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LA SCARSITA’ di una classe imprenditoriale che abbia lo spessore e le caratteristiche di quella del resto del Paese è una delle narrazioni più consolidate e ricorrenti sull’economia del Sud, ed effettivamente, guardando ai dati complessivi sulla struttura manifatturiera, verifichiamo al Sud che la dimensione della media impresa è minore di quella già piccola del resto del Paese: 6,1 addetti contro 10,3. Al meridione molto più modesta è stata la presenza dei cosiddetti distretti industriali, quelle aggregazioni di impresa che hanno caratterizzato la fase di sviluppo dell’Italia centro settentrionale negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, e che poi hanno dato vita a circuiti di filiera più consistenti e robusti, inseriti nella logica della globalizzazione. Poco meno del 90% delle MI ha sede nelle aree del Nord Ovest, Nord Est e Centro, ossia quelle che ospitano la parte preponderante dei distretti.

La storia dell’industrializzazione meridionale, a partire dal secondo dopoguerra, è stata sostanzialmente polarizzata tra micro-imprese, spesso con ruolo marginale, e grande impresa pubblica o a partecipazione statale, al punto che ancora oggi quasi un quinto dei dipendenti appartiene a unità locali manifatturiere sopra i 250 dipendenti. La dimensione da sempre mancante nel Sud è quella della media impresa, ossia di quelle imprese che l’economista statunitense Edith Penrose definì negli anni Cinquanta come interstiziali, cioè capaci di cogliere opportunità di mercato considerate poco convenienti dalla grande dimensione aziendale. Queste unità aziendali si sono trasformate più recentemente in multinazionali tascabili, capaci di fronteggiare la diversa sfida dei mercati mondiali.

Il recente Rapporto sulla media impresa realizzato da Mediobanca, Istituto Tagliacarne e Unioncamere, nel quantificare e caratterizzare questo fenomeno in Italia, si presta anche ad alcune valutazioni sul Sud. Le medie imprese hanno una forza lavoro compresa tra 50 e 499 unità e un volume di vendite non inferiore a 17 e non superiore a 370 milioni di euro; nel 2022 sono poco più di 4.000 aziende, che da sole rappresentano il 16% del fatturato dell’industria manifatturiera italiana, il 15% del suo valore aggiunto, il 14% delle esportazioni e il 13% degli occupati totali. La specializzazione produttiva delle medie imprese è appannaggio prevalentemente di tre settori (meccanico, alimentare-bevande e beni per la persona e la casa) che, nel loro insieme, rappresentano il 71,5% del fatturato totale del 2022.

Complessivamente questo segmento ha dimostrato di conseguire performances di fatturato e di sviluppo del business ben superiori alla grande impresa. Rispetto al 2019, anno pre-covid, le medie aziende hanno registrato un aumento medio del 5,6% del fatturato (contro il 4% del resto delle manifatturiere), del 4,6% delle esportazioni (contro il 4,2%) e dell’1,1% della forza lavoro (contro la stazionarietà delle altre). Nel 2022 la crescita è proseguita, confermando un trend che dura da 27 anni.

Ci sono poi i positivi andamenti sull’innovazione digitale: l’83% ha investito o investirà dal 2021 al 2026 in tecnologie 4.0 e il 40% adotterà l’Intelligenza Artificiale nei prossimi tre anni, soprattutto per migliorare l’efficienza interna. Contano nelle medie imprese anche gli investimenti “ambientali”, perché il 70% ha investito o investirà nelle tecnologie green nel periodo considerato Insomma, queste aziende hanno saputo cogliere con capacità e flessibilità gli “interstizi” di cui parlava la Penrose, trasformandole in vere e proprie nicchie globali (esportano in media il 42% del proprio fatturato) e spingendo sulla qualità dei prodotti, posto che il 37% opera nella fascia alta del mercato. Più in generale sono particolarmente inserite nei circuiti della subfornitura (anche internazionale), visto che il 74% opera nel segmento B2B, ossia come fornitore di beni intermedi.

Fino a qui i dati nazionali, ma nel Mezzogiorno? Le caratteristiche strutturali locali indubbiamente incidono anche sulla diffusione di questa imprenditoria. La carta geografica sullo sviluppo delle medie imprese segna infatti un affollamento nell’Italia settentrionale e in quella centrale adriatica, con un diradamento al Sud, tanto che le prime tre regioni per indice di attrattività di medie imprese (ottenuto considerando la dimensione geografica, demografica ed imprenditoriale) sono Veneto, Lombardia e Umbria. Ma anche al Sud, dove si collocano solo l’11% delle medie imprese nazionali, la situazione è articolata se viene considerata in termini relativi. Così, quanto a diffusione, Basilicata, Sardegna e Sicilia sono tra le regioni agli ultimi posti in Italia (in verità precedute dal Lazio) la Campania è la nona regione, prima della Toscana e anche Puglia, Molise e Calabria fanno segnare una certa diffusione di queste realtà.

Se poi guardiamo i dati quantitativi in ventisette anni il Mezzogiorno ha incrementato di 218 le medie imprese locali: come valori assoluti viene solo dietro il Nord Est dove l’aumento è stato di 239 unità. Parliamo quindi di una realtà in crescita nel Meridione (in particolare per quanto riguarda la Campania), pur se il tessuto locale di medie imprese è comunque meno della metà del complesso delle imprese industriali. Un dato che colpisce è che le medie imprese meridionali sono più integrate con il sistema delle altre imprese rispetto a quanto si rileva per la media italiana. Infatti il valore aggiunto sul fatturato, che è un indicatore proxy di questo fenomeno, è al Sud del 21% contro quasi il 25% della media Italia, così come più bassa è anche l’incidenza dei costi del lavoro sul valore aggiunto. Indubbiamente le diseconomie locali incidono sulla redditività della gestione caratteristica delle medie imprese meridionali, che conseguono un ROI (ritorno dell’investimento) del 9,9%, inferiore, ma non di tanto, rispetto al 10,6% del dato medio italiano, mentre la redditività del capitale (ROE) è sostanzialmente allineata alla media italiana, a testimonianza comunque dalla capacità di queste imprese al Sud di recuperare sulla profittabilità complessiva.

Puntare su un inspessimento ed uno sviluppo ulteriore delle medie imprese insediate nelle regioni meridionali è una linea di politica economica che potrebbe dare respiro nuovo in prospettiva al tessuto manifatturiero del Sud. In questo senso, si potrebbe immaginare di differenziare gli incentivi previsti per la zona economica speciale unica del Mezzogiorno, per indurre maggiori vantaggi alle aziende di media dimensione. Le caratteristiche delle iniziative imprenditoriali non determinano risultati omogenei. Nella notte non tutti i gatti sono neri.

*Istituto Guglielmo Tagliacarne

**Università mercatorum


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