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Una centrale nucleare

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Secondo un vecchio proverbio ‘’non tutti i mali vengono per nuocere’’. A saperne approfittare anche la ‘’tempesta perfetta’’ dell’impennata dei costi dell’energia e delle materie prime, può divenire un’occasione per svegliare il Paese dal sonno della ragione in cui vive da decenni. Certo, c’è sempre di mezzo il primum vivere.

Se il governo non vuole veder sfumare in pochi mesi il sorprendente recupero che l’apparato produttivo è riuscito a realizzare – dopo la fase del lockdown – quando si è iniziato ad invertire il ciclo delle chiusure, deve gestire nel migliore dei modi possibili l’emergenza energetica, proseguendo in quella politica dei ristori in cui nell’arco di pochi mesi il governo – in vari provvedimenti – ha stanziato circa 11 miliardi. I talk show si sono gettati come vampiri sulle bollette a carico delle famiglie, con qualche toccata e fuga sulle piccole imprese.

Ma l’emergenza riguarda tutto il sistema. “Il caro energia è la mina sulla strada della ripresa”, ha ribadito il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ospite del Tg1: “quest’anno l’industria pagherà una bolletta di 37 miliardi. Abbiamo bisogno di interventi strutturali, c’è la necessità che si aumenti la disponibilità di energia per l’impresa italiana, sia attraverso l’aumento del gas italiano sia l’aumento delle energie rinnovabili”.

Non ha senso, infatti, gettare risorse in un buco senza fondo, trasformando lo Stato in ufficiale pagatore di ultima istanza, al solo scopo di poter proseguire con l’andazzo di questi ultimi decenni, contraddistinti – soprattutto in alcune arre del Belpaese – da un NO diffuso, generalizzato e difeso da comitati civici, sorti al grido del ‘’non nel mio giardino’’, contro ogni possibile soluzione tecnologica in grado di affrontare la questione dell’approvvigionamento energetico con una visione realistica e razionale. Anche perché nessuno di questi comitati del NO si è mai preso la briga di tornare ad illuminare le abitazioni ‘’alla luce fioca di candele e lampade a petrolio’’, ma ha sempre preteso di accendere l’interruttore e di avvalersi di tutti i possibili elettrodomestici, ovviamente con il suv (a proposito di inquinamento) parcheggiato sotto casa.

Per farla breve, il governo deve cogliere l’occasione della strizza indotta dal caro-bollette per dare avvio a quelle misure di carattere strutturale fino ad ora evitate a furor di popolo. Guai però a commettere l’errore opposto dei tanti faciloni che si accontenterebbero di far pagare le bollette allo Stato, con i rimborsi/ristori e con il ritorno ai prezzi amministrati. Impostare una politica energetica improntata ad una maggiore autonomia nel garantirsi il fabbisogno non è un problema che si risolve a parole e in breve tempo.

Ma anche i percorsi più lunghi cominciano sempre con un primo passo, poi, volendo, si può accelerare il cammino. L’importante è uscire da quell’età dell’innocenza nella quale ci siamo cullati per tanti decenni, rendersi conto che – al pari dei bambini che non nascano sotto i cavoli – l’energia non si recupera tramite danze scaramantiche della pioggia. E’ bene e necessario sviluppare le c.d. energie alternative, perché l’aria, il solo – dicono gli ecologisti – non costano (anche se costano moltissimo, in particolare sull’import, i materiali per le pale eoliche e i pannelli solari).

Può essere che in un prossimo futuro – ne dubito – le energie alternative siano in grado di garantire il fabbisogno energetico di un grande paese industriale e sviluppato. Ma vi è comunque una fase di transizione durante la quale con le fonti alternative ci si può accontentare di scaldare l’acqua della doccia. Per certi versi noi siamo un paese assurdo. In Francia, un paese vicino, grazie al nucleare il fabbisogno è coperto al 60%. E le centrali ‘’cugine’’ ci vendono l’energia prodotta con la fusione dell’atomo. Il bello è che città come Torino o Milano, in caso di incidente, corrono più rischi così di quanti ve ne sarebbero da una centrale in Calabria.

Oltralpe quando il governo pensa di fare un nuovo investimento nel nucleare si costituiscono appositi comitati di cittadini, che candidano i loro territori ad ospitare l’insediamento; da noi si organizzano blocchi stradali. In Italia, nel 2020 (un anno di blocco parziale degli impianti in numerosi settori) il fabbisogno energetico nazionale è stato coperto per il 73% da importazioni (il gas in larga prevalenza da Russia ed Algeria). Il prezzo d’acquisto all’estero è di 15-20 volte superiore a quello prodotto in Italia. Si è fatta la guerra alle trivellazioni nel mare Adriatico, fino ad arrivare col Conte 2 a bloccare le ricerche e a ridurre l’estrazioni nei pozzi attivi.

Abbiamo riserve di gas non utilizzate. Pare che la Basilicata galleggi sul petrolio; ma chi non ricorda il presunto scandalo denominato ‘’Tempa rossa’’ che – a proposito della giustizia ad orologeria – venne sparato sui media pochi giorni prima lo svolgimento di uno dei tanti referendum all’insegna del NO, per poi finire a coda di pesce? E la pantomima dei rifiuti? Al Nord i termovalorizzatori esistono e funzionano da decenni e sono utilizzati per il riscaldamento delle città.

Al Sud si assiste spesso ad una opposizione incomprensibile se qualche amministrazione propone di costruire un impianto. Siamo diventati esportatori di rifiuti urbani; noi paghiamo il trasporto per migliaia di km e le strutture pubbliche e private che ce li acquistano e che considerano questa mercanzia una risorsa. Mi chiedo se almeno l’amministrazione capitolina si sia premurata di brevettare lo smaltimento dei rifiuti tramite le mandrie di cinghiali. Si chiama economia circolare anche questa.


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