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Il tasso di disoccupazione cala di 0,2 punti percentuali, attestandosi a un 5,8% e il tasso di occupazione sale al 62,5% (+0,1 punti), con un incremento ad ottobre di 47mila occupati, un miglioramento che tuttavia non incide in modo deciso al Sud, alla luce dell’esclusione dal mercato del lavoro di giovani e donne
Il tasso di disoccupazione – dati Istat del mese di ottobre 2024 rispetto al mese precedente – cala di 0,2 punti percentuali, attestandosi a un 5,8%, quello giovanile al 17,7% (-1,1 punti). Di contro il tasso di occupazione sale al 62,5% (+0,1 punti), con il mese di ottobre che registra un incremento di 47mila occupati. E il numero di persone in cerca di lavoro diminuisce (-3,8%, pari a -58mila unità) per uomini e donne e per tutte le classi d’età.
Tutto bene? Non proprio, almeno per le regioni del Mezzogiorno. Perché – dal momento che il +0,2% di occupazione coinvolge gli uomini, i dipendenti permanenti, gli autonomi e chi ha almeno 50 anni di età – tra la componente femminile l’occupazione resta invariata, così come quella dei 15-24enni, mentre diminuisce tra i 25-49enni e tra i dipendenti a termine. Proprio quelle fasce demografiche e occupazionali già deboli nelle regioni del Sud, dove l’occupazione femminile è tra le peggiori non solo d’Italia, ma d’Europa e dove resistono, o calano meno, più che in altre parti i contratti part-time (spesso involontario).
OCCUPAZIONE AL SUD, L’ANALISI DEL RAPPORTO SVIMEZ
Non a caso, nel rapporto Svimez 2024, pubblicato la scorsa settimana, si legge: “Nelle regioni meridionali più di un lavoratore su cinque è assunto con contratti a termine: 21,5%, contro una media europea del 13,5%. Le forme contrattuali a tempo determinato sono più diffuse fra le donne e i giovani”. Oltre al fatto che “la contrazione del part-time involontario è particolarmente significativa nel Nord-Ovest (-189mila; -25,3%) e nel Nord-Est (-168mila; -32%), rilevante al Centro (-104mila; -16,4%) e, meno pronunciata nel Mezzogiorno (-90mila; -9,9%)”.
La premier Meloni non si lascia sfuggire il dato Istat: “Accogliamo positivamente i dati di ottobre diffusi oggi dall’Istat con l’occupazione in salita e il tasso di disoccupazione che scende – ha scritto su X la Presidente del Consiglio nel primo pomeriggio di ieri – Dati che ci incoraggiano a proseguire con determinazione il lavoro per rafforzare l’occupazione, sostenere famiglie e imprese, e costruire un futuro di crescita e stabilità per l’Italia”. “Per l’Italia” significherebbe per l’intero Paese, a fronte di regioni del meridione che, seppure in risalita dopo la crisi post-pandemica, crescono a macchia di leopardo e ancora a fatica.
L’AUMENTO DELL’OCCUPAZIONE RILEVATA DALL’ISTAT
L’aumento dell’occupazione rilevata dall’Istat va quindi letta anche e soprattutto attraverso la distribuzione dei nuovi posti di lavoro, sia in termini numerici e qualitativi, che di opportunità di genere e ricadute geografiche. In altre parole, se in termini assoluti il dato Istat di un arretramento del tasso di disoccupazione è in linea, anche per quanto riguarda il Sud, con la crescita registrata dal Rapporto Svimez 2024 nel post pandemia – nella prima metà del 2024, rispetto alla prima metà del 2023, l’occupazione è cresciuta del 2,5% nel Mezzogiorno, circa il doppio del resto del Paese (1,2%) con un numero di occupati del +5,4% – le caratteristiche del recupero occupazionale confermano le disparità di sempre a svantaggio di donne e giovani in quell’area.
CRESCE L’OCCUPAZIONE OLTRE I 50 ANNI
“La concentrazione dell’espansione dell’occupazione nella fascia di età “50 e oltre” – si legge ancora nel rapporto Svimez – ha interessato tutte le macroaree con la stessa intensità (intorno al +9%), più che compensando le perdite della fascia centrale“35-49”, e superando la crescita degli occupati più giovani. Se però gli occupati più anziani sono cresciuti allo stesso ritmo in tutto il Paese, la ripresa occupazionale post-pandemica pare aver reso “più vecchio” soprattutto il mercato del lavoro meridionale. Al Sud, infatti, è più contenuto il calo della fascia “35-49” (-2,5% contro -6,6% al Centro e -8% al Nord) e meno marcata la crescita dell’occupazione giovanile (+4,6% contro una media nazionale del +5,5%)”.
