X
<
>

Share
5 minuti per la lettura

Nella diversificazione degli approvvigionamenti, la Sicilia avrà un ruolo sempre più strategico. Il gasdotto proveniente dalla Libia, il Greenstream, lungo 520 km, che arriva a Gela (Caltanissetta) e il TransMed (lungo 2 mila km), che collega l’Italia all’Algeria attraversando la Tunisia fino a Mazara del Vallo (Trapani) sono due infrastrutture nevralgiche per il trasporto del gas, sempre più caro e sempre più necessario, specie ora che tentiamo di affrancarci da quello russo a causa della guerra in Ucraina.

Oggi, infatti, l’Algeria è il nostro secondo fornitore di gas, dopo la Russia. L’Italia ha un fabbisogno energetico di 76 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

DIPENDENZA LETALE

Come si rileva dal grafico in alto, i due gasdotti che approdano in Sicilia forniscono il 32% del fabbisogno italiano, contro il 38,2% di quello russo. Con la possibilità che, risolta la crisi libica, si potrebbe incrementare l’importazione da entrambe le fonti.  Nei gasdotti viene immesso a oggi poco più del 35% della loro capacità: c’è spazio, dunque, per incrementare la fornitura. Ma a che prezzo? Le connessioni con questi Paesi riguardano per ora solo forniture di  altro gas, ma sempre di metano si tratta, alimentando ulteriormente la dipendenza italiana da una fonte fossile.

Questa circostanza, se da un lato ci potrebbe permettere, anche se non nell’immediato, di ridurre la quantità di gas fornito dalla Russia, sulla quale incombono molte sanzioni, ma non quella sul divieto di importazione del gas naturale, dall’altro lato ci rendono pur sempre dipendenti da forniture dall’estero.

Il governo lo sa, come ha detto anche il ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nell’informativa del 16 marzo al Parlamento sull’ulteriore aumento dei costi dell’energia causato dalla crisi scattata a fine 2021 e aggravata dal conflitto in Ucraina.

«Al momento l’Italia dipende dal punto di vista energetico  al 95% dal gas naturale – aveva detto in aula il ministro – Le importazioni dalla Russia sono aumentate dai 20 miliardi di metri cubi del 2011, che costituivano il 25% dei consumi, ai 29 miliardi del 2021, che costituisce più del 39%. Dal punto di vista della diversificazione abbiamo un sistema di approvvigionamento che è abbastanza  resiliente, soprattutto gas proveniente dall’estero».

RICHIESTE AI PARTNER

Al tavolo delle trattative l’Italia chiede ai  “nuovi” partner (in realtà quasi sempre fornitori già esistenti) di aumentare le forniture, ma parliamo pur sempre di Paesi o dilaniati da guerre civili o politicamente instabili. È il caso dell’Egitto (con cui le relazioni italiane sono  dominate dal petrolio e dal gas e dalle armi  nonostante l’omicidio del ricercatore friulano Giulio Regeni, scomparso nel gennaio 2016 e ritrovato nel febbraio dello stesso anno dopo essere stato torturato e ucciso) e della Libia (dopo la deposizione di Muammar Gheddafi, l’ex leader libico, l’unico tema sollevato dall’Italia, oltre alla richiesta di frenare i  flussi di migranti, è stato quello della tutela della presenza petrolifera italiana).

In entrambi i Paesi Eni vanta una storica e consolidata presenza. Basti pensare che dalla costa libica di Mellitah parte il gasdotto  GreenStream  che poi approda a Gela: sin dalla sua costruzione nel 2004 il gasdotto non ha mai marciato a pieno regime e, secondo gli ultimi  dati del MiTE, a fronte di una capacità di 10 miliardi di metri cubi di gas, nel 2021 ne ha fornito appena un terzo.

In Egitto, invece, il solo giacimento di Zhor  ha un  potenziale di 850 miliardi di metri cubi di gas. Ecco perché è facile supporre che l’Italia potrebbe tornare a chiedere a questi Paesi un maggior contributo in termini di rifornimento di gas. In ogni caso, attraverso i nuovi accordi già stabiliti e quelli da concludere, secondo Cingolani è plausibile «colmare le forniture russe tra i 24 e i 36 mesi».

Ma è davvero un obiettivo alla portata? «Dovremo  sostituire 30 miliardi di metri cubi di gas  prima possibile, ma è uno scenario che non voglio nemmeno considerare perché ha a che fare con una guerra».

Quando il ministro alla Transizione ecologica si presenta in Senato lo scorso 10 marzo, in teoria il tema dell’audizione è il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Al posto della verifica degli obiettivi del MiTe, il dibattito tra governo e Parlamento si focalizza però inevitabilmente sulla guerra in Ucraina. Da poco meno di un mese l’Italia sta ridisegnando infatti la propria strategia energetica. Per ora Putin continua a rifornire l’Europa ma, afferma Cingolani, «noi dobbiamo rimpiazzare il gas russo il prima possibile e ci stiamo lavorando».

SERVE PIÙ GAS ITALIANO

Si tratta di una questione complessa, che mette insieme  politica ambientale ed estera. Secondo il ministro «circa  15 miliardi di metri cubi di gas sono già assicurati  entro il primo semestre, attraverso una serie di accordi preliminari che sono stati stipulati».
Cifre importanti ma che, come ribadito, sono al di là dall’essere raggiunte. «Non siamo né ottimisti né ingenui, come ci ha dipinto certa stampa, stiamo lavorando con fornitori internazionali e  ci basiamo sulle stime di questi Paesi» ha affermato Cingolani. Resta il fatto, però, che secondo molte analisi, i tempi descritti dal ministro difficilmente verranno rispettati.

Dunque, servirebbe estrarre più “gas italiano”, ovvero aumentare la produzione nazionale, e su questo aspetto sono state sbloccate, sia lo sfruttamento, sia la ricerca di giacimenti di metano (si veda il nostro giornale di ieri 22 marzo), l’altra soluzione è quella di incrementare il gas naturale liquefatto importato da altre rotte, come gli Stati Uniti (il presidente Joe Biden ha offerto la sua disponibilità a sostenere gli alleati con maggiori rifornimenti); inoltre «rafforzare il corridoio sud a scapito delle altre importazioni».

I NOSTRI RIGASSIFICATORI

Nel 2008, in occasione della prima guerra in Ucraina, temendo conseguenze nella fornitura di gas dalla Russia, l’Italia si pose lo stesso problema di oggi di diversificare gli approvvigionamenti e pensò a un piano di rigassificatori, quegli impianti che ricevono via nave gas liquido congelato e lo riportano allo stato gassoso.

Era stato pensato – in aggiunta all’unico impianto esistente, quello galleggiante di Livorno – un sistema di 14 rigassificatori sparsi lungo la costa della penisola, che dovevano servire a mantenere piene le riserve in caso di emergenza.  Ebbene, in 14 anni ne sono stati autorizzati soltanto due: a La Spezia e vicino Venezia.

In Sicilia ne erano previsti due, a Porto Empedocle (Agrigento) proposto dall’Enel, e a Priolo (Siracusa) proposto da Erg e Shell. Ora il Tar ha respinto il ricorso del Comune di Agrigento e l’Enel ha il via libera a Porto Empedocle.  

In attesa dei rigassificatori, dell’aumento della produzione dai giacimenti nazionali e di quella da fonti rinnovabili, quella di aumentare l’importazione dall’estero di gas è l’unica strada praticabile.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE