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Luca Bianchi, direttore di Svimez

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C’E’ UN dato che emerge con nettezza, e che si pone come inedito, dalla lettura delle anticipazioni del Rapporto 2022 di Svimez: per la prima volta gli investimenti nel Mezzogiorno crescono di più rispetto al Centro Nord, il 12,2% contro il 10,1%. Che si accompagna a un altro risultato non scontato nella tempesta perfetta provocata dalla guerra in Ucraina: il Sud si mantiene sul sentiero della crescita segnando, secondo le stime dell’associazione,  +2,8%, un dato sì inferiore a quello del Centro Nord che con il +3,6% supera il dato nazionale che dovrebbe attestarsi al +3,4% – un punto sotto le previsioni pre-shock Ucraina -, ma che prova la resilienza e la capacità di risposta del tessuto meridionale agli stimoli messi in campo con le politiche pubbliche, dai sostegni alle famiglie e alle imprese al Pnrr.

«Un dato in controtendenza rispetto a quanto avvenuto con le due precedenti crisi» (2007-2008 e 2010-2011), sottolinea Luca Bianchi, direttore di Svimez, e già emerso quando si è trattato di fare i conti con il cigno nero della pandemia, con il Sud che, sebbene in misura minore rispetto al resto del Paese, ha partecipato al rimbalzo italiano del 2021 (+6,6%) segnando – dopo un calo dell’8% del Pil, inferiore rispetto al 9,1% del Centro Nord – una crescita del 5,9%.

A maggior ragione, continua Bianchi, «si rafforza la preoccupazione circa una possibile inversione del ciclo e una discontinuità su alcune politiche che avevano supportato questa evoluzione, a partire dall’attuazione del Pnrr, e poi pesa anche l’impatto dell’inflazione che nel lungo periodo potrebbe deprimere molto la dinamica dei consumi nel Mezzogiorno». Intanto nel biennio 2021-2021 il Sud ha recuperato lo shock pandemico, anche se il livello del Pil resta ancora 11 punti sotto dei livelli del 2007, -1,3% il Centro Nord. Per il biennio 2023-2024 Svimez “vede” una drastica riduzione della crescita nazionale, che dovrebbe segnare +1,5% nel 2023, +1,8% nel 2004; con il Mezzogiorno a segnare maggiormente il passo rispetto al resto del Paese, con un Pil al +0,9% contro un +1,7 delle regioni centrosettentrionali. Nel 2024 il divario di crescita tra le due aree è di circa 6 decimi di punto: +1,9% al Nord, +1,3% al Sud.

La situazione si aggraverebbe in caso di una prolungata dell’instabilità politica: la caduta del governo Draghi, con le conseguenti fibrillazioni sui mercati e l’allargamento degli spread, ne ha dato un saggio, ed eventuali difficoltà nella composizione di un nuovo esecutivo metterebbero a rischio il cronoprogramma e quindi l’implementazione del Pnrr. «Mi batterò perché non si interrompa la strada del Pnrr», promette intanto la ministra del Sud, Mara Carfagna. Svimez stima che una prolungata situazione di tensione nei mercati finanziari potrebbe determinare una perdita di Pil nel 2022-2023 di circa sette decimi di punto a livello nazionale, di un punto nel Mezzogiorno, mentre nel resto del Paese si fermerebbe a sei decimi di punto. Intanto l’effetto guerra è già gravoso. Considerando un picco dell’inflazione al 7,7% nel 2022, le conseguenze sarebbero più marcate per il Sud (8,4%) che per il Centro Nord (7,8%). Le imprese meridionali scontano poi più delle altre il caro energia per via dei maggiori costi di trasporto  (il doppio rispetto a quelli delle altre aree del Paese) che gravano sui bilanci a causa della maggiore lontananza dai mercati di sbocco e approvvigionamento.

