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Raffaele Fitto

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Decontribuzione-Sud, per l’agevolazione servirebbero 4,5 miliardi, due terzi potrebbero arrivare dai fondi comunitari, favorite le filiere strategiche, del green e del digitale

La notizia è che, insieme con il cuneo fiscale, anche la “decontribuzione Sud”, ovvero lo sconto sui contributi che i datori di lavoro pagano per i propri dipendenti, dovrebbe essere praticamente “blindata”, fra le misure che sicuramente entreranno nella prossima manovra 2024. Con una ulteriore novità rispetto all’agevolazione già inserita nell’ultima legge di Stabilità. Questa volta l’orizzonte dell’intervento non sarà più annuale ma potrebbe diventare “strutturale”.

Lo stesso percorso che il governo intende seguire per la proroga del cuneo fiscale. Al ministero dell’Economia, come anticipato ieri dal Quotidiano del Sud, si stanno predisponendo tutte le simulazioni della prossima Finanziaria, che poi dovranno essere sottoposte a Palazzo Chigi per le decisioni più “politiche”. Per coprire tutte le misure sul tavolo del Mef occorrerebbero circa 35 miliardi di euro, almeno dieci in più rispetto alla cifra che l’esecutivo guidato dalla Meloni, potrebbe mettere in campo senza sforare il deficit al 3,7% previsto dal Def e che, sicuramente, sarà confermato dalla Nadef (la Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza da approvare entro il 27 settembre).

Occorre fare delle scelte: la Decontribuzione per il sud in evidenza

Occorrerà, insomma, fare delle scelte. Ma se l’impostazione confermerà le tre parole chiave scandite dalla Meloni (lavoro, famiglie e stipendi) la decontribuzione per il Sud sarà uno dei capitoli sicuramente in evidenza. Lo sconto sui contributi costerebbe, secondo le ultime simulazione, fra i 4,5 e i 4,7 miliardi nel 2024. Due terzi della cifra potrebbe essere raccolta attingendo dai fondi comunitario 2020-2027. La restante parte, poco più di 1,2 miliardi, dal bilancio dello Stato. Si tratta, naturalmente, di uno sconto che dovrà poi essere sottoposto al vaglio della Commissione europea e superare l’esame riservato agli aiuti di Stato concessi nelle aree “svantaggiate”, in pratica le 8 regioni dell’Obiettivo 1.

L’ultimo via libera di Bruxelles alla decontribuzione Sud era arrivato a dicembre scorso, con la proroga del regime per un anno (fino al 31 dicembre del 2023). Ma, nelle interlocuzioni che il ministro per la Coesione, Raffaele Fitto, ha avuto negli ultimi mesi con i responsabili dell’esecutivo comunitario, si è anche profilata l’ipotesi di un disco verde per una misura “strutturale” e non più rinnovata di anno in anno. Non si tratta di una cosa di poco conto. Infatti, per un imprenditore che deve effettuare un investimento, sapere di poter contare su uno sconto contributivo di lunga durata può sicuramente un vantaggio. Oltre, naturalmente, ad orientarne la localizzazione.

Ma c’è anche un’ulteriore ragione che sta spingendo il governo a optare per una soluzione “strutturale” alla decontribuzione. Nel periodo post-Covid, uno dei fattori che ha determinato una crescita italiana superiore alla media europea e di gran lunga più consistente rispetto ai suoi diretti competitors, è stato proprio il contributo dato al Pil dall’economia meridionale. Secondo l’ultimo rapporto della Svimez, ad esempio, il Mezzogiorno ha partecipato attivamente alla crescita nazionale con un incremento del Pil del 3,5%, in linea con la media europea.

L’importanza della crescita nel Mezzogiorno

Mettendo insieme gli ultimi due anni, la crescita cumulata del Sud è stata del 10,7%, quasi come il Centro-Nord (+11%), più del Nord-Ovest (+9,9%). Ma ancora più eclatante è il dato relativo all’occupazione. I nuovi posti di lavoro sono aumentati del 7,7% al Sud e del 6,1% nel Centro Nord. Ma c’è di più. Dei 474 mila nuovi lavoratori assunti fra il primo trimestre del 2019 e lo stesso periodo del 2023 (scontando, quindi, anche la lunga pausa dovuta al Covid), più della metà, 262 mila (il 55,3% del totale), risiedono nelle Regioni del Meridione.

“Il tasso di crescita in quest’area è stato, tra il 2019 e il 2023, del 4,4% – si legge in un rapporto dei Consulenti del Lavoro – più che doppio rispetto al resto del Paese. Una crescita che non solo è stata più sostenuta nella fase di recupero (tra il 2019 e il 2022 l’incremento è stato dell’1,3%), ma che ha continuato anche nell’ultimo anno, con un aumento del 3,1%”. Dietro questi numeri c’è anche la Decontribuzione Sud. Basta dare un’occhiata ai dati Inps per scoprire che questa agevolazione copre da sola circa l’80% di tutti gli interventi a favore del lavoro messi in campo dal governo, per un totale di 1,7 milioni di contratti di lavoro attivati. Insomma, senza almeno un’ulteriore proroga, si rischierebbe un aumento di almeno del 30% del costo del lavoro con effetti a cascata sulla tenuta dell’occupazione nel Sud.

Il Governo Meloni intenzionato a confermare gli sconti della Decontribuzione Sud

Per questo il governo è fortemente intenzionato a confermare gli sconti. Ma facendo anche un ulteriore passo in avanti. Per venire incontro alle regole comunitarie e rendere strutturali gli sconti, si potrebbe decidere di favorire i lavoratori occupati nelle tecnologie strategiche per l’europea e impegnati nella doppia filiera “green e digitale”. Una strategia che potrebbe incrociare anche ulteriori fonti di finanziamento, come quella del Pnrr o del RepowerUe. Tutte ipotesi che, naturalmente, ora andranno valutate con i numeri reali che saranno disponibili nei prossimi giorni con la Nadef. Ma se la manovra, come tutto lascia pensare, dovrà essere orientata sulla crescita, soprattutto alla luce del rallentamento degli ultimi due trimestri, è chiaro che il peso della Decontribuzione Sud è almeno pari a quello del taglio del cuneo fiscale.


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Francesco Ridolfi

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