Boris Johnson
3 minuti per la letturaChi si occupa di energia e di riforme ha imparato che sempre l’UK è avanti nel definire le strutture dei mercati energetici. Possiamo, addirittura, osare fin dai tempi della macchina a vapore di Watt e di Stevenson alla fine del ‘700, per passare alle prime sperimentazioni dell’elettricità un secolo dopo, poi con la dirompente affermazione dell’industria del petrolio dopo la seconda guerra, seguita dalla lacerante esperienza della fine del carbone con la Thatcher e, negli ultimi 30 anni, con la riforma dell’industria elettrica e del gas.
Più di recente, con lo spericolato Boris Johnson, il paese è diventato leader della transizione energetica, o, meglio, è diventato leader del tentativo di fare la transizione energetica e i primi risultati, sconfortanti, si vedono in questi giorni. Il prezzo dell’elettricità sul mercato spot si colloca sui 450 euro per megawattora, più del doppio del pur alto, il secondo in Europa, prezzo dell’Italia, valori 5 volte superiori rispetto a quelli di un mese fa e superiori di 8 volte rispetto ai minimi toccati nella primavera del 2020 in piena pandemia.
Paradossalmente, il governo, come tutti i politici d’Europa, non si interessano molto alla questione, mentre l’attenzione è concentrata sul tasso di inflazione che ieri ha fatto segnare il più forte balzo della storia dell’indice dal 2% al 3% ad agosto, sollevando qualche preoccupazione sulla crescita.
I prezzi dell’energia peseranno nelle prossime rilevazioni di settembre e, soprattutto, di ottobre, quando gli aumenti del mercato all’ingrosso verranno scaricati sulle bollette dei consumatori che poi finiscono nel paniere. Se durano questi livelli di prezzo in borsa, il tasso di inflazione salterà verso il 5%.
La causa della crisi è evidente e chiara, un po’ come accade in Italia, con scarsità dal gas, in particolare dalla Norvegia, il paese che vuole abbandonare i fossili, anche il gas, a parole, a cui si aggiunge la mancanza di arrivi di gas naturale liquefatto, tutto dirottato in Asia, mentre le scorte, alla vigilia dell’inverno, sono a livelli molto bassi. Ma l’elemento drammatico delle ultime settimane è stato l’assenza di vento del Mare del Nord, dove sono installati gli enormi parchi eolici che, in base agli annunci di un anno fa di Johnson, dovrebbero in futuro coprire l’intera domanda di energia dell’UK, anche quella degli aerei. Impossibile, fuori dalla realtà.
Già ora la capacità a vento conta per il 17% della potenza elettrica e la sua assenza ha fatto precipitare la crisi in corso per i problemi legati al gas. Impressionante vedere che l’organo ufficiale della City, il Financial Times, si disinteressa della questione e continua a pubblicare articoli sui pericoli del cambiamento climatico, sul lavaggio verde (in inglese green washing) e sul fatto che la crisi gas è causata dalla speculazione.
Insomma, la testata, una volta simbolo della finanza conservatrici londinese, è diventato molto ambientalista e fa fatica a credere a quello che sta accadendo sui mercati. Le bollette fra qualche giorno dovranno cominciare a salire e allora la rabbia dei consumatori si farà sentire, scontrandosi con le preoccupazioni di lungo termine del cambiamento climatico. Da sempre l’UK anticipa quello che accade poi nel resto d’Europa, una buona lezione anche per l’Italia.
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