Il rapporto stima infatti che uno shock simmetrico sui prezzi dell’energia elettrica che ne aumenti il costo del 10%, a parità di cose, determina al Sud una contrazione dei margini dell’industria di circa 7 volte superiore a quella osservata nel resto d’Italia, rischiando di compromettere la sostenibilità dei processi produttivi con possibili conseguenze sui livelli occupazionali Tutti fattori che, insieme alle storiche fragilità strutturali, contribuiscono a determinare la riapertura della forbice nel ritmo di crescita delle due Italie che prima dell’arrivo del nuovo cigno nero, il conflitto, sembrava potesse rimarginarsi. I consumi sono in frenata e la gelata dovrebbe investire soprattutto le regioni meridionali – che conta un maggior numero di famiglie “fragili” – per l’intero triennio considerato nella fotografia di Svimez. Mentre la dinamica degli investimenti “premia” il Sud (+12,2% contro il 10,1% del resto del Paese), che beneficia maggiormente dell’effetto combinato Pnrr e superbonus 110% sulle costruzioni. Mentre quelli “produttivi” seguono un ritmo meno sostenuto. Segnali «contrastanti», rileva Bianchi, arrivano sul fronte del lavoro: nel primo trimestre 2022 l’occupazione è tornata ai livelli pre-pandemici – ma ci sono ancora 280mila posti da recuperare rispetto al primo trimestre 2009 -, tuttavia «la crescita è concentrata nel tempo determinato e lavoro precario – mentre al Nord è tornata a crescere anche l’indeterminato -, con un’esplosione del part time involontario: nel Sud 3 lavoratori su 4 fanno il part time non per scelta ma per carenza di lavoro a tempo pieno, che vuol dire bassi salari e scarso reddito».

In Italia, sottolinea Bianchi, «ci sono 3 milioni di lavoratori in povertà, 1,6 milioni risiedono nel Mezzogiorno: un’incidenza tre volte quella nel resto del Paese». Alla luce di questo quadro, dice Bianchi, «il Pnrr è decisivo per intervenire sui divari». E il rapporto, sottolinea il presidente di Svimez, Adriano Giannola, può considerarsi un «primo tagliando» sul piano, da cui emerge, si sostine, la necessità di adattarlo alle esigenze del mutato contesto, scongiurando altresì i ritardi nella realizzazione delle opere (che devono essere chiuse entro il 2026),  che, considerando ad esempio le infrastrutture sociali, nel Sud “tradizionalmente” richiedono 450 giorni in più rispetto ai 1.007 del dato nazionale (300 accumulati solo nella fase di cantierizzazione). E proprio sul divario nelle infrastrutture sociali insiste il rapporto, legandolo a quello nei diritti di cittadinanza.

Qualche dato: circa 550mila alunni delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra, nel Centro Nord  raggiungono il 54%. Nelle regioni meridionali circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa: solo in Campania se ne contano 200 mila (87%), nel Centro Nord sono 700mila, il 46% del totale. Numeri, quest’ultimi in particolare, evidenzia Bianchi, che «rendono inattuabile l’estensione del tempo pieno». E qui le conseguenze sono drammatiche: gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano in media 4 ore in meno a settimana rispetto a quelli del Centro Nord, che spalmate su un ciclo di 5 anni equivale a un anno di scuola elementare in meno. Meno scuola uguale livelli di apprendimento più bassi: le conseguenze si rispecchiano nei disastrosi risultati dei test Invalsi al Sud. Rispetto al passato, ora ci sono le condizioni per incidere sui divari, e sottolinea Bianchi, anche le potenzialità per «delineare un percorso di partecipazione maggiore del Meridione alla ripresa nazionale».

E’ importante, afferma, che «la campagna elettorale non determini una nuova contrapposizione territoriale tra Nord e Sud: gli indicatori sono correlati tra loro, varia l’intensità tra le due aree ma le tendenze sono simili, confermando il loro profondo legame e ogni politica che allontani i territori non è solo contro il Mezzogiorno ma contro la crescita del Paese, mentre quelle che li avvicinano rendono il Paese più forte». E questo diventa “vitale” soprattutto, come rileva Giannola, considerandone la “distanza” rispetto agli altri partner che ne fa «il grande malato d’Europa, al Nord come al Sud». Il presidente di Svimez chiama quindi in causa l’autonomia differenziata, tema ora al centro della campagna elettorale: «Se io sottraggo risorse al Sud, per esempio attraverso l’autonomia differenziata, che è un modo per trattenere più soldi, vuol dire impoverire l’istruzione, la sanità, ma vuol dire anche per il Nord impoverire sé stesso, visto che il suo grande mercato è sempre stato il Sud». «O a livello nazionale si fa un ragionamento serio guardando quali sono le grandi opportunità dell’Italia e del Sud in particolare, ad esempio con i porti e le nuove forme energetiche come la geotermia, oppure – puntualizza – ci si condanna alla povertà. Il Mediterraneo è il centro del mondo, eppure noi siamo ancora ospiti».


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