Marine Le Pen ed Emmanuel Macron
6 minuti per la letturaTANTO rumore per nulla, viene da dire citando William Shakespeare, ma soprattutto osservando il secondo turno delle elezioni regionali francesi. Sette regioni alla destra moderata e post-gollista e cinque alla sinistra, con i socialisti che ribadiscono il loro radicamento locale. E il Rassemblement di Marine Le Pen ancora a secco. Insomma, una riconferma del quadro del 2015?
In realtà questa è la lettura di chi aspira a minimizzare il significato del voto di queste due domeniche di giugno. Chi cerca di sottolineare, nel campo di Marine Le Pen e di Emmanuel Macron in particolare, la dimensione locale e quella legata all’astensionismo, con il desiderio di chiudere rapidamente questa infausta parentesi. Al contrario alcune importanti indicazioni sono evidenti dopo questo scrutinio e, pur senza assolutizzarle, si può affermare che le basi della lunga campagna elettorale presidenziale che si apre proprio da questo momento, hanno caratteristiche in parte mutate rispetto alle attese. Ma procediamo con ordine.
Si è fatto un accenno al tema dell’astensionismo ma non basta. Si tratta di un dato impressionante. E se ci si attendeva un aumento della partecipazione al secondo turno, occorre accontentarsi di un punto percentuale. Dal 67% di astensionismo si è passati al 66%. Su questo dato occorre fare delle riflessioni che chiamano in causa il distacco dei francesi dalla politica, peraltro proprio nel momento in cui sono chiamati ad eleggere quei dirigenti locali (si votava anche per le dipartimentali) che nei sondaggi di opinione solitamente ottengono livelli maggiori di gradimento rispetto ad esempio ai parlamentari.
Occorrerà nelle prossime settimane analizzare in maniera scientifica i flussi di voto per verificare se realmente a mobilitarsi poco sia stato l’elettorato lepenista (il discorso non vale più di tanto per il disastroso score de La République en Marche, il partito del presidente). Proprio questa scarsa partecipazione deve naturalmente mettere in guardia dall’attribuire un eccessivo significato politico nazionale al voto. Con due francesi su tre che hanno scelto il mare o la campagna al posto dell’urna elettorale, bisogna essere cauti nel dare per chiusa la parentesi aperta con il voto presidenziale del 2017 e poi confermata dalle europee del 2019 rispetto alla quale a dominare lo scenario politico francese sarebbe la coppia Le Pen-Macron.
Proprio questo riferimento permette di entrare nell’analisi che tocca il significato politico del voto regionale. Le Pen e Macron sono i perdenti certi. Sia per l’impegno personale che avevano profuso nella campagna elettorale, basti pensare al tour dei comuni svolto dal presidente e da un itinerario simile organizzato dalla leader del Rassemblement National, sia per i dati davvero deludenti. In questo secondo turno, a livello nazionale, LRM si è fermata al 7%, mentre il RN è arrivato a stento al 20%. Una debacle rispetto alla quale fa da contraltare l’ottima performance de Les Républicains e l’altrettanto importante tenuta dei socialisti, non particolarmente insidiati dal partito ecologista, al quale non è riuscito lo sfondamento operato alle europee del 2019. LRM e RN escono con le ossa rotte dal doppio scrutinio.
Non bisogna però dimenticare l’importanza del traino della personalizzazione nello scrutinio presidenziale. Ad oggi Le Pen e Macron vengono ancora dati al ballottaggio nelle elezioni previste nel maggio 2022 ancora da tutti i principali sondaggi. Ed è proprio il tema della personalizzazione che domina l’elezione all’Eliseo a rendere ancora così poco reali le possibilità per LR e PS nella primavera del 2022. Considerare chiusa la parentesi del 2017, con un’apparente fine del bipolarismo classico gauche/droite e l’inaugurarsi di una nuova contrapposizione tra France d’en haut e France d’en bas, incarnate rispettivamente da Macron e da Le Pen, può essere ritenuto al momento un azzardo.
