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Vladimir Putin al Gasdotto

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Fare un embargo alla Russia sulle sue forniture di gas all’Europa sarà molto dura, per tutto il continente, ma in particolare per l’Italia, l’anello più debole dell’Unione.

Solo la distruzione di domanda, il taglio dei consumi, potrà compensare l’ammanco dei 155 miliardi di metri cubi (mc) che l’Europa importa ogni anno dalla Russia. Analizzando quanto fatto in queste settimane dal governo italiano, fra cercare gas in giro per il mondo, sbloccare la produzione nazionale, spingere sulle rinnovabili e usare più carbone, se arriveremo a 10 miliardi sarà tanto.

Ne mancano ancora 19 per arrivare ai 29 miliardi mc che abbiamo preso dalla Russia nel 2021. Mettiamo pure di non essere bene informati sulla capacità del nostro sistema e sulle virtù della nostra politica e scontiamo anche un netto miglioramento dell’efficienza, possiamo allora ipotizzare di arrivare a 15 miliardi mc, ma ne mancano ancora 14.

In termini di tonnellate equivalenti di petrolio si tratta di circa 12 milioni che rappresentano il 7% dei 167 milioni tonnellate equivalenti petrolio (Mtep) che abbiamo consumato l’anno scorso.

Se non ci sono questi volumi, nel caso si decida di fare l’embargo, occorre distruggere la domanda, razionare, non consegnare. Un calo dei consumi di simile entità equivale a causare una recessione dell’ordine del 2-3%.

Nel 2021 con un PIL sceso di questi il 9% causa pandemia, la caduta dei consumi energetici è stato di 16 Mtep, pari a circa 20 miliardi di metri cubi.

La distruzione di domanda è quello che si sta verificando nell’industria, dove i consumi a marzo hanno fatto segnare un calo del 10% sullo stesso periodo dell’anno prima.

Tutto sommato, visto l’andamento dei prezzi, più che quintuplicati nell’arco di un anno, non è tanto e, soprattutto, avrebbe dovuto verificarsi già da alcuni mesi. La forza della ripresa dalla pandemia nel 2021, evidenti in ordini e fatturato eccezionali, aveva portato a livelli di produzione e di margini che hanno consentito di resistere per qualche mese.

Ora, per molti è giunto il momento di spegnere i forni, vendere quello che hanno nel magazzino e, nel caso non arrivi la pace, prepararsi alla chiusura dello stabilimento e alla cassa integrazione.

In un anno l’industria in senso stretto consuma circa 14 miliardi metri cubi, valore sceso abbondantemente negli ultimi anni per il processo di deindustrializzazione, e un calo del 10% su base annuale significa una riduzione di 1,4 miliardi metri cubi, sempre troppo poco rispetto a quanto necessario. Il problema è che l’industria usa tanta elettricità e qui non si vedono molte riduzioni dei consumi, nonostante l’esplosione delle bollette.

Infatti, i consumi di gas nel settore elettrico in marzo sono aumentati, perché non c’è molta produzione da idroelettrico negli ultimi mesi, mentre, se non altro, salgono eolico e fotovoltaico, ma contano ancora troppo poco sul totale.

Nel caso di razionamento occorrerebbe tagliare le consegne di gas alle centrali elettriche e queste, una volta sfruttato gli scarsi spazi di passaggio a combustibili alternativi, in particolare al carbone, dovrebbero comunque smettere di produrre e procedere alle interruzioni programmate di consegne elettriche.

Le prime sarebbero le fabbriche, quelle che sono pagate per subire interruzioni programmate, poi ci sarebbero le altre, anche quelle non interrompibili, poi occorrerebbe tagliare anche ai servizi, tipo pubbliche amministrazioni, scuole, centri commerciali. Poi alla fine dovrebbero essere coinvolte anche le famiglie, con tagli simili a quelli conosciuti nel lontano giugno del 2003. Una cosa del genere sarebbe poi necessaria anche sul gas, passando prima per le fabbriche e solo alla fine optare per il taglio del gas alle famiglie, cosa assolutamente difficile da proporre nel prossimo periodo invernale.

Due giorni fa, il primo aprile 2022, è iniziata la stagione del riempimento degli stoccaggi che ci serviranno per il prossimo inverno, ma non sta andando bene perché i prezzi del gas sono troppo alti e nessuno vuole rischiare di avere delle scorte che poi, dovesse scoppiare la pace, si svaluterebbero. Un’altra pessima notizia in questa economia, dell’energia, di guerra.


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