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Adriano Giannola, presidente di Svimez

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IL NUOVO fondo per la perequazione infrastrutturale sbloccato dal dl Infrastrutture, varato ai primi di settembre, potrebbe finire per privilegiare le regioni settentrionali, “tradendo” la missione originaria che la legge Calderoli del 2009 (L. 42) sul federalismo fiscale gli aveva assegnato, ovvero ridurre il divario tra il Nord e Sud. Potrebbe, poi, agevolare il riavvio del “percorso” delle intese sull’autonomia tra Stato e Regioni del Nord”. È poco chiaro, inoltre, il suo coordinamento con il Piano nazionale di ripresa e resilienza e il Fondo complementare.

Sono essenzialmente questi i “pericoli” che il presidente di Svimez, Adriano Giannola, ha segnalato soffermandosi sull’articolo 15 – Disposizioni urgenti in materia di perequazione infrastrutturale – durante la sua audizione alla Camera sul provvedimento normativo di fronte alle Commissioni riunite VIII Ambiente e IX Trasporti.

I RISCHI

La norma contenuta nel recente decreto legge sblocca il fondo da 4,6 miliardi – per gli anni 2022-2033 – istituto con l’ultima legge di bilancio, a oltre 12 anni dall’approvazione della legge 42 che introduceva la questione. «L’istituzione del fondo senza vincolo di destinazione attende ancora di essere attivato, motivo per cui prevale tuttora il criterio della spesa storica nella ripartizione delle risorse erariali», ha detto Giannola, sottolineando che «nell’intervento per la perequazione infrastrutturale scompare ogni esplicita connotazione territoriale».

Secondo il presidente di Svimez, l’intervento rischia di rimanere «eterogeneo» rispetto alla strategia costruita con il Pnrr e il Fondo complementare. Ma soprattutto risulta «davvero poco in linea con lo spirito originario della legge 42».

Sulla perequazione infrastrutturale, l’articolo 22 della legge Calderoli, ha argomentato Giannola, «seguiva un metodo quanto mai opportuno per sanare gli squilibri tra territori in termini di dotazioni infrastrutturali e accesso ai servizi: partire dalla rilevazione dei deficit, definire i fabbisogni per poi individuare le priorità degli interventi nei diversi territori e distribuire di conseguenza le risorse per finanziare le opere».

Metodo, ora «solo formalmente confermato» prevedendo un’attività di ricognizione da parte del ministero delle Infrastrutture per quelle di competenza statale – quindi, sanitarie, assistenziali, scolastiche, stradali e autostradali, ferroviarie, portuali, aeroportuali e idriche – mentre per altre infrastrutture verrà effettuata dagli enti territoriali e dagli soggetti pubblici e privati competenti».

«Nella sostanza – ha puntualizzato – a “mordere” è un tetto di spesa fissato ex ante che limita fortemente l’azione di perequazione territoriale che si vorrebbe favorire».

GESTIONE COORDINATA

Il presidente di Svimez ha ricordato che la perequazione era stata inserita dall’allora ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, nel percorso attuativo dell’autonomia differenziata e aveva trovato poi posto in legge di bilancio in seguito a un preciso accordo in Conferenza Stato-Regioni in cui si faceva esplicito riferimento al collegamento al regionalismo differenziato: «Occorre evitare il rischio – ha avvertito  Giannola – che la previsione del fondo per la perequazione infrastrutturale, per le regioni del Sud ma non solo, agevoli la ripresa del percorso delle intese sull’autonomia tra Stato e alcune regioni del Nord, il tutto prima della imprescindibile definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep)».

Il presidente di Svimez ha sottolineato la necessità di un gestione coordinata  del complesso di risorse disponibili  – quelle ordinarie come i 4,6 miliardi del fondo, e quelle straordinarie del Pnrr – in tempo di perequazione.

«Una strategia che affronti con gradualismo ma esplicitamente il tema della liquidazione» e che al momento «non pare all’ordine del giorno» pur rappresentando «un serio ostacolo alla prospettiva della auspicata “Rinascita”».


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