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L'Impianto dell'ex Ilva

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IL CONSIGLIO di Stato non nega la grave situazione ambientale e sanitaria da tempo esistente nella città di Taranto, già al centro di vicende giudiziarie penali e di una sentenza di condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani, ma il potere di ordinanza d’urgenza del sindaco di Taranto è stato esercitato in assenza dei presupposti di legge.

I giudici non spengono l’area a caldo dell’ex Ilva, gli impianti quindi potranno continuare a produrre acciaio. “Alla luce del pronunciamento del Consiglio di Stato sull’ex Ilva, che chiarisce il quadro operativo e giuridico, il governo procederà in modo spedito su un piano industriale ambientalmente compatibile e nel rispetto della salute delle persone”, è stato il primo commento del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti.

“L’obiettivo – aggiunge il ministro – è rispondere alle esigenze dello sviluppo della filiera nazionale dell’acciaio accogliendo la filosofia del Pnrr recentemente approvato”. Nel pomeriggio, Acciaierie d’Italia ha annunciato che già la prossima settimana è pronta a presentare “la propria proposta di piano per la transizione ecologica dell’intera area a caldo dello stabilimento di Taranto, tramite l’applicazione di tecnologie innovative ambientalmente compatibili e con l’obiettivo di una progressiva e costante riduzione delle quote emissive, che vada anche oltre le attuali prescrizioni”.

Il piano, secondo quanto riferisce l’azienda, è un progetto di “durata pluriennale allineato agli obiettivi di compatibilità ecologica stabiliti dall’Unione Europea per i target di impatto climatico ed energetico ed è suddiviso in più fasi tali da consentire la puntuale rilevazione dei risultati raggiunti. L’obiettivo è la produzione di Green Steel nel nostro Paese”. Per i giudici di Palazzo Spada le misure di tutela ambientale e sanitaria già sono state adottate e non esistono prove di ritardi e inadempimenti sulla loro realizzazione, quindi “non risulta sufficientemente provata quella situazione di assoluta e stringente necessità presupposta dall’ordinanza” del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci.

Nella prospettiva dei giudici, non è provato quello “stato di grave e imminente pericolo” che il Tar di Lecce aveva posto alla base della propria decisione con cui aveva ritenuta legittima l’adozione dell’ordinanza del sindaco. “Nelle motivazioni dell’ordinanza contingibile e urgente – si legge – non sono stati rappresentati fatti, elementi o circostanze tali da evidenziare e provare adeguatamente che il pericolo di reiterazione degli eventi emissivi fosse talmente imminente da giustificare l’ordinanza contingibile e urgente, oppure che il pericolo paventato comportasse un aggravamento della situazione sanitaria in essere nella città di Taranto, tale da dover intervenire senza attendere la realizzazione delle migliorie secondo la tempistica prefissata”.

Il Consiglio di Stato non entra nel merito dell’impatto ambientale dello stabilimento sulla città di Taranto, ma si limita a valutare la legittimità dello strumento dell’ordinanza adottata dal sindaco. “Si controverte della legittimità dell’ordinanza contingibile e urgente n. 15, del 27 febbraio 2020, con la quale il sindaco di Taranto ha imposto, alla società che gestisce l’impianto siderurgico “ex Ilva” e a quella che ne è proprietaria, l’individuazione e l’eliminazione delle criticità che hanno comportato le immissioni di fumi dell’agosto del 2019 e di odori del febbraio 2020, ordinando, in caso contrario, lo spegnimento della cosiddetta area a caldo, per evitarne la possibile ripetizione.

Non si giudica, invece, del complessivo impatto ambientale e sanitario determinato dalla presenza sul territorio dello stabilimento siderurgico tarantino, nonché delle questioni connesse (anche oggetto di separati giudizi in separate sedi giudiziali), le quali si stagliano sullo sfondo della questione qui controversa”, scrivono i giudici di Palazzo Spada. Secondo la valutazione del Consiglio di Stato, non si mette in discussione la crisi ambientale e sanitaria della città, ma piuttosto la necessità di intervenire con ordinanza: “Se è pacifico che nella città di Taranto vi è una problematica di carattere sanitario e ambientale”, però “per fronteggiare questa situazione è stata già adottata legislazione a carattere speciale che ha integrato quella del d.lgs. n. 152/2006, per rafforzare, proprio sul versante sanitario, le misure di tutela”. I giudici, quindi, evidenziano il difetto di urgenza dell’ordinanza.

“Credo ci sia un ostacolo in meno rispetto alla realizzazione del piano industriale e del piano del governo, ma non deve essere una ragione per diminuire l’ambizione sull’ambientalizzazione della produzione dell’acciaio. Nel Recovery ci sono risorse che vanno immediatamente attivate e farlo con un contenzioso risolto è sicuramente un fatto che agevola”, commenta il ministro del Lavoro, Andrea Orlando.

Il sindaco Melucci però non ci sta: “La battaglia continuerà finché non ci sarà un tavolo per l’accordo di programma che sancisca la chiusura dell’area a caldo dello stabilimento. Con la mia ordinanza abbiamo chiamato lo Stato alle sue responsabilità sul futuro dell’ex Ilva e sulla salute dei tarantini. Ora la palla passa alla politica e al Governo”, dice.

Il comitato cittadino per la salute e l’ambiente di Taranto pensa già ai ricorsi: “Le nostre ragioni sono e saranno più solide di quelle dell’acciaio. Assieme alle associazioni di Taranto ci faremo promotori di un’iniziativa di tutela multilivello che solleciti contemporaneamente la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo, il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia di Ginevra, la Commissione Europea di Bruxelles, tutti gli organi nazionali preposti alla tutela dell’infanzia e infine anche la Procura della Repubblica per quanto di propria competenza”, annuncia.

Intanto, ieri Acciaierie d’Italia ha confermato alle organizzazioni sindacali di Genova, dove c’è stata una manifestazione di protesta, di voler mettere in cassa integrazione ordinaria i dipendenti dello stabilimento della ex Mittal a Cornigliano a partire dal 28 giugno e ha respinto la richiesta di sospensiva di rsu, Fiom, Fim e Uilm di Genova.


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