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Nel documento del governo inviato a Bruxelles è previsto sulla carta un aumento della spesa per gli asili nido al Sud, ma si prende come base di riferimento il 2021 e si dimentica l’obiettivo del 33%


Chi decide di intraprendere una scalata ha il dovere di conoscere alcune regole fondamentali, che possono prevenire gli incidenti più frequenti. Tra queste troviamo i modi per legarsi in sicurezza, le distanze da rispettare in cordata, regole che non sempre vengono adottate dagli scalatori, i quali vanno, in questo modo, incontro alla possibilità di incappare in incidenti.
Ma una regola non va mai dimenticata quella di non intraprendere una scalata legandoti a chi pensi che prima o poi possa tagliare la corda alla quale sei appeso.

É quello che sembra accadere al Sud, che ritiene vi sia una regia nazionale per diminuire i divari. Non è così. Anzi la sensazione netta che spesso si ha riguardo ai provvedimenti che il Governo nazionale adotta è proprio quella che vi sia uno studio attento per trovare sistemi e modi per far arrivare meno risorse al Mezzogiorno. Per cui diventa necessaria una operazione di controllo attento dei singoli provvedimenti per evitare di essere fregati.
Cosa che diventa complicata perché a livello ministeriale non vi è una task force meridionale attenta a contrastare un’operazione continua che tende a fare in modo che si apportino i tagli, sempre necessari per un bilancio che deve prevedere una diminuzione del deficit annuale per evitare una crescita del debito pubblico.
Mentre invece vi è un’occupazione dei gangli più importanti dei ministeri, nei quali si verificano controlli attenti, per ogni provvedimento, per indirizzarlo in modo da essere favorevole al Nord.

ASILI NIDO AL SUD, LE CONTRADDIZIONI DELLA MANOVRA

Un ultimo esempio, ma non è difficile trovarne molti altri in precedenza, è quello relativo ai fondi per la gestione ordinaria degli asili nido. Nel documento inviato dal governo italiano alla commissione europea vi è un capitolo che parla dei Servizi per la prima infanzia. Per tale capitolo è previsto un aumento della spesa pubblica. In un momento in cui il crollo delle nascite rende l’Italia come uno dei paesi in cui la denatalità è più elevata consentire che vi sia un aumento degli asili nido e dei posti che ognuno di essi offre é un provvedimento che non può che essere virtuoso.

Ma poiché vi è l’esigenza di diminuire la spesa pubblica al ministero dell’economia ricorrono a lampi di genio. Visto che con il PNRR molti Comuni del Sud avranno una dotazione maggiore di asili nido e quindi la spesa relativa aumenterebbe si trova un escamotage per fregarli. Si fa base al 2021 in modo da evitare che l’aumento strombazzato del 20% della spesa per la gestione ordinaria possa avere una base di riferimento troppo ampia. Il risultato è che molti degli asili nido che si saranno costruiti con il PNRR e completati nel 2026 non avranno le risorse per essere gestiti.

ASILI NIDO AL SUD, LA SCOMMESSA DEL PNRR E GLI OBIETTIVI DELL’EUROPA

La necessità era quella di dare attuazione al PNRR in materia di asili nido, per raggiungere il nuovo obiettivo europeo del 45% di posti per i bambini e le bambine al di sotto dei 3 anni entro il 2030. In un Paese che rischia di non raggiungere neanche l’obiettivo del 33% fissato nell’ormai lontano 2010, viene bypassato da un bagno di realtà. Per cui poiché non puoi far chiudere gli asili nido esistenti e funzionanti risparmi su quelli che dovrebbero essere aperti al Sud, rendendone impossibile il funzionamento.

E lo stesso discorso che sta avvenendo con i Lep. Visto che è impossibile attuarli, perché il loro costo porterebbe il deficit fuori controllo, allora cerco in tutti i modi di diminuire il loro livello, con algoritmi che prevedendo il costo della vita o altri parametri di contenimento li portino a livelli abbordabili e compatibili con il vincolo di un deficit accettabile dalla Commissione europea, senza aumentare la spesa e quindi rispettando l’invarianza di bilancio.

IL NODO DELLA POVERTÀ EDUCATIVA

Ovviamente la povertà educativa, che inizia con gli asili nido, continua poi al Sud con la mancanza di mense scolastiche che impediscono il tempo pieno, sempre per motivi di bilancio, e con una dispersione scolastica elevata che ha come conseguenza la povertà assoluta che si vede dagli ultimi dati disponibile sempre più in aumento. È un processo che porta successivamente a una incapacità di scegliere una classe politica adeguata per due ordini motivi: da un lato perché non vi è consapevolezza da parte dell’elettorato attivo, e dall’altro perché il processo migratorio impoverisce sempre più la proposta di elettorato passivo. Per cui la gente spesso non va più a votare.

Con questo approccio sarà difficile raggiungere quella soglia del 33%, soprattutto nel Mezzogiorno. Mentre la media nazionale si va avvicinando alla soglia del 30%, permangono forti disparità a seconda non solo delle diverse zone d’Italia – che vede opposti in termini di offerta e copertura dei servizi il Centro-Nord al Mezzogiorno – ma anche delle regioni. Umbria, Emilia-Romagna, Valle d’Aosta, Toscana, Lazio e Friuli-Venezia Giulia sono le uniche regioni, infatti ad aver già superato l’obiettivo del 33% e – tra di esse – solo l’Umbria ha raggiunto i 44 posti disponibili per 100 bambini tra 0 e 2 anni. Tra le regioni del Mezzogiorno, invece, solo la Sardegna supera la media nazionale, raggiungendo una percentuale di poco inferiore al 31%.

IL GAP CON IL NORD

Eppure, le differenze non si arrestano a livello regionale: anche a livello comunale permangono ingenti disparità, poiché i servizi tendono ancora oggi a essere maggiormente presenti e concentrati nei centri urbani, mentre nei comuni delle aree interne l’offerta rimane debole e dispersa. Tutto ciò favorisce lo spostamento della gente in cerca di lavoro, di assistenza sanitaria adeguata, in generale di servizi formativi. Non solo dal Nord al Sud del Paese ma anche dalle aree interne a quelle urbane, in un processo che sta impoverendo la realtà nazionale.


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