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Il Mezzogiorno è il più grande giacimento di crescita potenziale: potrebbe generare più export dal Nord-Italia che verso la Francia
Questo giornale ha fatto della questione meridionale una battaglia civile, tanto più urgente in quanto un’Italia che fa fatica a crescere ha bisogno di attivare tutte le opportunità di sviluppo, e fra queste il maggior ‘giacimento di crescita potenziale’ sta nel sud d’Italia. Sol che si potesse ridare al Mezzogiorno quel che è del Mezzogiorno, operando con operoso ravvedimento per colmare le desolanti diseguaglianze fra Centro-Nord (CN) e Sud-Isole che minano la (dis)unità d’Italia e negano i dettati della Costituzione.
L’Italia è un Paese esportatore, e dell’export il CN è la punta di diamante: ma il CN, per aumentare l’export, non ha bisogno di aggredire solo i mercati esteri: ha a disposizione un altro grande mercato di sbocco, interno se non esterno: il Mezzogiorno. Un mercato che potenzialmente potrebbe generare export dal Nord-Italia in misura maggiore delle nostre esportazioni verso la Francia, e che può essere attivato, se solo finalmente la ‘questione meridionale’ venisse aggredita con coraggio e lungimiranza.
Di questa battaglia un corposo dossier, irto di grafici e tabelle (lo si può ritrovare nel sito del “Quotidiano del Sud”) ha dato contezza, documentando tutte le dimensioni – economiche, sociali, infrastrutturali, occupazionali, sanitarie…
IL MEZZOGIORNO COME RISORSA DI CRESCITA POTENZIALE
I dati territoriali, si sa, sono in genere disponibili con maggiore ritardo rispetto a quelli nazionali, e il dossier stesso ha bisogno di essere aggiornato. Scavando negli aggiornamenti possibili, e utilizzando altre fonti resesi disponibili nel frattempo, possiamo offrire alcune informazioni «novelle, rinnovellate di novella fronda».
Partiamo dalla misura principe dell’attività economica, il Pil, che è ora disponibile fino all’anno scorso. I due grafici mostrano il livello e la dinamica del Prodotto interno lordo nelle due macro-aree del Paese, il Centro-Nord e il Mezzogiorno. Il livello parla da solo; basti sottolineare che, se nei 26 anni che vanno dal 1995 al 2021 il Centro-Nord (CN) è cresciuto poco, il Mezzogiorno non è cresciuto affatto. Lo spazio di una generazione, insomma, ha avuto al Sud crescita zero. Quello che è importante sottolineare è la dinamica: il secondo grafico ci dice che il divario si è andato allargando: se vent’anni fa la quota del Sud rispetto al Centro-Nord era poco sopra al 32%, nel 2021 siamo ai minimi: 28,4%.
Nel 2020 la caduta del Pil era stata meno severa nel Mezzogiorno, dato che la crisi aveva colpito maggiormente il CN industrializzato. Ma nell’anno di ripresa, per ragioni speculari, questa è stata meno forte al Sud, talché si è ampliato di nuovo il divario. Il reddito reale pro-capite del Mezzogiorno si mantiene all’incirca alla metà di quello del Centro-Nord.
IL DUALISMO TRA NORD E SUD
Il dualismo si ripete, tristemente, anche a proposito di quello che è il fine ultimo di ogni sistema economico: l’occupazione. Un recentissimo rapporto della Banca d’Italia («L’economia delle regioni italiane- Dinamiche recenti e aspetti strutturali»), mostra, aggiornato al secondo trimestre di quest’anno, l’andamento dell’occupazione in Italia e in tre macro-aree (Nord, Centro e Sud-Isole). In generale, e questo è vero non solo per l’Italia ma anche per altri Paesi, l’occupazione ha retto meglio rispetto al Pil, ma in Italia gli occupati nel Mezzogiorno rimangono (vedi grafico), a differenza del CN, più bassi rispetto all’inizio del periodo (2008).
Malgrado il rimbalzo dell’occupazione, l’incidenza della povertà aumenta al Sud (nel 2021 – vedi grafico), mentre diminuisce nella media italiana (grazie agli strumenti di contrasto alla povertà mantenuti e accresciuti dal governo Draghi).
E veniamo ai dati più recenti sugli investimenti. Il grafico (tratto dal Rapporto Banca d’Italia prima menzionato) mostra come, in euro pro-capite, gli investimenti fissi per macro-aree siano dappertutto sotto il livello del 2008, ma il Mezzogiorno (ritorna il ritornello stucchevole e desolante) è più sotto di tutti. Naturalmente, è normale che l’economia e il benessere delle diverse aree del Paese siano diversi, riflettendo la dotazione di risorse naturali, il diverso capitale umano e fisico, i diversi fattori culturali che determinano il grado di sviluppo economico. Non si potrà mai avere un completo livellamento fra regioni ricche e meno ricche, un certo grado di dislivello è fisiologico e perfino desiderabile. Ma quando le differenze sono troppo grandi, è ugualmente desiderabile che lo Stato intervenga, come prescrive la Costituzione, per assicurare un maggiore grado di coesione.