Sempre secondo i dati Istat pubblicati ieri, insieme agli occupati, aumentano anche gli inattivi (anche definiti “non forze di lavoro”, le persone cioè che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o disoccupate): il tasso di inattività sale al 33,6% (+0,1 punti). Ma come? Con la stessa dinamica di genere e anagrafica, perché di nuovo il numero di inattivi aumenta (+0,2%, pari a +28mila unità) tra le donne e gli under 35, mentre diminuisce tra gli uomini e le altre classi d’età.
Svimez conferma: “Quanto alla composizione per genere, sono osservabili dinamiche molto eterogenee tra territori: in valore assoluto, nelle regioni meridionali e del Centro è cresciuta di più la componente maschile, nel Nord-Ovest e nel Nord-Est quella femminile. In presenza di una crescita percentuale media dell’occupazione femminile superiore all’analogo dato degli uomini (+3,8% contro +3,3%), al Sud con la ripresa non si osservano segnali apprezzabili di convergenza di genere.
LA REGIONE DEL SUD DOVE L’OCCUPAZIONE È MENO “DONNA”
La regione del Mezzogiorno dove la nuova occupazione è “meno donna” è la Campania (+4,8% gli uomini, +1,5% le donne); in Sardegna, l’occupazione a fine 2023 era calata più nella componente femminile che in quella maschile; di segno opposto la tendenza in Puglia e Basilicata, dove l’occupazione femminile è cresciuta a ritmi più sostenuti. Il post-pandemia si è dunque caratterizzato per una significativa ripresa dell’occupazione, che si è accompagnata con la positiva evoluzione di alcuni aspetti qualitativi, in particolare a tempo indeterminato e a tempo pieno, che tuttavia, soprattutto nel Mezzogiorno non mutano la natura frammentata del mercato del lavoro con livelli anomali, rispetto agli indicatori europei, di precarietà giovanile e di discriminazione della componente femminile”.
Sull’aspetto femminile, il versante occupazionale è carente al Sud ormai da decenni. Non a caso, l’investimento sull’inserimento lavorativo delle donne nel Mezzogiorno è considerato da anni e da organi come la Corte dei Conte e l’Inps non solo auspicabile, ma in grado, ove attuato, di rigenerare il tessuto economico e la situazione previdenziale dell’intero Paese. Va detto che sulle donne ricade – soprattutto al Sud dove il welfare, l’assistenza territoriale socio-sanitaria e i servizi all’infanzia sono assenti e/o insufficienti – il ruolo di caregiver più o meno volontario.
Che non solo non è retribuito, ma costringe la componente femminile attiva della famiglia a lasciare il posto di lavoro per accudire le persone fragili del nucleo di appartenenza. E una spia di questa scelta “obbligata” è il numero registrato dall’Inps al Sud, e sbilanciato a favore degli uomini, del ricorso alla legge 104: usufruiscono dei relativi permessi dal lavoro dal momento che – a differenza di mogli, madri, sorelle e figlie – non rinunciano al lavoro stesso.
L’ANALISI DI CONFCOMMERCIO
Un aspetto su cui è intervenuta anche Confcommercio: “L’aumento dell’occupazione, dopo lo stop di settembre – è il commento dell’Ufficio Studi ai dati Istat – al di là del nuovo massimo in termini aggregati, è favorevolmente caratterizzato dalla crescita dei dipendenti a tempo indeterminato e da quella della componente autonoma. Al contrario, desta nuove preoccupazioni la tendenza alla riduzione del tasso di attività femminile che prosegue ormai da dodici mesi. La rinuncia alla partecipazione al mondo del lavoro, in questo caso, non risiede tanto in una mancanza di opportunità di trovare un’occupazione (l’incremento nel confronto annuo è di 174mila unità), ma origina dalle perduranti difficoltà di contesto sociale e familiare”.
Insomma, a restare indietro ancora una volta sono donne e giovani, soprattutto quei giovani che fino alla soglia dei 50 anni non riescono a cogliere valide opportunità di formazione e di inserimento o reinserimento lavorativo nel proprio luogo di nascita e residenza, specie se questo è al Sud. Vale a dire in quei territori maggiormente e sistematicamente colpiti dall’emigrazione formativa e lavorativa anche tra gli over 40 e 50.
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