Luca Bianchi direttore di Svimez
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Il rapporto Svimez 2024 conferma la crescita record del Sud dell’anno scorso ma prevede una frenata per i prossimi due anni. Colpa anche dei tagli previsti nella manovra economica. “Con lo stop alla decontribuzione 25mila posti in meno”. Prosegue la fuga dei giovani al Nord
Non levate la benzina al Sud! Benzina sono state le politiche di sostegno messe in campo nel post Covid i cui effetti, diversamente dal passato, si sono dispiegati in maniera omogenea su tutto il territorio, consentendo al motore meridionale di riprendere a girare, e anche con un ritmo maggiore di quello del resto del Paese, che intanto rallentava registrando la frenata della locomotiva tedesca. Ma è benzina anche la messa in campo di una visione, di una strategia per il Mezzogiorno che consenta al motore di non perdere giri.
Le prime sono agli sgoccioli per il venir meno dell’emergenza e per l’austerity necessaria per rientrare dal debito pubblico monstre che zavorra il Paese, e le tabelle della manovra danno già misura dell’impatto per il Sud: – 5,3 miliardi nel triennio 2025-2027, per lo più imputabile al taglio di Decontribuzione Sud, lo sgravio sul costo del lavoro, che da solo rischia di costare 25mila posti e due decimi di crescita del Pil meridionale. Mentre un progetto per lo sviluppo del Sud, che vada oltre il Pnrr anch’esso quasi a fine stagione, ancora non s’intravede. L’appello è risuonato nell’Aula Magna della Pontificia Università Gregoriana che ieri ha ospitato la presentazione del Rapporto Svimez 2024, e i numeri e le infografiche illustrate dal direttore generale dell’Associazione, Luca Bianchi, ne spiegano le ragioni.
LO SVIMEZ E IL SUD, LA CRESCITA DEL 2023 CONFERMATA NEL 2024
Nel 2023 il Mezzogiorno è cresciuto con un ritmo maggiore rispetto al resto del Paese (+ 1,3% contro lo 0,5% del Centro Nord, e lo 0,7% dell’Italia). In base ai più recenti dati di contabilità, rivisti dall’Istat a settembre 2024, in termini cumulati il Pil meridionale è cresciuto al +5,1% tra il 2019 e il 2023, superando il Centro-Nord al +4,4%. Il 2024 è ancora all’insegna della crescita, ma la distanza si accorcia: il Sud crescerà dello 0,9%, dello 0,7% il resto del Paese. Il 2025 e il 2026 segnano un ritorno al passato, o come scrive Svimez nel rapporto, alla “normalità”, con un Sud che torna ad arrancare dietro un Centro Nord in rimonta: l’anno prossimo e quello dopo il Pil meridionale crescerà, rispettivamente, dello 0,7% e dello 0,8%, quello del Centro Nord segnerà +1% nel 2025 e +1,1% nel 2026.
La sfida Pnrr diventa ancora più cruciale: nel triennio 2024-2026, al Sud gli investimenti del Piano valgono 1,8 punti percentuali di Pil meridionale, 1,6 nelle regioni del Centro-Nord: in media, circa tre quarti della crescita del Pil del Mezzogiorno nel triennio è legata alla capacità di attuazione degli investimenti del Piano, a fronte di circa il 50% nel resto del Paese.
La performance 2024 del Mezzogiorno è sostenuta dagli investimenti nelle costruzioni, con una dinamica maggiore che altrove (+4,9% contro il 2,7% del resto del Paese) trainati dalla spesa in opere pubbliche del Pnrr. Ma la domanda ne rivela la fragilità: i consumi delle famiglie tornano in negativo (-0,1% contro +0,3% nel Centro-Nord), frenati dalla crescita dimezzata del reddito disponibile rispetto all’anno scorso (+2,3% nel 2024 contro il +4,5% del 2023) e da una dinamica dei prezzi in rallentamento, ma lievemente più sostenuta rispetto al resto del Paese.
LA CRESCITA DELL’OCCUPAZIONE NEGLI ULTIMI TRE ANNI
L’occupazione è aumentata nell’ultimo triennio, ritornando ai livelli del 2008 che ancora nel 2019 non erano stati recuperati, ma tre milioni di lavoratori restano sottoutilizzati o non utilizzati, mentre sempre più spesso vive in indigenza anche chi ha un impiego, come 1,4 milioni di lavoratori poveri.
Il mercato del lavoro è la cartina di tornasole di un divario che resta profondo. Le retribuzioni sono spesso basse, tra part-time involontari, contratti precari e lavoro nero, e i salari reali si sono ridotti del 5,7% al Sud, tra il quarto trimestre 2019 e la prima metà del 2024, più che nel resto del Paese. E chi può fa la valigia in cerca di occasioni migliori, e sono sempre di più i profili maggiormente qualificati a partire, privando il territorio di quel capitale umano che essenziale per lo sviluppo: negli ultimi dieci anni sono stati quasi 200 mila i giovani laureati che si sono trasferiti al Nord. La “fuga dei cervelli” che riguarda l’intero Paese, in verità, ma se il Settentrione può rimpiazzare con i meridionali i suoi giovani che hanno oltrepassato i confini nazionali, nel Mezzogiorno resta il vuoto.
SANITÀ E “DEGIOVANIMENTO”
Allo spopolamento Svimez accosta il fenomeno del “degiovanimento”, un trend demografico che avrà un forte impatto anche sugli iscritti nelle scuole, tanto che quelle primarie sono a rischio chiusura in 3 mila comuni per mancanza di bambini. Ma anche quando gli alunni ci sono, gli edifici scolastici non sono adeguati e non offrono il tempo pieno: meno di un bimbo su tre nel Mezzogiorno ha accesso a una mensa scolastica e meno di uno su due a una palestra.
La sanità resta un’emergenza, su cui mette l’accento anche il cardinale Zuppi: “Al Centro Nord la speranza di vita è maggiore che al Sud e non va bene”, rileva. E l’autonomia differenziata rischia di approfondire il divario nel diritto alla salute, e su tanti altri fronti. “E’ da fermare”, torna a tuonare Svimez. “Lavoriamo insieme perché tutti abbaino l’eccellenza”, dice Zuppi.
REPORT SVIMEZ 2024, IL SUD CHE FA “GIRARE” IL MOTORE
Il Mezzogiorno ha mostrato di saper far girare il motore, con il giusto sostegno, quello che per tanti anni è mancato, gli anni in cui le risorse, complice il criterio della spesa storica, sono state dirottate al Nord. Non si chiede assistenzialismo, il Mezzogiorno ha le sua carte da giocare, che sono le sue tante eccellenze, ma sono anche legate alla riconfigurazione delle catene globali di approvvigionamento. Il contributo del Sud alle transizioni tecnologiche e industriali, sfruttando le sue specializzazioni in settori maturi, può diventare un fattore di crescita. Il Sud non è, infatti, un deserto industriale, sottolinea Svimez. Il suo peso è significativo in filiere nazionali strategiche come l’agroindustria, il navale, l’aerospazio, l’edilizia e l’automotive.
Gli stabilimenti del Mezzogiorno, che nel 2024 hanno prodotto circa il 90% degli autoveicoli italiani, hanno tuttavia subito un calo significativo nella produzione: una perdita di oltre 100mila unità rispetto al 2023, con la fabbrica di Melfi che ha visto un crollo del 62% nella produzione. “L’Automotive oggi è un problema nazionale, europeo”, rimarca il vicepresidente di Confindustria, Natale Mazzuca, lanciando anche l’allarme per la cancellazione di Decontribuzione Sud che, sottolinea, “è stata la principale misura su cui il sistema meridionale ha ‘tenuto’ ed è stata preservata la base degli occupati”. La misura che ne prenderà il posto, “ancora incognita”, “dovrà essere ugualmente efficace”, osserva.
Il Mezzogiorno è una “priorità assoluta” per il governo, assicura il ministro per la Protezione civile e le politiche del mare, Nello Musumeci, ma osserva che “non sempre vuole cambiare” tra “fatalismo, rassegnazione, riluttanza verso la formazione e familismo esasperato”. È un quadro che appartiene al passato secondo il presidente dell’Anci, Gaetano Manfredi, che descrive “un nuovo Mezzogiorno tanto impegnato, con tanti giovani di qualità e tanti bravi amministratori”.
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