Il parco Beleolico realizzato nel mar Grande di Taranto
4 minuti per la letturaIl parco Beleolico, questo il suo nome, realizzato nel mar Grande di Taranto da Renexia del gruppo Toto alla fine è stata una vittoria. Ma è stata, come si dice, una vittoria di Pirro. A beneficio di chi non sapesse chi è, Pirro, era il re dell’Epiro che si pose a capo di una coalizione greco-italica e sostenne, tra il 280 e il 275 a. C., una serie di guerre contro la giovane Repubblica di Roma per impedirne l’espansione sulle coste ioniche. Affrontò i romani con l’ausilio degli elefanti e forze preponderanti e vinse a Eraclea e Ascoli Satriano, ma in battaglia perse così tanti uomini che il suo indebolimento si sarebbe poi rivelato fatale.
Mutatis mutandis, l’impianto eolico di Taranto, costato 80 milioni di euro, il primo del Mar Mediterraneo, comprende dieci pale per una capacità complessiva di 30 MW. Assicurerà una produzione di oltre 58mila MWh, pari al fabbisogno annuo di 60mila persone.
Nell’arco dei 25 anni di vita consentirà un risparmio di circa 730mila tonnellate di anidride carbonica. Tutto bello, peccato che ci siano voluti 14 anni per realizzarlo. Fu proposto nel 2008, ma il suo cammino è stato irto di ostacoli fin dalle prime battute. Ora, altri due impianti, da collocare in mare sono previsti al largo di Brindisi e del Salento, ma aspettano da tempo le autorizzazioni.
L’esempio di Taranto conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che le politiche energetiche dell’Italia devono muoversi su territori quanto mai impervi e tortuosi, specie nel Mezzogiorno, che pure presenta condizioni meteo-climatiche particolarmente favorevoli allo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili come l’eolico, il fotovoltaico, le biomasse. Legambiente in un recente rapporto (“Scacco alle rinnovabili”) ha calcolato che per realizzare un impianto eolico finora ci sono voluti in media cinque anni contro i sei mesi previsti dalla normativa.
Lo sviluppo delle energie rinnovabili è una delle finalità primarie assunte anche dall’Italia per partecipare agli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e 2050 posti da Onu e Ue. In questo senso si orientano il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima del 2019, il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza e, non meno rilevante, il Piano per la transizione ecologica collegato al Pnrr.
Il Mezzogiorno dovrebbe diventare la macro area del Paese in cui sviluppare maggiormente quella parte della transizione ecologica che riguarda lo sviluppo delle energie rinnovabili, e, in particolare, del fotovoltaico e dell’eolico.
Secondo un Report della SVIMEZ redatto in collaborazione con REF Ricerche, il Mezzogiorno può assumere un ruolo di guida, relativamente allo sviluppo del fotovoltaico e dell’eolico, ambiti nei quali si registra già un buon posizionamento dell’Italia in Europa e delle regioni meridionali rispetto al resto del Paese. Il Governo ne è consapevole e si muove di conseguenza. Ma i fatti stanno a indicare che la volontà e gli investimenti non bastano se poi gli enti e le popolazioni locali si mettono di traverso ai progetti.
Nel complesso, la mole degli investimenti stimati supererebbe gli 82 miliardi di euro a livello nazionale, la cui distribuzione privilegerebbe le regioni meridionali, verso le quali andrebbero circa 48 miliardi di investimenti, pari al 58,9% del totale. Questa mole di interventi genererebbe un incremento nel valore della produzione di 148 miliardi di euro: per ogni euro di investimento se ne creerebbero 1,8 nell’intero sistema economico. Il Valore aggiunto addizionale sarebbe di 55 miliardi di euro. L’impatto, in termini di incidenza del Valore aggiunto attivato sul Pil sarebbe pari al +3,1% a livello nazionale; anche in questo caso sarebbe maggiormente rilevante nelle regioni del Mezzogiorno (+5%) rispetto al Centro-Nord (+2%).
Gli investimenti potrebbero attivare, nell’intero periodo, 373mila occupati aggiuntivi, di cui 156mila nelle regioni meridionali e la parte restante, 164 mila, in quelle del Centro-Nord. Il mese scorso il Consiglio dei ministri ha sbloccato la realizzazione di sei parchi eolici in Puglia, Basilicata e Sardegna per 418 megawatt complessivi. Altri sette parchi per quasi 350 mw totali avevano ricevuto luce verde a dicembre 2021 seguiti da alcune decine di impianti fotovoltaici. In tutto progetti per 1,4 gigawatt. Un balzo in avanti che resta, però, insufficiente per raggiungere gli almeno 8 Gw annui necessari per sommare alla capacità “green” attuale altri 70 Gw di potenza entro il 2030. Condizione necessaria sia per abbassare il costo delle bollette, sia per affrancarsi dall’importazione di petrolio e gas dalla Russia, ma anche per ridurre le emissioni del 55% entro la fine del decennio rispetto ai livelli del 1990.
Da qui al 2030 l’Italia punta a installare 900 megawatt di eolico offshore in mare, secondo le previsioni contenute nel Piano nazionale integrato energia e clima. Sono 40 i progetti per i quali sono state presentate altrettante richieste di connessione a Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, ma finora. purtroppo non ce n’è nemmeno uno in funzione.
Il “caso” di Taranto non è l’unico. Rexenia è un progetto del Gruppo Toto per un impianto che dovrebbe sorgere al largo delle isole Egadi, sul Canale di Sicilia, a 60 chilometri dalla costa, tra la Tunisia e Mazara del Vallo. Un impianto da 2,9 Gigawatt in grado di soddisfare 3,4 milioni di famiglie. Un progetto, però, che contrappone gli ambientalisti, favorevoli all’eolico come passo decisivo verso la transizione energetica e per contrastare gli effetti del cambiamento climatico, e i pescatori, contrari perché temono che l’impianto possa pregiudicare la pesca.
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