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Il barometro economico continua a segnare bel tempo. Si allunga, infatti la lista dei dati positivi del sistema produttivo italiano. A novembre il fatturato dell’industria ha inanellato una serie di segni più. Numeri che spiegano anche la crescita del clima di fiducia emersa dal rapporto Istat di due giorni fa.

Il fatturato dell’industria, secondo le rilevazioni Istat pubblicate ieri, è aumentato dello 0,9% su ottobre (+0,6% sul mercato interno, +1,3% su quello estero), mentre nel trimestre settembre-novembre ha segnato +0,8% sullo stesso periodo del 2021. Significativa la crescita su base tendenziale, pari a +11,5%, con rialzi del 10,1% all’interno e del 14,3% all’estero. Gli aumenti più marcati – ha sottolineato l’Istat – hanno interessato l’energia (19,5%), i beni strumentali (17,6%) e di consumo (13,3%).

TUTTI I SETTORI IN ASCESA

Buone le performance per tutti i settori: nella top ten della classifica i mezzi di trasporto, con un balzo del 22,5%, coke e prodotti petroliferi (20,8%), attività estrattive (18,1%), tessile e abbigliamento (17,7%), macchinari e attrezzature (16,3%), alimentari (14,7%), farmaceutici (12%), attività manifatturiere (11,4%), gomma (9,2%), computer ed elettronica (8,7%).

«Dopo due mesi di flessioni- ha commentato l’istituto – il fatturato dell’industria, al netto dei fattori stagionali, torna a crescere a novembre in termini congiunturali, favorito da un maggiore dinamismo della componente estera rispetto a quella interna. Nel confronto tendenziale su dati corretti per i giorni lavorativi, si registra un incremento del valore del fatturato sia in termini complessivi sia con riferimento ai principali raggruppamenti di industrie». Il sistema produttivo dunque è sano e marcia a pieno ritmo. Una spinta importante viene dai mercati esteri, a conferma della capacità e credibilità del nostro Paese a livello globale. Una situazione che caratterizza particolarmente l’industria alimentare, che ha perso posizioni all’interno per effetto dell’inflazione che ha tagliato le spese.

Sull’estero, però, ha segnato un vero record, con 60 miliardi messi a segno nel 2022. Novembre poi – ha rilevato Coldiretti – è il mese in cui si preparano le scorte per le festività natalizie che hanno rappresentato, malgrado le previsioni allarmistiche, un momento d’oro, con un vero e proprio boom del made in Italy a tavola in tutto il mondo.

A tirare sono stati tutti i prodotti della Dieta Mediterranea, a partire dal vino, con spedizioni che hanno raggiunto quota 8 miliardi, con una crescita del 12,5%, alla pasta e agli altri derivati dei cereali, volati a 7 miliardi. E ancora, frutta e verdure fresche a quota 5,5 miliardi di export seguiti da olio extra vergine di oliva, formaggi e salumi con aumenti consistenti.

GLI SBOCCHI PER L’EXPORT

Nella Ue tutti i Paesi hanno premiato l’alimentare tricolore: la Germania, con un incremento del 13%, si conferma il primo sbocco, mentre la Francia è al terzo posto con un tasso di crescita del 17%, ma anche gli Stati Uniti, in salita del 20%, e il Regno Unito, con un +18%, si sono rivelati fondamentali. Trend soddisfacente in Turchia con + 23%. Da tutti i fronti arrivano dunque notizie incoraggianti che fanno ben sperare per i prossimi mesi, se si tiene conto che il risultato di novembre è arrivato in una fase ancora molto critica dei prezzi dell’energia, che ora sono avviati verso uno stabile ribasso.

