Un consiglio dei ministri a Palazzo Chigi
3 minuti per la letturaNEL dibattito politico che anima la campagna elettorale non mancano le prese di posizione, e le conseguenti polemiche, su chi debba assumere la guida del Governo dopo le elezioni. Se la designazione del Presidente del Consiglio dei Ministri spetti al partito che ha ottenuto la maggioranza, sia pure relativa, dei voti, e se chi ha guidato la formazione vittoriosa possa pretendere di formare il Governo che si presenterà alle Camere per chiedere la fiducia.
E’ comprensibile che la candidatura venga avanzata da chi guida il partito che nei sondaggi è accreditato con la maggiore percentuale di voti e, come appunto Giorgia Meloni, si dichiara pronta ad assumere l’incarico di Presidente del Consiglio e guidare il nuovo Governo. Come pure è comprensibile che le forze politiche che le si contrappongono nella competizione elettorale contestino questa come una inammissibile pretesa. Accade spesso che la realtà manifesti una fantasia che supera le previsioni e ponga problemi diversi da quelli che sono stati immaginati.
Ad esempio quale panorama si presenterebbe se un partito ottenesse una pur consistente maggioranza relativa di voti, ma il raggruppamento che lo vede capofila nel suo insieme non fosse maggioritario: Per converso, che cosa accadrebbe se il raggruppamento ottenesse la maggioranza, ma il partito capofila non potesse vantare una sua maggioranza non solamente rispetto al capofila del raggruppamento avversario, ma anche nell’ambito del proprio raggruppamento. Inoltre che cosa accadrebbe se nessun raggruppamento fosse autosufficiente per assicurare una chiara maggioranza parlamentare. Infine, in tutte le ipotesi si sarebbe in presenza di coalizioni tra forze politiche elettoralmente alleate, ma pure in competizione tra di loro, la cui solidale tenuta deve essere mostrata nei fatti. Allora è evidente che essere il partito più votato, condizione alla quale aspirano su fronti contrapposti sia Giorgia Meloni per Fratelli d’Italia sia Enrico Letta per il Parito Democratico, ha un valore simbolico e suggestivo, ma è di per sé privo di effetti vincolanti, e del resto manifesterebbe un successo che nelle previsioni al più raccoglierebbe circa un quarto per ciascuno del corpo elettorale.
I fatti, come del resto vogliono già le norme costituzionali, riconducono al Presidente della Repubblica quale arbitro, nella partita tra le forze politiche per conquistare il Governo ed assumere la guida politica del Paese. Il suo compito è agevolato se, come a volte ha ricordato il Presidente Mattarella, i giocatori sono corretti e giocano una buona partita nell’interesse del Paese. La costituzione prevede una doppia chiave: il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri; il Governo deve avere la fiducia delle Camere. Il potere del Presidente è funzionale rispetto all’obiettivo di dotare le istituzioni di un Governo che ottenga la fiducia parlamentare e possa esercitare pienamente le proprie attribuzioni.
Questo obiettivo è a fondamento della prassi che prevede consultazioni dei Presidenti della Camera e del Senato, delle forze politiche presenti in Parlamento, per conoscerne gli orientamenti, le valutazioni e perfino le proposte, senza tuttavia essere vincolato da queste. É evidente che il compito del Presidente è facile se un partito, coeso al proprio interno, ha una chiara maggioranza in Parlamento o può contare sulla solida alleanza di forze minori. È un compito più complesso se si presenta una coalizione tra partiti diversi, che pur formando una maggioranza possono offrire indicazioni non del tutto omogenee. É un compito difficile quando la maggioranza parlamentare deve essere costruita e la formazione del Governo richiede un’opera maieutica dell’arbitro.
In questi ultimi casi può accadere, come a volte è avvenuto in passato, che il Presidente del Consiglio sia persino individuato tra le forze politiche di minore consistenza, quale punto di equilibrio tra quelle maggiori che concorrono a comporre il Governo. In conclusione, se nessuno dei giocatori ha lo scudetto sulla maglia prima che la partita sia finita, chi al termine può contare su una consistente maggioranza ed ha buone capacità di intessere alleanze e costruire gioco di squadra ha buone possibilità di vedersi assegnare la coppa, ma non può avere la pretesa di prendersela togliendola dalle mani del Presidente.
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