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Se utilizzate potrebbero aiutare l’occupazione e l’economia del Mezzogiorno. In Italia, infatti, ci sono oltre 2.700 aziende confiscate, 7 su 10 si trovano al Sud, che attendono di essere restituite alla società civile. Se questo avvenisse, la loro attività produttiva potrebbe cresce di quasi il 300%, l’occupazione del 5-10%, e ulteriori benefici a livello territoriale e lungo la filiera produttiva si otterrebbero dalla riattivazione del circuito economico di forniture. 

A mostrarlo è una stima di Unioncamere, in collaborazione con il Centro studi Tagliacarne, sulla base dei dati presenti sul portale Open Data aziende confiscate (https://aziendeconfiscate.camcom.gov.it). Il portale è uno strumento completo e dettagliato su queste realtà sottratte alla criminalità, fortemente concentrate nelle regioni meridionali (quasi il 70%), nelle costruzioni e nel commercio (circa la metà) ma che operano anche settori di interesse pubblico, come la Sanità (16 aziende) e la fornitura di energia e acqua (63).

Per restituire alla società civile queste imprese liberate dal giogo delle mafie, rilanciandone l’attività, occorre il lavoro di più soggetti, pubblici e privati, ed è indispensabile partire dalla conoscenza di questo patrimonio oggi chiaramente sottostimato. A questo è diretto il progetto “Open Knowledge” – Animazione e formazione per creare valore sociale, economico e civico per il territorio attraverso la conoscenza e l’utilizzo degli open data sulle aziende confiscate, ammesso a finanziamento nel quadro del Pon Legalità 2014-2020. 

L’iniziativa verrà realizzata da Unioncamere, dalle agenzie del sistema camerale (Centro studi Tagliacarne e Sicamera) e da 22 Camere di commercio di Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia.

“Grazie al collegamento tra le banche dati dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati ed il Registro delle imprese delle Camere di commercio, siamo in grado di avere una mappatura dettagliata delle imprese sottratte alla criminalità e delle loro caratteristiche”, sottolinea il presidente di Unioncamere, Andrea Prete. “Le tecnologie, la condivisione delle informazioni e la collaborazione tra istituzioni e società civile possono contribuire a restituire alla società e al mercato queste attività, favorendo trasparenza, partecipazione e controllo sociale”.

Il progetto si inserisce nel percorso di miglioramento delle competenze della Pubblica Amministrazione nel contrasto alla criminalità organizzata, mediante l’utilizzo delle tecnologie digitali e l’informazione open da esse veicolate. Informazione necessaria per la formulazione di schemi interpretativi sui fenomeni illegali e schemi predittivi sui fattori che consentono un efficace reinserimento e valorizzazione delle aziende confiscate nell’economia legale.

Mediante attività di sensibilizzazione e approfondimento, il progetto OK – Open Knowledge risponde all’esigenza di maggiore e più capillare conoscenza delle informazioni e dei dati disponibili su quella importante variabile fenomenologica attraverso la quale leggere il livello di infiltrazione mafiosa nell’economia rappresentata dalle aziende confiscate. Dati che ora, grazie all’interconnessione tra le banche dati dell’Agenzia Nazionale dei Beni Sequestrati e Confiscati e quelli delle Camere di commercio consentono di aprire una visuale anche sulle caratteristiche delle aziende.

Il progetto intende inoltre rendere ‘utili’ e ‘utilizzabili’ i dati una volta che essi sono stati fatti conoscere. Per raggiungere questo scopo saranno sviluppate azioni di animazione e formazione volte non solo all’illustrazione tecnica delle modalità di utilizzo dei dati e di navigazione del Portale “Open Data aziende confiscate”, ma anche finalizzati ad individuare e ad approfondire strumenti interpretativi di vario livello che consentano di comprendere appieno e utilizzare i dati per le attività di controllo, monitoraggio o valorizzazione delle aziende confiscate.

LE AZIENDE CONFISCATE

Il 47% delle aziende, secondo i dati forniti dall’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, sono attive. Un’impresa su due non ha chiuso e continua a lavorare, gestita dall’Agenzia o destinata ad altri operatori.

A novembre si contano 2.757 imprese in confisca definitiva. Le costruzioni sono il settore più rappresentato tra le aziende confiscate (22,9%), seguite dal commercio (23,4%) e dagli esercizi ricettivi e ristorazione al 9,3%; le attività immobiliari si attestano al 7,5%, le manifatturiere al 6,7%, il trasporto e magazzinaggio al 5,3% e l’agricoltura al 4,5%. Questi settori raccolgono l’80% delle imprese confiscate. Tutti i settori sono comunque rappresentati inclusi non pochi casi di aziende operanti in settori strategici di interesse pubblico, ovvero nel campo della sanità e assistenza sociale (0,6%) e delle infrastrutture (distribuzione di acqua e reti fognarie, rifiuti: 1,1%; produzione e distribuzione di energia elettrica: 1,2%).

A livello territoriale, quasi il 70% delle aziende confiscate è localizzato nelle cinque regioni del Mezzogiorno interessate dal progetto “Open Knowledge”. In Sicilia si ravvisa la presenza di quasi un terzo delle aziende confiscate (30,6%), mentre la Campania ne raccoglie il 18,8%, la Calabria il 12%, la Puglia il 6,2%. La forma giuridica maggiormente utilizzata dalle imprese confiscate è quella di società di capitale (63%),  mentre le imprese individuali sono il 22% e le società di persone il 15,1%.  Quello delle confische è comunque una faccenda che riguarda anche il Nord. Le mafie colpiscono anche le regioni settentrionali, dove si può parlare di infiltrazioni che ormai sono diventate vere e proprie radici. Basti pensare che nella sola Lombardia sono state confiscate quasi duecento aziende.


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