L’anno nuovo ha portato in dote una flessione rilevante del gas (in media 65 euro/mwh contro 114 di dicembre) e un calo dei listini del petrolio. Anche l’Unione nazionale consumatori, tendenzialmente molto critica sull’andamento economico, ha dato una lettura positiva dei dati Istat «nonostante i rialzi – ha sottolineato l’associazione – siano gonfiati dall’inflazione al galoppo, e anche le variazioni in volume registrano una dinamica positiva, anche se temiamo che per il mercato interno non sia così, viste le differenze che esistono per i dati in valore tra fatturato italiano ed estero».

Restano le preoccupazioni sul mercato interno, su cui rischiano di avere un preoccupante effetto psicologico le previsioni di catastrofi imminenti. Certo, c’è un inflazione che va frenata e comunque non si può sottovalutare la preoccupazione per l’escalation della guerra in Ucraina.

INDICATORI IN POSITIVO

Ma il sistema produttivo nazionale ( e in fondo anche i consumatori) stanno dimostrando di avere spalle robuste per assorbire i colpi. L’ufficio studi della Confindustria, qualche giorno fa, nella sua analisi mensile, nonostante le ombre aveva comunque affermato che l’economia italiana si muove meglio di quanto ci si potesse attendere.

Le “luci” sono legate al prezzo del gas, che ha raggiunto i livelli più bassi da oltre un anno, ma l’analisi ha anche messo in evidenza la tenuta del potere di acquisto totale delle famiglie che «sostengono l’attività, su livelli migliori di quanto ci si attendeva, come confermato da fiducia e indici di Borsa in recupero». Bene anche le performance del lavoro, con +50mila occupati a novembre da settembre (e +280mila da gennaio) e una flessione sia dei disoccupati che degli inattivi. La principale ombra sul fronte economico è rappresentata dal rialzo dei tassi che, dice Confindustria, «toglie risorse a investimenti e consumi, colpiti anche dall’inflazione, in calo ma ancora elevata».

Secondo la rappresentanza degli industriali, a novembre il costo del credito per le imprese italiane ha continuato a salire: 3,37% per le Pmi (1,74% a inizio 2022), 2,67% per le grandi (da 0,76%). In questo contesto, dunque, è allarmante l’annuncio della Bce di procedere a ulteriori ritocchi dei tassi.

Ma all’interno un altro elemento di ottimismo e speranza lo dà la fotografia di InfoCamere e Unioncamere (sulla base dei dati di Movimprese) che riporta il bilancio tra nascite e chiusure di aziende sui livelli medi degli ultimi 15 anni a 48mila attività all’anno, con una crescita dello 0,8%, il risultato migliore del decennio. Il saldo più elevato è quello del settore delle costruzioni. E un contributo positivo arriva dal Sud, con +17mila aziende trainate dalle costruzioni e dal turismo. In controtendenza solo il settore agricolo, che ha chiuso il 2022 con un saldo negativo di 3.363 realtà produttive, che è il risultato, secondo Coldiretti, anche dell’effetto del «mix micidiale dell’aumento dei costi e del cambiamento climatico che ha decimato i raccolti».

I RISCHI PER L’AGRICOLTURA

Nonostante l’andamento negativo, però, l’organizzazione agricola, ha sottolineato come il settore si collochi comunque in terza posizione dopo commercio e costruzioni, con circa 722mila imprese attive. «Più di un’impresa su dieci – evidenzia il report Coldiretti – è attiva in agricoltura, e si tratta di realtà che, oltre a svolgere un ruolo economico, hanno un impatto positivo sull’ambiente e sulla conservazione dei territori che sono messi ora a rischio dagli effetti della guerra e dei mutamenti climatici».

È importante, però, sostenere le dinamiche positive, perché questo è un momento cruciale in cui si può dare la spinta per una ripresa in linea con il trend favorevole dell’industria alimentare: in caso contrario, senza interventi il rischio è di favorire il declino. Va ricordato, infatti, che un terzo delle aziende in forte affanno e il 13% rischia la chiusura, mettendo così in difficoltà intere filiere agroalimentari.


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