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Riporto una serie di informazioni tecniche e giuridiche su ciò che il Legislatore ha voluto fossero le cosiddette Zone Economiche Speciali (ZES).

Le Zone Economiche Speciali sono state introdotte nell’ordinamento giuridico italiano dal decreto legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno (meglio conosciuto, semplicemente, come “Decreto Mezzogiorno”).

  • Devono consistere in una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato. Possono però fare parte di una stessa ZES anche territori non adiacenti, se presentano comunque un “nesso economico funzionale”. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2018, n.12 chiarirà poi che “La ZES è di norma composta da territori quali porti, aree retroportuali, anche di carattere produttivo e aeroportuale, come definiti dalle norme vigenti, piattaforme logistiche e Interporti, non può comprendere zone residenziali”.
  • Devono comprendere un’Area portuale inserita nelle reti di trasporto trans-europeo, così come definite dal regolamento (UE) n.1315/2013. Sotto questa definizione ricadono, nel Mezzogiorno, le aree portuali di: Napoli, Gioia Tauro, Bari, Taranto, Palermo, Augusta e Cagliari.

I benefici individuati ricadono sotto tre categorie:

  1. Procedure semplificate e regimi procedimentali speciali, volti a semplificare e accelerare l’insediamento, la realizzazione e lo svolgimento dell’attività economica nelle ZES.
  2. L’accesso alle infrastrutture esistenti e a quelle previste nel Piano di sviluppo strategico della ZES stessa.
  3. Un credito d’imposta fino a 100 milioni di euro, per ciascun progetto di investimento (entro i limiti stabiliti dalla normativa europea in materia di aiuti di Stato).

In un documento prodotto dalla Price Water House sulla importanza delle ZES, il Presidente degli Industriali di Napoli Vito Grassi ribadisce tra l’altro:
“Per capire la portata che potrà avere da questo punto di vista l’istituzione delle ZES è sufficiente guardare alle esperienze analoghe sviluppate negli ultimi anni in altri Paesi del bacino del Mediterraneo. Il porto di Tangeri, in Marocco, ad esempio ha visto la creazione di 60mila nuovi posti di lavoro ed un incremento delle esportazioni per oltre 2,6 miliardi di euro. In Europa, la zona franca di Barcellona ospita ormai stabilmente oltre cento imprese e conta 6mila occupati. Per gli scali del Mezzogiorno coinvolti nel progetto ci auguriamo benefici e dinamiche occupazionali almeno dello stesso livello. Ritengo importante quindi che le ZES, nella loro fase attuativa, non vadano a configurarsi come delle oasi, vale a dire come aree attrattive e dinamiche, ma in fin dei conti chiuse, slegate dai loro territori di riferimento, estranee alle vocazioni produttive proprie del Mezzogiorno.

Ebbene, tutti questi apprezzamenti non trovano un adeguato riscontro in alcuni elementi che, a mio avviso, denunciano una mancata incisività di tale provvedimento.

Abbiamo appreso pochi giorni fa che quanto prima disporremo di un provvedimento a firma del Ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile Enrico Giovannini che assegna 630 milioni di euro per le Zone Economiche Speciali del Sud. La ripartizione riguarda 33 interventi tra completamenti e adeguamenti di infrastrutture di collegamento alle Zone. Si apprende, tra l’altro, che dei 630 milioni 600 sono coperti con le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione che il Governo ha agganciato alle risorse europee nell’ambito del PNRR.

Intanto vediamo come sono allocate le risorse: 300 milioni alle Regioni come soggetti attuatori, a Rete Ferrovia Italiana 95,7 milioni di euro, all’ANAS 17 milioni, alle Autorità di sistema portuale 216 milioni di euro. Se effettuiamo una analisi più capillare scopriamo quale sia quello che definisco “l’approccio clientelare di nuova generazione” (vedi tabella).

