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La premier Giorgia Meloni con il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti

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Per evitare nuovo debito e trovare i 25-30 miliardi della prossima Manovra di Bilancio evitando pesanti tagli alle spese bisognerà accelerare i cantieri degli investimenti pubblici e confermare il ritmo di crescita che dal 2019 c’è stato nel Sud

I CONTI definitivi si faranno solo fra qualche settimana, quando arriveranno i dati sull’autoliquidazione Irpef e quelli sull’andamento del Pil nel terzo trimestre. Cifre che entreranno nella Nadef, la Nota di Aggiornamento al documento di Economia e Finanza che il governo deve presentare entro il 27 settembre. Ma, dalle parti di via Venti Settembre, si respira un cauto ottimismo.

Le prime indiscrezioni sul gettito fiscale, anche al netto dei risultati del concordato preventivo, sarebbero positivi, con un andamento superiore alle attese fra i 5 e i 10 miliardi di euro. Ma l’attenzione è soprattutto concentrata sulla crescita dell’economia. Nei primi due semestri dell’anno l’aumento del Pil ha superato le aspettative ed ha portato la cosiddetta “crescita acquisita” del 2024 allo 0,7%. L’obiettivo dell’1%, insomma, appare a portata di mano: sarebbe sufficiente un aumento dello 0,3% nei prossimi due trimestri. Un risultato che avrebbe un effetto di trascinamento anche nel 2025 contribuendo così a raggiungere quell’1,2% di aumento del Pil necessario per evitare nuovi sforamenti del deficit e per rendere più semplice raccogliere quei 25-30 miliardi necessari per la prossima legge di Bilancio.

Quello che però non si dice, o si sussurra in maniera più o meno esplicita è che, per far tornare i conti pubblici ed evitare di accumulare nuovo debito, sono due i motori che non possono e non devono fermarsi: Pnrr e Sud. Nel 2023, giusto per fare qualche numero, il Sud è cresciuto più della media nazionale. Non accadeva dal 2015. Non solo si è quindi ridotto il divario fra le due aree del Paese ma il contributo che è arrivato dal Meridione al Pil è stato rilevante. Come a dire: se l’Italia è cresciuta di più rispetto agli altri Paesi europei il merito non è stato di una manovra economia, ma è da attribuire, soprattutto, alla spinta arrivata dal Sud. Del resto, come spiega bene la Svimez, il 2023 ha visto una crescita del Sud pari al 3,7% rispetto al 2019 (l’anno prima della pandemia) rispetto al +3,5% nazionale e al +3,4% del Nord-Ovest (+5,1% invece il Nord-Est). Il risultato è che il Pil reale del Mezzogiorno è stato dell’1,3% contro la media nazionale dello 0,9% e superiore perfino al Nord_Est (+1%). Nei primi due trimestri il sorpasso non c’è stato ma il Sud si è allineato al dato nazionale contribuendo, quindi, in maniera decisiva alla tenuta del Pil.

Ad alimentare la crescita dell’area più debole del Paese è stata, soprattutto, la fine del ciclo della programmazione europea 2014-2020. Ma, soprattutto, l’accelerazione dei cantieri del Pnrr che, quest’anno (ma soprattutto nel prossimo) dovrebbero avere un ruolo fondamentale per la crescita del Pil. Secondo le stime della Svimez, gli investimenti pubblici previsti per quest’anno e per il 2025 dovrebbero far crescere l’economia meridionale di almeno lo 0,5%, in pratica quasi la metà dell’aumento del Pil messo nero su bianco dal governo. Come a dire: se il ministro dell’Economia riuscirà anche quest’anno a far quadrare i conti ed evitare una pesante manovra di tagli alla spesa (basti pensare che solo per confermare le misure in vigore, dal taglio del cuneo fiscale alla riforma dell’Irpef, servono circa 18 miliardi) dovrà puntare soprattutto sul Sud. Proprio nell’anno in cui, con l’autonomia differenziata, potrebbero invece crescere le diseguaglianze fra le due Italie.


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