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Con qualche ritardo rispetto alle evidenze giudiziarie, anche la Chiesa scopre che le mafie sono al Nord, che hanno duplicato il loro organigramma strutturale fuori regione e che in territori lontani da quelli della loro genesi storica hanno gli affari più grossi. Il dicastero del Vaticano per lo Sviluppo umano integrale ha, infatti, riunito la commissione che lavora alla scomunica dei mafiosi con l’obiettivo di estenderla a tutta l’Italia, essendo le sanzioni canoniche attualmente in vigore soltanto in Sicilia.

All’incontro c’erano il sacerdote anti-mafia don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, l’ex procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, attuale presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, e l’arcivescovo di Monreale, monsignor Michele Pennisi, nella cui diocesi è stato dato alle fiamme il portone della chiesa di Corleone.

«La scomunica dei mafiosi va uniformata a livello nazionale perché questo vuoto normativo a livello generale è dovuto alla difficoltà nel conoscere i meccanismi con cui il malaffare legato a questa tipologia di associazioni criminali ha potuto insinuarsi e radicarsi in tutti i gangli della società a livello nazionale», ha detto, a margine dell’incontro, il presule siciliano.

E gli ha fatto eco Pignatone per il quale «la criminalità organizzata non è più un’emergenza solo del Mezzogiorno ma anche al Nord e al centro». «I clan – ha aggiunto l’artefice dell’operazione “Crimine Infinito”, che, coordinata non a caso dalle Dda di Reggio Calabria e di Milano, portò a 300 arresti – vanno dove ci sono i soldi e con la crisi è più conveniente per loro fare affari lontano dalle loro terre sempre più impoverite e intrecciare rapporti con potentati economici e politici in ogni regione».

Risale, del resto, al 2014 l’esplicita condanna della criminalità organizzata da parte di Papa Francesco, che la pronunciò a Sibari, in Calabria, terra di ‘ndrangheta, organizzazione criminale oggi presente al Nord con 46 “locali” (di cui 25 attivi soltanto in Lombardia).

Il gruppo di studio ha pertanto l’incarico di approfondire la minaccia delle mafie alla Chiesa e alla società civile e di indicare alle Conferenze episcopali regionali come estendere a tutta Italia la scomunica per i mafiosi.

La pervasività della ‘ndrangheta nelle regioni più produttive del Paese, dove hanno il grosso del loro fatturato, è un fenomeno che, come attestato da una caterva di dati processuali, chiama in causa la società civile del Nord, ovvero pezzi di imprenditoria e professionisti, che con i boss e i loro gregari vanno a braccetto. Senza dire delle infiltrazioni nella politica e nelle istituzioni, dal momento che gli arresti e le condanne per voto di scambio politico-mafioso si succedono con frequenza impressionante anche al Nord.

«Ci siamo chiesti perché la scomunica non valga in quei luoghi in cui vi sia la presenza di associazioni mafiose, i cui aderenti non risultano invece colpiti da scomunica in assenza di un decreto formale da parte dei singoli vescovi o delle conferenze regionali o nazionali – ha detto monsignor Pennisi – L’obiettivo è estendere all’episcopato italiano e mondiale ciò che nelle diocesi siciliane è stato stabilito per chi si rende colpevole di peccato di omicidio collegato alla mafia». Un cambio di passo che ha a che fare con una presa di consapevolezza della minaccia globale delle mafie.

Nell’anniversario del monito di San Giovanni Paolo II ai mafiosi, quel “convertitevi” che sancisce l’incompatibilità tra l’appartenenza alla Chiesa e ai clan mafiosi vale anche al Nord, dunque. Del resto, proprio di recente, in occasione della “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie”, Papa Francesco ha ricordato l’impegno dei suoi predecessori contro le mafie e, al termine dell’Angelus, ha affermato che sfruttando la pandemia si stanno arricchendo con la corruzione. Temi al centro anche di una riflessione del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, pubblicata da Famiglia cristiana. “Celebriamo al Pasqua uscendo dalla zona grigia della ‘ndrangheta”, è il titolo dello scritto del magistrato sul settimanale d’ispirazione cattolica.

Insomma, qualcosa sta cambiando nel modo di percepire la portata dell’attacco delle mafie all’economia legale. Quelle che una volta venivano chiamate le “aree non tradizionali” di espansione delle mafie italiane e in particolare della ‘ndrangheta (peraltro l’unica organizzazione criminale ad essere presente in tutti i continenti) necessitano una risposta coerente e comune.

Ed è ormai superata la visione secondo cui l’espansione delle mafie sia equiparabile a una patologia contagiosa, alla stregua di un esercito che invia nei territori di conquista dei presidi. La situazione è alquanto diversa. Difficile dire, però, se Paesi come la Germania o il Regno Unito, per fare degli esempi eclatanti, che sul fronte antiriciclaggio e degli accertamenti patrimoniali non hanno normative avanzate come quelle vigenti nel nostro Paese, seguiranno il modello italiano.

Intanto, l’Italia ha finanziato l’iniziativa Interpol di attacco globale e non è chiaro se gli altri Paesi si “adegueranno”. Chi non vuole capire che le mafie che non sparano sono altrettanto pericolose di quelle sanguinarie che tengono sotto scacco interi territori del Meridione d’Italia (“al Sud i delitti e al Nord gli affari”, è un vecchio leit motiv) non ha colto che c’è un fenomeno autonomo che chiama in causa tratti peculiari delle società del Nord Italia e del Nord Europa.

Le mafie vanno là dove c’è la polpa, cioè gli affari, il potere, e la loro possibilità di mimetizzarsi è accresciuta non solo dalle loro competenze di illegalità ma anche dalle relazioni di complicità nella sfera (apparentemente) legale dell’economia, della politica, delle istituzioni. E chissà su quel “convertitevi” verrà esplicitamente rivolto anche alla zona grigia, quella dove si muove la direzione strategica delle mafie.


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