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Adriano Giannola

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Dopo questo dato che il rapporto Svimez 2022 evidenzia in modo davvero significativo, tra l’altro rilevando con entusiasmo la serie di fenomeni positivi che hanno fatto da corona alla ultima esperienza di Governo, prende corpo un attento approfondimento sull’intero rapporto da parte dello stesso Direttore Generale che, dopo aver apprezzato un simile risultato e dopo aver denunciato un ribaltamento tendenziale inimmaginabile, ritiene opportuno soffermarsi a lungo sui possibili cambiamenti dell’intero quadro congiunturale.

In particolare il Direttore Generale Luca Bianchi ha dichiarato: “Quello che a noi preoccupa è il futuro, e la fine del 2022 e il 2023 in particolare, per il nuovo quadro congiunturale. I dati del rapporto evidenziano come il picco dell’inflazione si faccia sentire soprattutto nel Mezzogiorno. Questo impatta in particolare sulle famiglie a basso reddito, più diffuse al Sud, anche perché l’inflazione si fa sentire soprattutto sui beni di prima necessità e sui consumi energetici. Ciò implicherà una riduzione della crescita.

Per il 2023 e il 2024 prevediamo una riapertura del divario tra Nord e Sud. L’aumento dei costi dell’energia incide maggiormente sui bilanci delle aziende del Mezzogiorno perché qui sono diffuse le imprese di piccola dimensione, caratterizzate da costi di approvvigionamento energetico strutturalmente più elevati sia nell’industria che nei servizi. E poi i costi del trasporto al Sud sono più alti, oltre il doppio rispetto a quelli delle altre aree del Paese. Il sistema produttivo meridionale si dimostra più fragile; si stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10% a parità di cose determini al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi”.

Queste comunicazioni fanno paura perché, in fondo, sono quasi identiche a quelle prodotte da un Consigliere della Cassa del Mezzogiorno nel 1974, cioè circa 50 anni fa; mi riferisco a Pasquale Saraceno che sia dalla Cassa del Mezzogiorno che dallo stesso Svimez denunciò, in modo dettagliato, come il fenomeno inflattivo rendesse impossibile una possibile e misurabile ripresa del Sud e, cosa ancora più grave, sempre nel 1974 Pasquale Saraceno lamentava una lentezza amministrativa nel Sud; considerando le tre fasi progettuali delle opere (progettazione, esecuzione e conclusione dei lavori) il Mezzogiorno presentava e presenta tuttora, in tutte le fasi, evidenti e misurabili ritardi rispetto al Centro Nord; è assurdo ma oltre 300 giorni di ritardo si accumulano nella fase di cantierizzazione. Questa analisi e questa comparazione tra constatazioni effettuate in un arco temporale così lungo non può lasciarci indifferenti, non può ancora lasciarci carichi di fiducia nei confronti di iniziative governative che continuano ad affrontare la realtà del Mezzogiorno solo misurando gli indicatori che denunciano le negatività senza identificare una linea strategica capace di ribaltare, davvero, tali indicatori.

In cinquanta anni non solo non è cambiato nulla ma è tornata la paura nei confronti di un male che distrugge le condizioni della crescita e cioè l’inflazione. Ed allora prende corpo un interrogativo: come mai non siamo stati in grado, in mezzo secolo, di evitare questa grave crisi, come mai non abbiamo avuto la forza ed il coraggio di modificare in modo sostanziale gli strumenti che, purtroppo, in modo quasi sistematico i lettori attenti dei fenomeni socio economici del Sud come lo Svimez da sempre ci denunciano poco efficaci? Le grandi illusioni, le chiamo così, legate alle ripetute programmazioni, legate agli impegni di trasferimenti di risorse provenienti per una quota rilevante anche dalla Unione Europea, legate ai Contratti di Programma tra grandi Aziende come le Ferrovie dello Stato e l’ANAS al cui interno erano e sono previsti interventi supportati da adeguate risorse, in realtà sono rimaste solo illusioni perché anche quegli interventi che sono arrivati a realizzazione non hanno trovato un tessuto infrastrutturale adeguato, cioè è mancata la contestualità nell’attuazione dei programmi; faccio alcuni esempi:

  • la realizzazione dell’autostrada Catania-Siracusa non ha trovato un contesto adeguatamente infrastrutturato e interagente con altri assi ubicati nella vasta area dell’area orientale della Sicilia
  • la realizzazione dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria ha risolto le problematiche dell’area tirrenica della Calabria dimenticando integralmente le esigenze dell’area jonica e incrinando in modo irreversibile la crescita di quest’ultima vasta area la realizzazione di un grande HUB interportuale a Nola non collegato però con un sistema ferroviario al porto di Napoli la realizzazione dell’impianto siderurgico di Taranto e solo dopo quasi sessanta anni si sta realizzando un collegamento funzionale con l’asse autostradale e con la rete ferroviaria.

In realtà, come d’altra parte emerso dall’ultimo rapporto sempre dello Svimez, anche ultimamente gli investimenti nel Sud sono stati rilevanti, specialmente nelle opere di edilizia minore, ma non hanno prodotto nulla che possa configurarsi come crescita organica. D’altra parte gli ottimismi sui dati positivi relativi ad una attenzione particolare al Mezzogiorno crollano di fronte ai due dati che ritengo scandalosi: il PIL pro capite pari a 17.000 euro al Nord 36.000 euro e l’importo dei lavori per la realizzazione di infrastrutture strategiche al Sud, negli ultimi otto anni, risulta pari a 3,6 miliardi di euro, al Nord risulta pari a 19,4 miliardi di euro Forse la prossima Legislatura dovrà perseguire una strategia completamente diversa: non trasferimenti di risorse ma azione diffusa ed organica di reti e nodi infrastrutturali capaci, in tempi certi, di ribaltare. una volta per tutte. quei dati che ho definito scandalosi.

Spero solo che tutto quello che sarà raccontato in questa campagna elettorale per il Mezzogiorno non rimanga solo “una buona intenzione”.


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