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Alcuni pensano che si sta dando troppa importanza alle cosiddette zone economiche speciali. E che bisogna puntare su altri asset per lo sviluppo del Mezzogiorno.

Certamente non si può trascurare il turismo, che potrebbe dare un contributo importante alla crescita dell’occupazione delle nostre aree. Così come tutta la parte logistica potrebbe rappresentare un importante contributo allo sviluppo.

Non dobbiamo dimenticare che lo stivale è estremamente lungo e da Bari scende fino a Taranto per poi incontrare Messina, Augusta, Gela, Porto Empedocle fino a Trapani a Palermo e risalendo a Gioia Tauro e Napoli. Insomma una serie di porti, di attracchi, peraltro vicini all’Africa: la distanza tra la Sicilia e la Tunisia e poco più di 150 km mentre Augusta è frontaliera rispetto a Suez.

Ce lo insegnano quanto importante siano l’Olanda che con i suoi porti in particolare Rotterdam, è riuscita ad avere un’occupazione di circa 700.000 occupati, tra quelli direttamente impiegati nei porti e quelli che invece sono occupati nel retro porti.

Per il turismo sappiamo che le 80 milioni di presenze del Sud sono più o meno quelle che ha il solo Veneto e certamente possono crescere creando tante opportunità per i giovani meridionali. Che se vogliamo quantificare potrebbero in una ipotesi di raddoppio delle presenze arrivare fino a raddoppiare gli occupati del settore, che per ora sono dimensionati in circa 300.000.

Ma proprio riflettendo su questi dati e sapendo perfettamente che malgrado alcuni romantici nostalgici  che vorrebbero che il Mezzogiorno fosse agricoltura e turismo, ci rendiamo conto perfettamente che l’agricoltura non potrà aumentare i propri addetti, anche se forse potrà aumentare il suo valore aggiunto, ma anzi probabilmente  che essi diminuiranno e che il turismo ha le dimensioni in termini occupazionali che abbiamo già detto, soprattutto se tutta la parte relativa ai consumi conseguenti sono di prodotti che vengono fabbricati altrove.

Ma se si vuole fare il conto della serva e non soltanto idealizzare uno sviluppo, bello come ideale, ma assolutamente non realistico per un territorio che è il 40% di quello nazionale e per una popolazione che è il 33% di tutti gli italiani, dobbiamo tener conto, come diceva già nel 1988 Pasquale Saraceno, che l’industria manifatturiera è fondamentale per dare le risposte che i giovani meridionali si aspettano e che non prevedrebbero che per un progetto di vita ci si debba spostare e  lasciare radici e territorio, con un processo migratorio che arricchisce il Nord ma impoverisce pesantemente il Meridione.

E se andiamo a vedere quello che è accaduto negli ultimi anni ci accorgiamo che gli addetti nell’industria sono fermi ormai da oltre 10 anni a quei 1.210.000 occupati, comprese le costruzioni, e che malgrado sostegni ed aiuti le realtà imprenditoriali meridionali non riescono ad andare oltre tali dati.

Per questo è necessario seguire l’esempio degli altri paesi europei oltre che di tutte le realtà internazionali più importanti, a cominciare dalla Cina, e cercare di attrarre investimenti dall’esterno dell’area. Diventare attrattivi perché sia interessante per le grandi multinazionali localizzarsi nel Mezzogiorno d’Italia e creare quei posti di lavoro che servono perché si possa arrivare a un rapporto uno a due della realtà a sviluppo compiuto come in Italia l’Emilia-Romagna.

Ma perché l’attrazione funzioni é necessario che ci siano delle condizioni complessive molto accattivanti che prevedano una buona infrastrutturazione, una criminalità organizzata all’angolo, un costo del lavoro basso, dei vantaggi fiscali sugli utili di impresa ed una semplificazione amministrativa.

Tutto questo è difficile che lo si possa attuare in tutta la realtà del Mezzogiorno.  Per questo è necessario individuare delle aree dove queste condizioni si possono attuare in tempi brevi.  Ecco la logica delle Zes, che pare aver convinto la ministra Mara Carfagna e che sono partite ormai con la nomina dei commissari avvenuta da poco.

Le otto Zes del Mezzogiorno, se saranno adeguatamente gestite ed assistite, potranno dare una risposta importante all’esigenza di occupazione di queste aree e conseguentemente anche alla crescita del reddito prodotto, probabilmente impedendo che strumenti come il reddito di cittadinanza diventino unica alternativa per migliaia di giovani considerato che solo la Campania ne concede quasi 700.000 e la Sicilia oltre 550.000.

Qualcuno potrebbe dire che esse corrono il rischio di diventare un ulteriore strumento assistenziale per alimentare il consenso dei capetti politici meridionali, e non vi è dubbio che questo rischio lo corrono. Ed è il motivo per il quale sono state individuate con una superficie troppo ampia. Ma qui si vedrà la capacità dello Stato centrale di non far perdere ad uno strumento particolarmente importante quel ruolo che dovrebbe avere nella costruzione dello sviluppo, dando obiettivi precisi in termini sia di crescita occupazionale che anche di reddito delle realtà individuate.

Non vi è alternativa a tale strumento se non la continuazione di quel processo migratorio che sta impoverendo le nostre realtà, non soltanto facendo trasferire i nostri giovani nel momento della ricerca dell’occupazione, ma addirittura anche prima, arricchendo le università settentrionali, visto che essi si convincono che per avere più facilità a trovare un’occupazione è meglio andare a studiare direttamente al Nord.

Se ci si confronta con i numeri e non si esprimono solo desideri, non collegati con le dimensioni demografiche e territoriali del nostro Sud, alternative credibili a un diverso sviluppo del Mezzogiorno non ve ne sono.

Per questo conviene giocarsi questa carta nel modo corretto, impedendo a quanti intervengono per inserirsi con i loro obiettivi in distonia con quelli dello strumento stesso, che riguardano fondamentalmente l’alimentazione del proprio consenso, perché altre carte immaginarie, che vedono nel turismo e nell’agricoltura la soluzione per la realtà meridionale, sono funzionali al Nord che continua ad utilizzare questa parte come riserva indiana cui attingere al bisogno o nella quale localizzare le funzioni inquinanti, e non sono una soluzione del problema ma solo la continuazione del processo di spopolamento dell’area.


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