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In molti si chiedono perché il Mezzogiorno non decolla. Le risposte sono diverse. Una è quella che le risorse, che si destinano, vengono sprecate da una classe dirigente che non riesce a essere un interlocutore attento di un Paese che invece ha messo il Mezzogiorno al centro dei propri progetti di sviluppo. Certo non per fare una cortesia ai 20 milioni di abitanti del Sud, ma perché mettere a regime questa parte è l’unico modo per essere competitivi e crescere come gli altri Paesi fondatori dell’Unione europea.
Altri dicono invece che non decolla per incapacità, perché il Sud non riesce a utilizzare i fondi messi a disposizione dall’Unione europea. Le accuse continuano con l’affermazione che il Mezzogiorno potrebbe vivere di agricoltura e turismo se solamente si mettesse a lavorare.
Ma avendo compreso, dati alla mano che, con 20 milioni di abitanti, la risposta occupazionale non può che venire fondamentalmente dal manifatturiero, si sono create le Zes per attrarre investimenti dall’esterno dell’area.
I VANTAGGI DELLE ZES
Esse offrono vantaggi importanti, visto che sono vicine ai porti, che si stanno spendendo risorse per collegarli con infrastrutture adeguate, che si è adottato un cuneo fiscale che consente di avere un costo del lavoro più contenuto, e, con il credito d’imposta, si è cercato di dare dei vantaggi per fare in modo che chi investe abbia una tassazione degli utili molto contenuta.
Bellissimo programma che dovrebbe far nascere dal manifatturiero la metà di quei posti di lavoro necessari per mettere a regime questa parte della Nazione, e creare un numero di occupati, rispetto alla popolazione, simili a quelli che si hanno in Emilia-Romagna o in Veneto.
Il resto dell’occupazione necessaria dovrebbe arrivare dalla logistica (e il ponte è fondamentale in questa logica) e da un incremento consistente del turismo, prevedendo una normativa apposita che consenta di avere delle aree dedicate allo sviluppo dell’accoglienza che porti al raddoppio del numero, oggi limitato, di presenze turistiche.
Succede però che quando si tratta di lavorare perché arrivino quelle aziende che danno posti di lavoro importanti, in termini diretti e dell’indotto, parlerei della polpa degli investimenti, arriva qualcuno che dimentica il mantra del “Mezzogiorno centrale”.
L’episodio più recente riguarda la Intel, azienda americana che costruisce microchip. Quando si cominciò a parlare di tale investimento (si parla di 4 miliardi e mezzo, quanto il costo del ponte sullo stretto) si candidarono quattro aree, una in Puglia, una in Sicilia, il Lingotto di Torino e il Veneto.
Sembrava che fosse favorita Catania, perché vi è già un centro importante, attorno alla St Elettronics, che poteva rappresentare un nucleo di attrazione, considerato che anche la facoltà di Ingegneria dell’Università locale si è specializzata e attrezzata per fornire specialisti apprezzati in tutto il mondo.
IL RIBALTONE
D’altra parte Catania è all’interno di una Zes, che ha un aeroporto internazionale a pochi chilometri dalla zona industriale, e poteva fornire dei vantaggi fiscali rispetto al costo del lavoro, oltre che dei vantaggi per quanto attiene agli utili che si sarebbero eventualmente prodotti, così come prevedono le Zone economiche speciali.
Niente di tutto questo, ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, la situazione si ribalta. Niente Puglia, niente Piemonte, niente Sicilia: viene individuata una realtà che si chiama Vigasio, una cittadina in provincia di Mantova.
Le motivazioni ufficiali per tale scelta da parte del ministro, che è andato a incontrare qualche mese fa i dirigenti della società americana negli Stati Uniti, non sono politiche come i malpensanti possono credere, ma dichiara che, avendo tale azienda alcune realtà produttive anche in Germania, ha deciso di localizzare lo stabilimento a Vigasio, che è molto più vicina agli altri impianti e ben collegata a essi.
La multinazionale statunitense avrà un contributo dell’Italia all’investimento del 40%. Quindi circa un miliardo e 600 milioni. Ovviamente si sono concesse delle agevolazioni analoghe o migliori rispetto a quelle esistenti nelle Zes meridionali, comprese quelle sull’energia.
Si può pensare che probabilmente nessuno ha ritenuto, e forse voluto, forzare la mano alla società perché scegliesse una realtà che per il Paese è molto più conveniente. Perché la localizzazione di una fabbrica che porta 4.000 posti di lavoro, che potrebbero raddoppiare nel breve, in una realtà meridionale, significa certamente la sottrazione del reddito di cittadinanza a tanti che ne usufruiscono perché non hanno opportunità lavorative, con risparmi importanti. Significa consentire la crescita della società civile e di molti che, non avendo possibilità lavorative, si trascinano in attività più o meno legali e in ogni caso sommerse.
Significa non aver bisogno di fornire una strutturazione abitativa, invece necessaria in una realtà veneta nella quale non vi sono persone occupabili, che invece devono provenire da altre regioni e che quindi necessitano di nuove strutture per la loro accoglienza, a cominciare dalle abitazioni.
Per avere chiaro questi elementi non bisogna dimenticare che in Veneto, su 4,807 milioni di abitanti, gli occupati sono complessivamente 2,1 milioni, con un rapporto abitanti popolazione di quasi la metà. Cioè lavora quasi una persona su due, quando nel Mezzogiorno il rapporto tra popolazione e gli occupati e di uno a quattro.
ITALIA SCONFITTA
Abbiamo sentito le lamentele disperate degli imprenditori veneti che dichiarano di non avere disponibilità di lavoratori che accettino le loro proposte. Men che meno se questi devono essere ragazzi laureati o con una formazione di livello medio alto. Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, conferma: «La trattativa c’è stata, c’è stata una serie di incontri nel corso della mia visita negli Usa».
L’investimento, con una quota di contributo pubblico del 40%, potrebbe raddoppiare sulla base delle dimensioni che assumerà la presenza di Intel in Europa. La produzione vera e propria dei componenti sarà concentrata in Germania, con ogni probabilità a Dresda, cioè nell’Est, vedi caso. Il ministro, o in mala fede o perché incapace, porta un risultato che non può soddisfare l’Italia. Alla fine ha vinto il Nord, ma ha perso il Paese.
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