Una piattaforma petrolifera
4 minuti per la letturaCosa farà l’Italia se, da un giorno all’altro, dovesse (volontariamente?) privarsi del gas russo? Quale scenario si dischiude per i consumi delle famiglie e delle imprese soprattutto di quelle energivore? Potremmo rivivere l’austerity che ci colpì inopinatamente negli anni Settanta del Novecento quando, dopo gli anni del boom economico e l’aumento del fabbisogno energetico, la guerra dello Yom Kippur, tra Egitto, Siria e Israele, portò prima a un rincaro del greggio da parte dell’Opec, il cartello dei produttori di petrolio, verso gli Stati che appoggiavano Tel Aviv, e poi ad un vero e proprio embargo? Sono le domande ricorrenti di famiglie e imprenditori alle quali il governo cerca di rispondere attraverso una strategia a tutto campo volta a perseguire l’obiettivo di rendere il Paese autonomo dal punto di vista dell’approvvigionamento di materie prime energetiche, in primis dalla Russia.
Già. Perché mezzo secolo dopo l’austerity, c’è un’altra grave e impellente crisi energetica causata dalle sanzioni dell’Occidente nei confronti della Russia, che prevedono lo stop alle forniture del gas russo, per la guerra contro l’Ucraina.
Nonostante la “coda” di un inverno freddo e piuttosto bizzoso, il progressivo miglioramento delle condizioni climatiche con l’innalzamento delle temperature, dovrebbe consentire di ridurre la domanda di gas per uso civile di circa 40 milioni di metri cubi di gas al giorno. Ciò significa che, con le scorte attualmente disponibili, gli italiani possono affrontare l’estate e arrivare al prossimo inverno senza rinunce e affanni.
Attualmente l’Italia importa dalla Russia il 38% del gas naturale consumato (29 miliardi di metri cubi), ciò vuol dire che in pochi mesi deve mettere in atto una serie di interventi per sostituire le forniture russe.
Il governo naturalmente non è rimasto con le mani in mano, ma sta lavorando su più fronti: anzitutto per incrementare l’approvvigionamento di gas naturale da altri Paesi fornitori e di gas naturale liquefatto, quindi accrescere la generazione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili, e, infine, aumentare la produzione interna di materie prime energetiche, sfruttando i giacimenti nazionali di gas (e di petrolio).
Al momento, però, solo il primo fronte sarebbe in grado di garantire in tempi ragionevolmente brevi fino a 20 miliardi di metri cubi l’anno, già a partire dal prossimo inverno, ovvero la metà di quanto attualmente importiamo dalla Russia.
Per quanto riguarda la produzione interna, invece, l’idea è quella di potenziare i tre rigassificatori di Livorno, Rovigo e Panigaglia per ottenere altri 4,5 miliardi di metri cubi l’anno. La preoccupazione del governo non è per il breve periodo ma per le stagioni invernali del 2023 e 2024 visto che ci vorranno dai due ai tre anni di tempo per rimpiazzare l’import di gas dalla Russia. Se proprio ci dovessimo trovare con l’acqua alla gola, l’unica soluzione possibile sarebbe quella dei razionamenti per imprese e famiglie, che il governo Draghi al momento esclude. Tuttavia, l’esecutivo ha già un piano di emergenza destinato a garantire l’approvvigionamento di gas naturale sulla falsariga del “modello” tedesco, un altro Paese fortemente dipendente ad oggi dalle importazioni di gas russo.
Il ministero della Transizione Ecologica, che è l’autorità competente per la sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale, il 27 febbraio scorso, aveva dichiarato lo stato di preallarme per quanto riguarda la crisi energetica che potrebbe mettere a rischio lo stoccaggio e le forniture di gas naturale. Ma, man mano che il nodo scorsoio delle sanzioni tenta di strangolare la Russia, cresce inevitabilmente il rischio che per rappresaglia, anziché l’Europa e quindi anche il nostro Paese, sia Mosca stessa a chiudere i rubinetti di rifornimento di gas. Il livello di pericolosità della minaccia alle forniture è dunque sensibilmente maggiore oggi rispetto a quanto previsto nelle analisi di rischio svolte in passato.
Nella scala procedurale, dopo lo stato di preallarme, segue quello di allarme e di emergenza. Il Piano di emergenza del sistema italiano del gas naturale si fonda sui livelli di crisi stabiliti dal Regolamento UE 1938 del 2017 da cui derivano i piani di azione preventiva e di emergenza.
Il livello di preallarme sussiste quando esistono informazioni concrete, serie ed affidabili secondo le quali può verificarsi un evento che potrebbe deteriorare significativamente la situazione dell’approvvigionamento e che potrebbe far scattare il livello di allarme o il livello di emergenza.
Quindi, in poche parole, lo stato di preallarme non implica alcun cambiamento nella nostra quotidianità, ma comporta una maggiore attenzione da parte delle Autorità competenti circa la situazione che potrebbe degenerare nel caso estremo di interruzione della fornitura. A quel punto ci sarebbe lo stato di allarme. A questo stadio si riunirà un team di crisi, che comprende autorità e fornitori di energia, che metteranno a punto un piano per garantire l’approvvigionamento di gas programmando e preparando, ad esempio, l’utilizzo degli impianti di stoccaggio.
Il piano prevede di tutelare innanzitutto i cittadini e i servizi essenziali, che potrebbero essere oggetto di riduzioni solo come estrema ratio. Questo significa che le abitazioni private, gli ospedali, i vigili del fuoco, le forze dell’ordine, nonché le centrali elettriche a gas, che servono anche a fornire calore alle famiglie, non dovrebbero essere toccate dai piani di riduzione dei consumi.
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