltre 15 anni di età (il parametro usato da Trenitalia nelle “Carte dei servizi”): il 57,5%. In Basilicata troviamo ancora da finire la ferrovia Ferrandina-Matera, iniziata nel 1986 con uno stanziamento da 350 miliardi di vecchie lire: le ultime stime parlano di un completamento lavori nel 2022, con solo tre anni di ritardo rispetto all’evento che sta portando nella città 700mila turisti da tutto il mondo.
LE STRADE
Venendo alle strade, in Puglia è paradigmatica la storia della superstrada Maglie-Leuca: la prima ideazione è di 24 anni fa, il progetto di 14 anni fa, è finanziata con 300 milioni ma si può dire che oggi l’iter sia tornato al punto di partenza per il contenzioso tra le amministrazioni e le criticità nell’assegnare le gare.
In Calabria ci sono almeno 15 incompiute ma a destare la maggior indignazione è la statale 106 Jonica, la “strada della morte”: va detto però che dal governo Conte 1 sono stati sbloccati 40 miliardi di fondi Cipe.
SCUOLA E UNIVERSITÀ
Nelle scuole del Nord ogni professore, mediamente, insegna a 10 studenti; al Sud, invece per ogni docente ci sono 13,5 alunni. Il rapporto studenti/professori – effettuato sui dati ministeriali – descrive il divario tra le due aree dell’Italia e conferma che anche nell’istruzione c’è un Paese che viaggia a due velocità.
Basti pensare che nel Mezzogiorno le scuole pubbliche di ogni grado e livello sono 2.528, i docenti sono 231.051: in sostanza, in ogni istituto scolastico, mediamente, sono impiegati 91 insegnanti. Al Nord, invece, le scuole sono 3.266 e i professori 356.100: risultato, in ogni istituto lavorano circa 109 docenti. Non solo: le classi sono più sovraffollate in Puglia, Campania e Calabria rispetto a Piemonte, Lombardia o Liguria.
Dalla scuola all’università la sostanza non cambia: secondo uno studio Svimez, il decreto ministeriale sul “contingente assunzionale” 2019, che ha assegnato le risorse per il reclutamento di personale alle università italiane secondo i punti organico, aggrava il divario tra Sud e Nord. Prendendo in considerazione gli 11 Atenei di Campania, Puglia e Basilicata, è previsto dal decreto ministeriale che per ogni professore in uscita ci sia un nuovo ingresso. Praticamente un ricambio “uno a uno” che non garantisce la crescita necessaria per colmare il gap con il Nord: quasi tutte le università settentrionali, infatti, hanno valori di turn over superiori.
Qualche esempio: 477% alla Scuola Superiore Sant’Anna (per una risorsa che esce, quasi cinque nuove ne entrano), 342 alla Sissa Trieste(rapporto uno a tre), Bergamo e il Politecnico di Milano che quasi raddoppiano il proprio personale (rispettivamente 261 e 265%). All’Ateneo di Lecce, invece, per ogni 100 prof che vanno via, solo sei entrano (64%); alla Seconda Università di Napoli non si va oltre il 71%, cioè se dieci docenti vanno in pensione solamente sette vengono assunti; stessa media dell’Ateneo della Basilicata (76,5%)
SANITÀ
Dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.
Tradotto in euro, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.
«Nel 2017 – scrive la Corte dei conti – il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è assorbito dalle Regioni del Nord, il 20% dalle Regioni del Centro, il 23% da quelle del Sud, il 15% dalle Autonomie speciali».
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