LO STATO HA ESACERBATO LE DIFFERENZE
Il problema, che è venuto alla luce con le analisi dei Conti pubblici territoriali (CPT), sta nel fatto che l’intervento dello Stato è andato in senso esattamente contrario: ha esacerbato le differenze, invece di ridurle. Ecco, aggiornando al 2019 i dati del dossier citato all’inizio, come sia evidente la minorità del Sud nella spesa pubblica (in euro costanti pro-capite).
Tutto questo è stato ripetutamente cifrato, ricorrendo alle meritorie analisi dei CPT. Il danno subito dal Mezzogiorno non è difficile da calcolare. Basta confrontare le spese pubbliche del Settore pubblico allargato che vanno al Mezzogiorno con quelle che ‘dovrebbero’ andare al Mezzogiorno se le spese fossero ripartite in base all’elementare criterio della quota della popolazione rispetto al totale nazionale.
Ma questo non è successo, ed è stato così violato il più elementare parametro della redistribuzione territoriale. Quel confronto porta a cifrare il ‘danno’ in molte decine di miliardi di euro. E questo a causa di quel ‘furto istituzionalizzato’ che è il criterio della spesa storica per la ripartizione delle risorse. Mette conto anche osservare che il criterio usato per cifrare il ‘danno’ è generoso: in linea di principio, proprio per soddisfare alle esigenze di riequilibrio territoriale, la spesa pubblica dovrebbe andare alle aree disagiate più che in proporzione alla quota di popolazione.
IL DOPPIO DUALISMO TRA ITALIA E EUROPA E NORD E SUD
Il dualismo che tutti conosciamo si può sdoppiare in un doppio divario: c’è un dualismo intra-europeo, fra Italia ed Europa, e un dualismo intra-italiano, fra Centro-Nord e Mezzogiorno. In ambedue i casi ci sono due fanalini di coda, l’Italia in Europa e il Mezzogiorno in Italia. A questo punto si pone un’intrigante domanda: c’è un rapporto fra questi due dualismi? Il fatto che coabitino – correlazione – non implica necessariamente che uno sia la causa dell’altro – causazione. Ma non mancano sospetti – e forse più che sospetti – per pensare che il dualismo interno sia una delle più importanti concause del dualismo esterno.
Un recente Rapporto Svimez sembra confermarlo, nel momento in cui ricorda che i divari territoriali non sono limitati al Nord-Sud ma esistono in varie zone del Paese: «Creare le condizioni per restituire alle regioni del Centro in difficoltà i tassi di crescita conosciuti in passato, liberare le regioni più fragili del Sud dal loro isolamento che le mette al riparo dalle turbolenze ma le esclude dalle ripartenze, ricompattare il Nord e il resto del Paese intorno alle sue tre regioni guida, sono tutte premesse indispensabili per far crescere, insieme, l’economia nazionale.
Anziché affannarsi a sostenere la causa delle tante questioni territoriali (del Nord, del Centro, del Mezzogiorno), che si contendono il primato nel dibattito in corso sulle vie di uscita dalla pandemia, è tempo di compattare l’interesse nazionale sul tema che le risolverebbe tutte se solo l’obiettivo della crescita venisse perseguito congiuntamente a quello della riduzione dei nostri divari territoriali».
IL MEZZOGIORNO HA PROSPETTIVE DI CRESCITA
Molti reciteranno le stanche litanie del ‘benaltrismo’: sono ben altri i problemi del Mezzogiorno, diranno; c’è la qualità del capitale umano, c’è l’insufficienza della classe politica, c’è una mentalità anti-mercato, c’è una cultura della dipendenza… Ma il fatto è che vi sono anche casi di eccellenza imprenditoriale nel Mezzogiorno, segno che, se le condizioni ci sono, anche lì può allignare la pianta della crescita. Per spezzare il circolo vizioso bisogna cominciare da qualche parte. É stato detto tante volte, e non solo in Italia ma anche in Europa: i fondi del Next Generation sono disponibili per raddrizzare quel divario territoriale che è una palla al piede per l’economia italiana (e diventa anche una palla al piede per l’Europa, la cui crescita è stata resa difficile da un’Italia che si trascina).
IL MEZZOGIORNO SI CONFERMA RISORSA DI CRESCITA POTENZIALE
Tornando al Mezzogiorno, è indubbio che, fra le tante potenzialità inespresse, Il Sud sia un giacimento di crescita potenziale. E se dalla potenza si potesse passare all’atto, la crescita dell’economia tutta ne sarebbe confortata. Abbiamo dinanzi la possibilità di rimuovere ostacoli antichi che hanno inquinato lo sviluppo – economico e civile della nostra economia. Abbiamo dinanzi un compito fondamentale per il destino e il cammino della nazione. Come già detto, non bisogna cadere nella trappola degli opposti schieramenti – di qua il Nord, di là il Sud – che si guardano in cagnesco per strappare una fetta più grossa delle risorse. Il problema non sono le ‘fette’, ma la ‘torta’. Il problema è quello di far crescere la ‘torta’ dell’economia tutta, a vantaggio di tutti i punti cardinali della Penisola.
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