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SARA’ pure portoghese di Lisbona il dottor Carlos Tavares, manager di lungo corso, a capo della Stellantis e avrà pure le sue ragioni a prendersela con la Meloni, Urso e praticamente tutto il governo italiano, minacciando una vera e propria guerra a colpi di tagli a impianti e posti di lavoro fra Mirafiori e Pomigliano se non arriveranno gli incentivi per la mobilità elettrica richiesti da tempo. Per la fabbrica piemontese si potrebbe anche nutrire qualche ragionevole dubbio, e non solo per motivi affettivi, dal momento che il cuore della Fiat continua a battere a Torino anche se la sede operativa e quella fiscale sono emigrate altrove. Ma su Pomigliano il “ricatto” dell’ad di Stellantis sembra davvero inconsistente. Anzi, addirittura “masochistico” considerando i numeri messi in mostra nel 2023 dall’impianto napoletano ribattezzato con il nome del grande filosofo napoletano, Giambattista Vico. Qualcuno, infatti, dovrebbe forse ricordare sommessamente a Tavares che da Pomigliano sono uscite l’anno scorso 215mila vetture, con un incremento del 30% rispetto ai dodici mesi precedenti. Un record che, dalle parti di Pomigliano, non si registrava da almeno undici anni. E per avere la dimensione di quello che sta avvenendo nell’ex stabilimento dell’Alfa Romeo basta ricordare che quotidianamente ci sono circa 1150 lavoratori in media che da Melfi si devono spostare nel piccolo comune alle porte di Napoli per fare fronte alle esigenze produttive della fabbrica.
Da soli, i 4200 lavoratori di Pomigliano, non riescono a coprire tutta la produzione di Stellantis. Un boom segnato dal successo della Panda (132mila vetture prodotte nel 2023) ma anche dagli 83mila Suv realizzati sempre in Campania. Dove, tra l’altro, il distretto dell’automotive, continua a mettere a segno risultati molto positivi. Con questi numeri e con questi trend, annunciare un taglio degli organici o della produzione non è solo un controsenso. Ma è come se l’azienda si facesse, tafazzianamente (per dirla alla Aldo, Giovanni e Giacomo) male da sola, solo per fare un dispetto al governo italiano, che non ha fatto tutto quello che il gruppo si aspettava.
In questo gioco di specchi e di bluff, anche da Palazzo Chigi è arrivata ieri una netta frenata all’ipotesi di un ingresso nel capitale dell’ex Fiat da parte dello Stato. Anche in questo caso l’uscita del ministro delle Imprese, Adolfo Urso, è sembrata più dettata da una reazione di “pancia” dopo le dichiarazioni al vetriolo di Tavares che da un ragionamento reale. Una sorta di “provocazione”, quasi spontanea nel giorno in cui il dicastero di via Venti Settembre aveva piazzato sul tavolo dell’industria dell’auto una dote di circa un miliardo di euro, tutta destinata agli incentivi per l’acquisto di nuove vetture green. E’ vero che gli sconti sono destinati a tutti, indipendentemente dal luogo in cui il modello è stato prodotto. Ma è anche vero che in Italia almeno un’auto su tre venduta dai concessionari porta la targa di Stellantis che, di fatto, è il gruppo che maggiormente beneficia degli incentivi, se non altro per una questione di controllo del mercato. Del resto, per acquistare la stessa quota di capitale nelle mani dello Stato francese (che, tra l’altro, era già presente nella Peugeot prima della fusione con la Fiat) occorrerebbe sborsare una cifra vicino ai 6 miliardi di euro. Numeri che hanno fatto correre più di un brivido nelle stanze del ministero dell’Economia, costretto a fare gli straordinari per vendere nei prossimi tre anni asset pubblici per almeno 20 miliardi di euro e contenere l’avanzata del debito pubblico.
Non a caso, ieri, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ci ha scherzato un po’ su: “Più che le azioni di Stellantis comprerei quelle della Ferrari”. E lo stesso Urso ha ridimensionato il tenore delle sue parole: “L’Italia dei sussidi è finita, per tutti. Questo governo ha una chiara politica industriale, condivisa con il sistema economico e con i sindacati, per incentivare e supportare chi vuole produrre nel nostro paese. Queste sono le nostre condizioni e valgono per tutti. L’ipotesi di dire ‘dateci più soldi’ non funziona più. Entrare nel capitale? Discutiamone. Ma è un’altra tipologia di politica industriale. Faremo atti dovuti solo nei confronti di chi si impegna a produrre nel nostro paese”.
Sul piede di guerra restano, invece, i sindacati, che non hanno affatto preso sottogamba le dichiarazioni dell’Ad di Stellantis su Pomigliano. Anzi. “Siamo di fronte ad una situazione che da tempo denunciamo. La capacità produttiva dell’azienda in Italia è di oltre 1,5 milioni di auto ma la produzione è ferma a 500mila – spara a zero il segretario della Cgil Maurizio Landini – Il tema è aperto ed è necessario che venga assunto, chiediamo a Meloni in persona di scendere in campo convocando un incontro con Stellantis e i sindacati a palazzo Chigi: gli incentivi di per sè non risolvono e c’è bisogno di una logica di intervento più forte. In Francia è presente lo Stato. Torniamo a chiedere che anche lo Stato italiano entri. Non è una novità. Lo chiediamo da tempo”. Alza il tiro anche il leader della Fiom, Michele de Palma: “Prima di dare nuovi incentivi l’azienda deve offrire garanzia su occupazione, investimenti e ricerca. Pomigliano e Mirafiori non si toccano, dovranno passare sui nostri corpi”.
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