Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il presidente di Unindustria, Angelo Camilli, all’assemblea dell’associazione
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La risposta al dittatore di Mosca che chiude i rubinetti del gas giace nei cassetti dei ministeri e delle Regioni. «Secondo i dati di Terna sono oltre 1.400 le domande per impianti di energia pulita ferme dal 2021, parliamo di oltre 150 Gw potenziali. Ne basterebbero 80 per raggiungere gli obiettivi nazionali di transizione ecologica»: è questa la denuncia del presidente di Unindustria Lazio, Angelo Camilli.
In platea, ad ascoltarlo durante l’assemblea generale Unindustria, ci sono, tra gli altri, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati. È un giorno importante: erano tre anni che, causa Covid, l’assemblea degli imprenditori laziali non tornava a riunirsi pubblicamente. Un evento nell’evento che fa pensare a un graduale ritorno alla normalità (l’unica forma di distanziamento è stata quella riservata alla stampa, relegata in una sala a parte).
LE LENTEZZE BUROCRATICHE
Il palco è quello del Teatro dell’Opera – realizzato in 18 mesi, come nel suo intervento farà notare il presidente nazionale di Confindustria, Carlo Bonomi, abituato a un altro tipo di acuti. Ma l’efficacia è la stessa: «Per l’approvazione di un impianto si aspettano fino a 5 anni, non siamo noi a dirlo, ma Legambiente», mette di nuovo il dito nella piaga Camilli. E parte l’applauso. «Le richieste degli imprenditori dal 2018 a oggi hanno fatto registrare un aumento del 300% – aggiunge – Non sono gli investitori a non voler investire, è lo Stato a farli desistere».
Il tema delle energie rinnovabili e la lentezza dell’iter di autorizzazione sono al centro delle preoccupazione del premier Mario Draghi. Che non a caso, proprio in questo settore, ha chiesto ai suoi ministri di accelerare. La burocrazia, insieme alla dipendenza per le materie prime, rende il nostro sistema più fragile. Per accelerare le procedure il governo sta pensando alla nomina di un Commissario per l’energia. Una sorta di generale Figliuolo per le rinnovabili. «Sul fronte energetico paghiamo scelte emotive – rincara la dose Camilli – ma paghiamo anche rifiuti e indecisioni, come quella sul nucleare. Abbiamo fermato le ricerche per le estrazioni del gas naturale in mare, sfruttate nel frattempo da altri Paesi dell’Adriatico».
Autolesionismo allo stato puro che meriterebbe un approfondimento psico-sociale. Una innata tendenza a farsi del male? «Ci sabotiamo – riprende Camilli – C’è un’opposizione ideologica in molti territori al recupero di energia dei rifiuti che invece è la regola in tutta Europa».
Gli applausi partono anche dalle poltrone più autorevoli, dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, da Gianni Letta, da Luigi e Franco Abete, dal capogruppo alla Camera di Italia Viva, Ettore Rosato.
IL TERMOMETRO ROMA
Politiche del lavoro, regionalismo obsoleto, il Giubileo del 2025, la modifica dello schema degli ammortizzatori sociali, l’idea di candidare per Expo 2030 il binomio Roma-Odessa: tantissimi i temi toccati nell’Assemblea degli industriali laziali. La bolletta energetica che nel Lazio – tanto per dire – nell’arco di tre anni si è quasi sestuplicata. E, siamo a Roma, anche i ritardi nei lavori della Metro C.
Mai come questa volta lo stato di salute della Capitale riflette la condizione precaria del Paese. Un esempio su tutti, ampiamente citato nel tempio della lirica romana: il caso Catalent, il progetto che per colpa della burocrazia ha visto volatizzarsi un investimento superiore ai 50 milioni di euro, cento posti di lavoro nel basso Lazio andati in fumo. Eppure qualcosa di buono c’è. Il sindaco capitolino Roberto Gualtieri non si farà fermare dal solito fronte del “No”. Uno schieramento trasversale, che va dalla destra di Fratelli d’Italia alla sinistra di Leu e Cgil, andrà avanti sul proprio progetto di chiudere integralmente il ciclo dei rifiuti realizzando in soli tre anni un termovalorizzatore in grado di smaltire 600 mila tonnellate di rifiuti l’anno.
LEGGI REGIONALI: IL 10% IMPUGNATO DAL CDM
Pensare positivo, dunque, anche in un contesto così complesso, non è reato. «Non vogliamo essere più per l’Europa la solita italietta che non fa i compiti – ha esortato la ministra Gelmini – La stagione della pandemia ha segnato un cambio di passo, dopo una fase di sbandamento abbiamo messo a terra il piano vaccinale più grande della storia». La ministra agli Affari regionali ha però ricordato anche che su 777 leggi regionali ben 81 sono state impugnate dal Cdm, cioè il 10%. Un conflitto istituzionale tra dicasteri e amministrazioni locali che si ripete. «Quella che dovrebbe essere un’estrema ratio è diventata un metodo».
GOVERNATORI COMMISSARI PER I RIGASSIFICATORI
La Gelmini spinge sul tema dei poteri speciali per Roma. Ma da lombarda strizza l’occhio ai governatori del Nord che chiedono più autonomia differenziata. E cita l’espressione di Renzo Piano, la necessità di “rammendare i territori”.
Propone un do ut des. Roma Capitale non più depotenziata, ma come Parigi o Berlino. E in cambio via libera alle richieste di Fontana, Zaia e Bonaccini. Una partita di giro con un primo effetto immediato. «Il prossimo Cdm varerà misure anche per favorire l’approvvigionamento di energia da canali alternativi – ha detto la ministra – semplificazioni per lo sviluppo delle rinnovabili e per la realizzazione dei rigassificatori, con i presidenti delle Regioni commissari speciali». Accentrare i poteri sembra insomma l’unica soluzione per uscire dall’impasse e bypassare i veti posti dalle Soprintendenze.
Il caso del rigassificatore di Porto Empedocle – raccontato da questo giornale – dimostra come possano passare anche 11 anni per avere il via libera con una sentenza del Tar salvo scoprire che l’autorizzazione della sovrintendenza locale era scaduta nel 2006.
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