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Roberto Gualtieri

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Il fascismo di certo non c’è più ma il comunismo furbo del comparaggio di potere quello sì, altroché. Rachele Mussolini che prende tutti i voti a Roma – con buona pace del Corriere della Sera che se ne scandalizza – non sposta un bicchiere ma Gualtieri che arriva al Campidoglio, di una torta a doppio strato guarnita di Giubileo in arrivo e l’Expo da fare, sa che farsene, altroché.

Rachele può solo essere una nipote ma un Gualtieri cresciuto alla scuola di partito del Pci è un erede, e tutta quella furbizia della doppiezza ce l’ha nel suo corredo, altroché.

Il comunismo da temere non è certo quello genuino di Marco Rizzo ma quello furbo che comanda, quello dei magistrati compiacenti, sempre loro, ed è quello dei giornalisti di regime – sempre loro – nonché quello degli affaristi sempre pronti a farsi gli affari loro. Nella cupola loro, col comunismo furbo che sa sempre dove stare. Per stare al meglio a tavola.

E figurarsi cosa non stanno facendo per riconquistare Roma. Tiene famiglia il comunismo furbo del comparaggio e sa dove andare a prendersi il dovuto tributo. Il vero sondaggio è la sostanza di un calcolo facile.

Con tutti i dipendenti Rai che vivono a Roma, e coi loro parenti, con tutti quelli che lavorano nei ministeri, col parastato, con tutto il gregge di Santa Romana Chiesa, sempre grata al potere – e con tutti quelli che devono far carriera – altroché se non è solida la democrazia compiuta del comunismo implicito di tutto questo potere esplicito.

Una massa fabbricata in anni di egemonia stagna nell’automatismo. Con l’accorta assenza del popolo – presente solo nell’astensione sempre più forte – e nel riflesso condizionato poi, dei cosiddetti veri liberali, storicamente incapaci di alloggiare fuori dall’ombra rassicurante del comunismo fatto sistema.

Certo, non lo chiamano comunismo il loro comunismo, i comunisti.

Dicono sia progressismo, perfino riformismo, magari liberal-socialismo e di certo è la cuccia calda della sinistra, la botola in cui – e lo sanno benissimo – prima o poi andranno a rinchiudersi tutti, ma proprio tutti, senza eccezione alcuna. Come Carlo Calenda, eroico portabandiera del libero mercato, il testimone della più intraprendente battaglia della modernità in una sfida in solitaria, adesso già inghiottito dai comunisti in marcia verso il municipio, a confermare – nell’illusione di averli presi, i suoi nemici – il dettato di Vladimir Il’i Ul’janov: “Ci venderanno la corda con cui li impiccheremo”. Inghiottito, altroché. Preso al laccio.


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