Le critiche e le preoccupazioni su una simile proposta sono da ricercarsi, a mio avviso, nei seguenti punti:

  1. Le Zone Economiche Speciali sono state introdotte nell’ordinamento giuridico italiano dal decreto legge 20 giugno 2017, n. 91, cioè più di quattro anni fa, finora non è partito nulla; addirittura sono stati identificati 8 commissari ma nominati formalmente solo due
  2. Già in un mio precedente documento avevo ricordato che solo in Sicilia ci sono le seguenti ZES: ZES Sicilia occidentale con i comuni di Caltavuturo, Palma di Montechiaro, Misilmeri, Salemi, Campofelice di Roccella, Custonaci, Ravanusa, Calatafimi, Cinisi, Gibellina e Serradifalco; ZES Sicilia orientale con i comuni di Avola, Militello in Val di Catania, Carlentini, Vittoria, Francofonte, Solarino, Scordia, Floridia, Vizzini, Acireale, Rosolini, Pachino, Troina, Lentini, Palazzolo Acreide, Ragusa, Niscemi, Gela, Mineo e Messina; altre aree individuate sono tre portuali (Porto Empedocle. Porto dell’Arenella di Palermo, Porto di Augusta) e due aree industriali (ASI di Caltagirone e la zona di San Cataldo Scalo insieme alla zona industriale di Calderaro nel Comune di Caltanissetta). Cioè nella sola Sicilia ci sono 36 aree elette a ZES, in tutta la UE le aree elette a ZES sono 91. Questo dato dimostra la deformazione del concetto ispiratore delle stesse ZES e rende davvero priva di organicità e di immediata incisività l’azione stessa dello strumento.
  3. Come detto prima questo elenco di proposte, questa sequenza di assegnazione di risorse denuncia chiaramente una vera esplosione di ciò che, specialmente nel Mezzogiorno, si caratterizza come “clientela programmatoria” o in modo più chiaro come “la gratuita soddisfazione dell’organo politico nella elencazione delle risorse ottenute”; sì anche di quelle ridicole come per l’Area industriale di Taranto (solo 8,1 milioni di euro), Area industriale di Potenza (solo 20 milioni di euro), Area industriale di Matera (solo 30 milioni di euro).
  4. La dimensione delle risorse assegnate completamente estranea alla logica di ciò che viene definita Zona Economica Speciale ma molto più simile alla elencazione delle opere inserite nei Programmi Operativi Regionali (POR) dei Fondi di Sviluppo e Coesione; sì molto simile a quelle opere incluse in elenchi ricchi di tipologie come le “illuminazioni di facciate di chiese; la sistemazione di piazze; la riqualificazione di giardinetti; ecc.
  5. Sarebbe opportuno chiarire cosa significhi che dei 630 milioni 600 sono coperti con le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione che il Governo ha agganciato alle risorse europee nell’ambito del PNRR. Questo riteniamo sia davvero una scelta preoccupante in quanto coerente ad una logica senza ritorno di investimento
  6. Le finalità delle ZES sono mirate essenzialmente al rilancio produttivo di determinati ambiti e quindi le proposte devono, quanto meno, rispondere a due distinte finalità:
    • opere organiche, ripeto, con misurabili ritorni di investimento
    • coperture finanziarie complete e non avvio di lotti parziali
    quindi la finalità produttiva e la dimensione organica della proposta dovrebbero essere forse di competenza del Ministero dello Sviluppo Economico
    Utilizzando un passaggio del Presidente degli industriali di Napoli mi chiedo cosa c’entrano la serie di interventi prima riportati all’interno dei 630 milioni di euro con le esperienze europee, sempre in termini di ZES, del “porto di Tangeri, in Marocco, che ha visto la creazione di 60mila nuovi posti di lavoro ed un incremento delle esportazioni per oltre 2,6 miliardi di euro, della zona franca di Barcellona che ospita ormai stabilmente oltre cento imprese e conta 6mila occupati”.

In realtà i 630 milioni di euro andavano assegnati, subito, solo a titolo di esempio, a tre sole realtà: il porto di Cagliari, quello di Salerno e quello di Augusta. Una simile scelta è presa non per dare corso ad interventi rilevanti destinati solo a grandi imprese ma per realizzare e concentrare interventi in “zone economiche davvero speciali” e non in aree coerenti solo a logiche clientelari.

Ogni approccio diverso soddisferà solo, nel migliore dei casi, coloro che per anni hanno propagandato il nulla utilizzando anche nominalismi allettanti come le “Zone Economiche Speciali”.


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