E questo essenzialmente perché né i post-gollisti, né tanto meno i socialisti possono vantare un candidato di alto spessore e soprattutto in grado di superare divisioni e lotte fratricide così da presentarsi con qualche possibilità di rompere il dualismo Le Pen-Macron. Xavier Bertrand, forte della sua trionfale rielezione in Hauts-de-France, ha ribadito la sua candidatura per il 2022 e ha invitato gli altri due pesi massimi del partito, rieletti alla guida delle rispettive regioni, a costruire una squadra di governo competitiva per il Paese. Valérie Pecresse (confermata presidente dell’Ile-de-France) e Laurent Wauquiez (presidente confermato della regione Auvergne-Rhône-Alpes) al momento attendono e difficilmente scioglieranno la riserva prima di fine agosto.
A questi tre potenziali candidati si deve aggiungere l’altrettanto potenziale, ma particolarmente forte, Michel Barnier. Se quello de Les Républicains è un problema di leadership interna, per i socialisti il quadro è dominato da una doppia incognita. Da una parte il non decollo di Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, accreditata di poco più del 6%. Dall’altro lato vi è un ulteriore grosso problema nel campo più ampio della sinistra, tra gli ambientalisti in crescita e Mélenchon con un suo abbastanza stabile bacino di voti all’estrema sinistra. In definitiva è sicuramente presto per poter affermare con sicurezza che il clivage destra/sinistra sia di ritorno.
Ma allo stesso tempo non mancano importanti indicazioni per la coppia Le Pen/Macron. Se Marine Le Pen e il suo Rassemblement National puntano perlomeno ad un nuovo ballottaggio presidenziale devono tornare a vestire i panni del partito anti-establishment. Il lavoro di “ripulitura ideologica” operato dalla figlia del fondatore se portato a livelli estremi finisce per spingere almeno una parte dell’elettorato ad optare per un voto di destra moderata. Un RN tramutatosi in un moderno partito conservatore, con soltanto alcune “asprezze” sul tema migranti e qualche “strillo” sul tema europeismo, ha come unica chance quella di perdere iscritti, simpatizzanti e di conseguenza elettori.
Macron dal canto, suo dopo questo voto, deve prendere definitivamente atto che l’operazione di impiantare sul territorio La République en Marche è fallita. A questo punto la domanda è una: potrà vincere una seconda elezione presidenziale senza un partito di riferimento che possa definirsi tale? Come potrà nuovamente presentarsi come il candidato “né di destra, né di sinistra”? E soprattutto, di fronte al riemergere della dinamica droite/gauche, potrà continuare a non prendere una posizione netta? In definitiva il voto di queste regionali, oltre a certificare il disincanto e la vera e propria fatica democratica che nel contesto francese hanno raggiunto picchi preoccupanti, sembra rimettere mano alle certezze che il panorama politico transalpino sembrava aver strutturato dal 2017 in avanti. Il remake del duello Macron-Le Pen non è per nulla scontato seppur al momento confermato dai sondaggi.
Tutto ciò potrebbe avere non trascurabili effetti anche al di fuori dell’Esagono. Macron dovrà mettersi “ventre a terra” a lavorare per rendere concrete le sue chances di rielezione. Questo per forza di cose distoglierà energie preziose su temi quali l’europeismo, l’immigrazione, l’evoluzione geopolitica nel Mediterraneo, il rapporto con Russia, Cina e Stati Uniti o perlomeno potrà finire per “politicizzare” maggiormente alcune di queste tematiche. Se vogliamo attribuire una lettura “continentale” al voto insomma possiamo dire che se a Berlino, con l’uscita di scena di Merkel, verranno a mancare alcune certezze, anche da Parigi tendono ad affiorare parecchie incognite.
Un solo dato sembra ad oggi certo: dopo il voto di questo fine giugno il presidente in carica non si potrà accontentare di impostare la sua campagna elettorale per la rielezione sul tema del “rischio Le Pen”. In fondo Marine Le Pen ed Emmanuel Macron sono stati in questi quattro anni abbondanti funzionali l’una all’altro. Entrambi escono da questo voto con meno certezze.
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