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Nella teoria dei mercati, in particolare in quelli delle borse merci, da sempre si studia l’evento più estremo, quello quando i prezzi impazziscono, per lo più al rialzo, e obbligano alla sospensione delle negoziazioni a difesa degli investitori e dell’interesse pubblico. Qua l’interesse pubblico è stato da tempo calpestato, non solo minacciato, con prezzi del gas in Europa che ieri hanno toccato un nuovo record storico a 180 euro per megawattora, 18 volte la media del 2020 e 36 volte i costi di produzione in Italia. Il prezzo del gas spinge a nuovi massimi quelli dell’elettricità, ieri a 438 euro per megawattora, anche questo record storico superiore di 10 volte rispetto alle medie del 2020.

Si chiudono i mercati quando sussistono carenze informative sulle ragioni del rialzo, e qua ve ne sono parecchie di lacune, perché se è vero che la Russia sta consegnando meno e che gli stoccaggi sono più bassi del normale, non si sa molto dei volumi aggiuntivi che potrebbero arrivare da Nord Africa, dagli Stati Uniti o dalla Norvegia all’interno dei vecchi, e sempre sconosciuti, contratti “prendi o paga”, “take or pay”, di lungo termine.

Si chiudono i mercati perché alcuni partecipanti al mercato non forniscono informazioni affidabili e questo è il caso della Russia che partecipa attivamente alle negoziazioni e che, per ragioni le più diverse, sta facendo aumentare le quotazioni.

Si chiudono i mercati perché vi è il rischio di potenziali manipolazioni da parte di pochi soggetti che controllano i movimenti al rialzo e il sospetto che ciò accada, quando ci si trova davanti a variazioni come quelle dell’ultimo mese, è ovvio. Che poi venga successivamente provato è un’altra questione, intanto si chiudono le negoziazioni e si continuano, sotto obbligo dello stato, le forniture di partite fisiche, con la loro valorizzazione che avverrà in un momento successivo in base a criteri stabilito dall’autorità. Ma quale autorità? Questo è il problema.

Le negoziazioni sul gas in Europa sono guidate da due borse merci leader, la prima, quella più importante, per la sua attività sul petrolio, metalli e derivati finanziari, è l’ICE di Londra, o Intercontinental Exchange, il vecchio International Petroleum Exchange nato nel 1983 a fianco dello storico London Metal Exchange.

Il gruppo ICE attualmente è una delle società più grandi al mondo fra quelle che gestiscono borse e mercati azionari. L’altra borsa è EEX di Leibnitz in Germania, l’European Energy Exchange, tutta tedesca, molto recente, cresciuta sulla spinta delle liberalizzazioni e delle riforme dell’industria elettrica e del gas dell’Europa.

Il gioco a questa è sfuggito di mano, toppo grosso per esserne in grado di gestirne gli effetti con liquidità modesta, evidentemente, rispetto ai volumi di liquidità arrivati dalle banche e dai fondi vari. La prima, quella di Londra, molto più potente, si disinteressa ampiamente di quanto sta accadendo per il sistema energetico del continente, oltre che di quello di casa propria, perché è una normale dinamica fra le tante che hanno investito al rialzo diversi beni scambiati sulla sua borsa.

Stride il fatto che la Commissione Europea, l’organo esecutivo della nostra Unione, con le sue dettagliate, complicate, sofisticate, spesso incomprensibili, regolazioni, abbia affidato a queste due borse il potere di far schizzare i prezzi di 10 volte, senza prevedere forme di controllo più severe, come appunto la sospensione delle negoziazioni.

La Commissione deve prendere coraggio e con responsabilità fare un intervento duro di sospensione delle negoziazioni, obbligando a continuare le consegne fisiche. Poi si indaghi, a difesa anche, degli stessi mercati, da riaprire con calma fra qualche settimana.


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