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Roberto Calderoli

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Autonomia differenziata, la conferma del ministro Roberto Calderoli: Al Sud mancano 100 miliardi di spesa sociale, le conferme di Istat e Corte dei conti

Un obiettivo Roberto Calderoli lo ha raggiunto. Quello di far percepire a tutto il Paese che la spesa pro capite non è uguale in tutte le parti. E non è un fatto scontato perché la vulgata prevalente è stata sempre che il Mezzogiorno è stato inondato di soldi, che poi ha sprecato. Scoprire che invece, come da anni e per primo ha sostenuto il Quotidiano del Sud, con le sue campagne di stampa, vi è una differenza notevole tra la spesa effettuata per ogni individuo del Mezzogiorno rispetto a quella di ogni cittadino del Centro Nord non è una acquisizione da poco.

E dà ragione delle differenze nei diritti di cittadinanza che non sono dovuti all’incapacità di gestire le risorse assegnate, né a sprechi o corruzione che fanno prendere strade diverse ai fondi destinati, ma proprio a una limitazione di essi.

Calderoli, la spesa sociale al sud e le conferme della Corte dei conti

Le conferme arrivano da tutte le parti. “I valori della spesa sociale pro capite si dimostrano estremamente sperequati. Infatti, vanno dai 584 euro di Trento, ai 244 euro del Veneto, fino a scendere agli 83 euro della Campania, ai 54,1 della Calabria, ai 66 euro dei Comuni della Puglia”. Cosi la Corte dei Conti nella sua relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali pubblicata qualche giorno fa. Ma non basta.

Anche l’Istat, l’istituto nazionale di statistica, rileva che quasi il 30% dei Comuni del Mezzogiorno non offre agli anziani in condizione di fragilità il servizio di assistenza domiciliare, come forma di supporto per la cura della persona e dell’abitazione. Al Centro i Comuni che non offrono questo tipo di assistenza sono invece meno del 15%. E sono meno del 10% al Nord, dove, peraltro vengono erogati voucher, assegni di cura e buoni socio-sanitari agli anziani non autosufficienti da più del 70% dei Comuni, contro il 33% dei Comuni al Centro, il 12% al Sud e il 13% nelle Isole. I Comuni fanno fronte a queste spese in gran parte con risorse proprie ed al Sud molti sono in dissesto, quindi nell’impossibilità di farlo.

Continua la Corte “Con una struttura finanziaria stabile e non venendo potenziate le risorse umane, l’attenuazione dei divari territoriali potrebbe trovare riposta nella integrale attuazione dei programmi di spesa del PNRR e del PNC, piano nazionale per gli investimenti complementari. Va altresì considerato che i servizi pubblici connessi con i diritti sociali costituzionalmente tutelati, anche in assenza della definizione per legge degli specifici Livelli essenziali delle prestazioni, devono almeno mostrare una tendenza alla convergenza territoriale”.

Spesa sociale al sud, Il nodo dei 100 miliardi che blocca la riforma calderoli

Bene supponendo che la scellerata idea del Ministro per gli Affari Regionali venga, come pare stia avvenendo, bloccata in assenza dei 100 miliardi annuali necessari per equiparare i Lep, come è emerso dai lavori della Commissione insediatasi per l’attuazione di questi ultimi, qualcosa bisognerà fare per avvicinare le due spese storiche, che portano alla sottrazione al Sud di circa 60 miliardi l’anno, oppure facciamo finta che sia giusto così?

Questa evidenziazione è il vero risultato, che certo non si poneva, che ha ottenuto il Ministro. Ma che era stato evidente quando Giorgetti in Conferenza delle Regioni addirittura secretò alcuni dati che evidenziavano le differenze nel finanziamento degli asili nido nelle diverse parti, per evitare reazioni non desiderate.

Considerato che la cifra dei sessanta miliardi da alcuni dipartimenti di ricerca, come quello della Cattolica diretto da Cottarelli, non viene accettata nell’importo complessivo, bisognerà partire dall’importo sottratto condiviso, una buona metà di esso. Ma come suggerisce la Corte va attuato un percorso di rientro che porti ad una spesa procapite, se non maggiore per recuperare i ritardi, perlomeno uguale per non accentuare ulteriormente quelli esistenti.
Un obiettivo molto ambizioso se non si è in presenza di crescita del reddito consistenti che non mi pare siamo prevedibili. Il PNRR potrebbe servire per ridurre le differenze strutturali, come quelle degli asili nido, anche se in realtà tradendo il suo obiettivo iniziale, che era quello non di ridurre i divari di cittadinanza quanto quello di far crescere la base produttiva.

Il problema di alimentare la spesa ordinaria per gestire i servizi

Ma poi rimane il problema di alimentare la spesa ordinaria per gestire i servizi. Ma con tassi di crescita come quelli attesi tale obiettivo sarà irraggiungibile e le differenze non potranno che cristallizzarsi. Anche perché la spesa sociale del Nord è rigida e non può essere sottoposta a riduzione senza provocare reazioni pesanti! Ve lo immaginate di diminuire di qualche decina gli asili nido di Reggio Emilia per finanziare l’incremento, opportuno, di quelli di Reggio “di” Calabria, come la chiamano le Ferrovie dello Stato?

Né forme di spending review opportune si vedono all’orizzonte, perché costose da un punto di vista degli interessi coinvolti. Invece di finanziare le Frecce Tricolori, bellissime ma certamente un lusso, potremmo dirottare le risorse per più asili nido. Ma la immaginate la levata di scudi conseguente?
E allora la conseguenza sarà che la spesa storica diversa per le due parti rimarrà invariata. D’altra parte la strada indicata non ha portato a sconvolgimenti particolari.

Il prezzo alto pagato per l’emigrazione

Ricordate quando Tremonti, ministro, sostenne che il Sud non si é mai ribellato per il taglio di risorse? Anche le stesse reazioni per lo stop al reddito di cittadinanza sono state molto più blande di quanto il blocco di una misura così delicata avrebbe fatto immaginare. Pertanto l’unico vero obiettivo sul quale il Sud si deve concentrare, per riuscire a raggiungere pari diritti di cittadinanza, è la crescita della sua base produttiva. Nel manifatturiero, nel turismo, nella logistica.

Non più assistenza che alimenta solo il malaffare, ma sviluppo. Anche per bloccare l’emorragia dei 100.000 che ogni anno partono. Con un costo di venti miliardi impiegati per la loro formazione, che viene utilizzato dalle regioni del Nord. Un prezzo alto quello pagato con l’emigrazione, spesso di sangue, come si è visto dalle origini regionali dei morti sulla linea ferroviaria, in cui cinque operai sono stati travolti e uccisi. Un prezzo inaccettabile sempre, ancor più se fuori dalla propria terra.


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