Domenico Arcuri
4 minuti per la letturaUna nuova Iri o una nuova Gepi? Bella domanda mentre lo Stato, attraverso Invitalia si prepara ad entrare nella ex Ilva. L’investimento, secondo le prime stime è di 400 milioni da immettere con un aumento di capitale. A guidare le operazioni sarà Domenico Arcuri che così aumenterà i suoi incarichi. Molti di più di quanto non avesse fatto Guido Bertolaso con il Cavaliere. In fondo si occupava solo di emergenze. Il super-commissario Arcuri spazia in ogni dove: mascherine, banchi di scuola, terapie intensive (e relativa polemica con i medici), Banca Popolare di Bari.
Tanti impegni. Forse troppi come sostiene qualcuno che si domanda di quante ore sia fatta la giornata del super-commissario d’Italia. Il tanto lavoro lo ha portato anche a qualche errore come ammette lui stesso in una dichiarazione di ieri sera: «Abbiamo consegnato l’80% dei banchi alla fine di ottobre, adesso si sta approssimando al 100%. Nel frattempo sono successe due cose, la prima è che molte scuole hanno dovuto chiudere, la seconda è che l’80% dei banchi significa 10 volte la produzione italiana di un anno. Ho perso una scommessa e me ne duole, ma abbiamo raggiunto un bel risultato».
Per la verità non è nemmeno il primo infortunio. Ne aveva avuto un altro in Sicilia nel 2014. Aveva finanziato con 16 milioni la ripresa produttiva dello stabilimento che la Fiat aveva chiuso a Termini Imerese. Doveva nascere la prima auto elettrica tenuta a battesimo dalla Blutec della famiglia Ginatta.
La linea di montaggio non ha prodotto nemmeno il prototipo. L’anno scorso la guardia di Finanza ha posto temine all’avventura: i compratori avevano utilizzato i soldi di Invitalia e della Regione siciliana per chiudere i buchi di altre attività. Nessuno, però, durante la lunga trattativa aveva notato nulla di strano.
Ora la finanziaria pubblica guidata da Arcuri affronterà un incarico ancora più impegnativo. Entrerà nell’acciaieria di Taranto che resta il più grande impianto industriale d’Europa. Condividerà la governance aziendale e un assetto azionario finale in cui la presenza della parte pubblica dovrebbe essere paritaria.
Il 30 novembre si avvicina e ArcelorMittal, entro quella data, dovrà decidere se disimpegnarsi pagando una penale di 500 milioni di euro, come previsto da contratto; lasciare la gestione alla struttura commissariale (in attesa di un nuovo acquirente); oppure restare come affittuario fino a giugno 2022. Arcuri è fiducioso per la terza soluzione con l’ingresso dello Stato: «Siamo ad un punto avanzato di questa trattativa: la deadline è per fine mese e pensiamo sussistano quasi tutte le condizioni affinché questo scenario diventi quello preferibile».
A questo punto la domanda è d’obbligo: a quale modello s’ispira il redivivo “Stato imprenditore”? Gli studiosi si dividono, perché la mano pubblica muove già due leve: una guarda all’Iri e l’altra alla Gepi. La prima è la Cassa depositi e prestiti che prende pacchetti azionari in imprese strategiche come le grandi reti infrastrutturali come gas, luce, e forse anche autostrade e tlc.
L’altra è Invitalia che salva aziende decotte, siano esse manifatturiere o banche come la Popolare di Bari. Una divisione razionale del lavoro? Non del tutto. Ad esempio Invitalia che entra nel capitale della ex-Lucchini ora Jindal e nell’ex-Ilva ora ArcelorMittal si lancia in un settore, quello siderurgico, storicamente più da Iri che da Gepi. Ma non è il caso di sottilizzare.
La Cassa è guidata da Fabrizio Palermo, Invitalia da Domenico Arcuri che Giuseppe Conte ha nominato Commissario straordinario per la lotta alla pandemia. Due manager di stato i quali, stando alle voci di palazzo, ora competono anche per il primato. Nella prossima primavera scade il mandato di Palermo, fino a oggi nessuno lo insidia impegnato com’è in partite delicatissime. Tuttavia il futuro è tutto da scrivere.
Nel frattempo su Arcuri fioccano le polemiche a cominciare dalla sua lunga permanenza alla testa di Invitalia (il primo mandato nel 2007) e la retribuzione molto elevata (qualche giornale ha parlato di 900 mila euro l’anno). Avrebbe dovuto essere ridotta a 240 mila euro nel 2013 con la legge che vietò ai dirigenti pubblici di guadagnare più del Presidente della Repubblica.
La legge portò alla riduzione dei megastipendi di numerosissimi dirigenti pubblici ma non di quello che si preparava a diventare il super-commissario. Attualmente la Guardia di Finanza, su mandato della Corte dei Conti, sta indagando – come afferma il quotidiano “Domani” – sugli stipendi di Arcuri, che non avrebbero rispettato il tetto previsto dalla legge. Aspettiamo di sapere.
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