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Acqua per l’agricoltura, ma non solo e soprattutto per l’arido Mezzogiorno. La necessità di un radicale cambio di passo nella gestione della preziosa e (scarsa) risorsa è balzata in primo piano al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione della Coldiretti che ha chiuso ieri i battenti. E dal ministro del Sud, Mara Carfagna, sono arrivati impegni precisi. Il quadro delineato d’altra parte è da allarme rosso.
E si tratta di un’altra questione meridionale perché, secondo i numeri forniti dalla ministra, in Sardegna e Sicilia la dispersione idrica è superiore del 50% rispetto al resto del Paese e arriva al 40% nelle altre regioni meridionali. Ma senza acqua non c’è sviluppo e per il Sud, in particolare, si tratta di un elemento strategico che provoca uno svantaggio competitivo. Rappresenta infatti un deficit intollerabile non solo per le più penalizzate regioni meridionali, ma per il sistema Paese nel suo complesso.
Per l’agricoltura, poi, che ha necessità dell’acqua per vivere, la questione è particolarmente delicata. Di questa “grande emergenza nazionale” il Paese deve farsi carico, ha detto Carfagna. Abbiamo una rete che per il 60% ha più di 30 anni che in alcuni casi arriva a 50 anni e in molte aree mancano i depuratori. Ma nel Sud queste criticità si amplificano per effetto dei mancati investimenti e la conferma sono le procedure di infrazione della Commissione europea che per l’85% sono rivolte al Mezzogiorno. In quaranta comuni oltre 400mila cittadini non dispongono di reti fognarie, e ancora una volta si tratta di una condizione di particolare disagio per il Sud.
Nel Mezzogiorno si registrano 214 ore di interruzione nell’erogazione di acqua, nel Nord? Mezz’ora. In discussione è dunque un diritto universale oltre che una necessità per garantire efficienza economica. Non si può chiedere a un’area fondamentale del Paese di competere ad armi pari su settori chiave come l’agricoltura, il turismo e l’industria se manca un pilastro, una risorsa strategica come l’acqua.
Da qui l’impegno a ulteriori sforzi. Carfagna ha infatti annunciato l’istituzione di un Contratto di sviluppo dedicato all’acqua a valere dal Fondo di sviluppo e coesione per attrarre ulteriori risorse da Bruxelles. Via anche a un tavolo allargato agli altri ministeri e a tutte le rappresentanze sociali e industriali oltre che ai Consorzi di bonifica per disegnare una strategia all’altezza delle nuove sfide e con progetti ai quali si possano applicare le semplificazioni del Pnrr. Il Piano di Draghi già prevede 400 milioni per ridurre le perdite e 4 miliardi per interventi sul sistema idrico integrato di cui 2 miliardi per il Sud.
Occorre dunque agire – ha detto – per migliorare l’efficienza delle reti e sostenere uno sforzo tecnico per sistemi appropriati. In questa visione la ministra ha accolto il progetto immediatamente cantierabile della Coldiretti per la realizzazione di bacini di accumulo in grado di conservare l’acqua piovana che in Italia viene mantenuta solo per il 10% a fronte del 50% degli altri Paesi. Intervenire sulle infrastrutture idriche è fondamentale anche per affrontare l’emergenza del dissesto idrogeologico, in un Paese dove, secondo la denuncia del direttore generale dell’Anbi, (associazione nazionale dei Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue), Massimo Gargano ,9 milioni di italiani vivono in aree a rischio di alluvioni.
Con costi sociali “elevatissimi”, mentre l’89% dell’acqua non è raccolta e si registra l’83% delle frane della Ue. Negli ultimi anni sono stati spesi 175 miliardi ma la situazione, secondo l’Anbi, non è sostanzialmente cambiata.
Per affrontare i disastri dei cambiamenti climatici che in questi giorni hanno ancora una volta sfregiato i territori con perdite di vite umane e danni ingenti ai settori produttivi, in particolare agricoli, il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, ha proposto interventi strutturali per raccogliere l’acqua in eccesso e distribuirla dove e quando ce n’è più bisogno. Coldiretti ha lanciato un piano di sviluppo infrastrutturale che oltre all’acqua coinvolga la logistica, dai porti alle ferrovie, fino all’energia.
Tutto finalizzato a rendere competitive le imprese e metterle in condizioni di affrontare le nuove sfide dello sviluppo sostenibile e della conquista di ulteriori spazi sui mercati mondiali, forti del successo dell’export agroalimentare che svetta nel 2021 verso i 52 miliardi e che, secondo quando ha detto il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, potrebbe anche sperare nei prossimi anni nell’obiettivo 100 miliardi.
Ma la priorità, ha detto Prandini, è di riconoscere il giusto prezzo ai produttori agricoli. E ha denunciato il caso delle arance, vanto del Sud, vendute a 0,99 centesimi al supermercato. Così si specula sul lavoro dei produttori e anche questo è ” caporalato” esercitato nei confronti delle imprese agricole.
Così come remano contro le eccellenze italiane le etichette fuorvianti come il Nutriscore o l’anonimato dei nostri prodotti. Intanto il ministro delle Politiche agricole ha annunciato che il decreto che proroga l’indicazione in etichetta dell’origine della materia prima su prodotti delle principali filiere, dalla pasta alla passata di pomodoro fino a latte e formaggi, è stato firmato. Si tratta di una conquista importante per l’agroalimentare italiano voluta fortemente dalla Coldiretti. Che si sta muovendo anche in sede europea per creare un fronte di contrasto al Nutriscore, un’ altra spada di Damocle sul made in Italy in particolare meridionale come l’olio extravergine.
E infine l’ultima sfida a cui ora è chiamata l’Italia e cioè recepire la nuova Politica agricola europea varata da Bruxelles. I soldi – ha spiegato l’europarlamentare Paolo De Castro in prima linea su tutti i fronti caldi di Bruxelles – ci sono, poiché è stato mantenuto il budget della precedente programmazione, così come è importante la virata sociale della nuova politica agricola ma ora serve il piano nazionale.
La palla dunque oggi è tutta nelle mani del ministero agricolo e delle Regioni. E anche questa è una partita che, con oltre 50 miliardi in ballo nei prossimi sette anni, il nostro Paese non si può permettere di di non giocare bene. Tra risorse europee e Pnrr anche l’agricoltura potrebbe cambiare volto e contribuire allo sviluppo economico e occupazionale in particolar modo del Mezzogiorno dove ha una incidenza maggiore che nel resto del Paese e meno alternative.
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