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la Banca centrale europea

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L’INFLAZIONE aumenta? E di questo aumento ci dobbiamo preoccupare? Sono due domande, e cominciamo dalla prima, L’inflazione aumenta? Sì e no. Le pressioni sui prezzi sono vive, vegete ed evidenti a livello di prezzi alla produzione (vedi il grafico accanto). Ma, per quanto riguarda i prezzi al consumo, il giudizio è più complesso.

I DATI DI FONDO

Certo, in Germania la psiche teutonica è con ogni probabilità tristemente afflitta da una dinamica dei prezzi che sfiora il 4%, ma ci sono delle attenuanti: il confronto con il livello di 12 mesi fa deve tener conto di un aumento dell’Iva (o, per meglio dire, il venir meno di una sua riduzione adottata l’anno scorso come supporto all’economia colpita dal virus). Ma, anche scontando questo effetto, è certo che i prezzi tedeschi stanno salendo più di quanto previsto. Lo stesso andamento si nota con l’indice americano che, sempre nel confronto sull’anno, va oltre il 5% (prima della crisi eravamo sotto al 2% negli Stati Uniti, in Germania, in Italia e nella media dell’Eurozona).

Ma, se guardiamo all’inflazione “di fondo”, cioè al netto delle due componenti più volatili – l’energia e gli alimentari – dappertutto il tasso di aumento dei prezzi al consumo è più modesto rispetto all’indice complessivo. In Italia le cifre sono ancora più complicate: il dato Istat di ieri ci dice che l’inflazione è salita a luglio, dall’1,3 all’1,9%.

Ma, se guardiamo all’indice armonizzato (che ci permette di fare un confronto con l’inflazione negli altri Paesi dell’Eurozona) i prezzi invece hanno rallentato, dall’1,3 all’1%, anche se questo rallentamento è dovuto a una diversa scansione dei saldi estivi rispetto all’estate del 2020. In ogni caso, i prezzi al consumo, nella versione “di fondo”, registrano una dinamica più lenta, e inferiore all’1% nell’Eurozona e in Italia.

Riassumiamo la risposta alla prima domanda: sì, ci sono segni che l’inflazione stia rialzando la testa, specie a livello dei prezzi alla produzione (ma anche qui, con le rilevazioni ferme a luglio, bisogna segnalare che i dati giornalieri sui corsi delle materie prime registrano ad agosto l’inizio di una correzione).

IL LATO POSITIVO

Seconda domanda: ci dobbiamo preoccupare? Così come esiste (il copyright è di Mario Draghi) un debito buono e un debito cattivo, esiste anche un’inflazione buona e un’inflazione cattiva. L’inflazione è buona quando riflette un’economia in crescita, come sta succedendo adesso. Il premio Nobel dell’economia Paul Krugman descrisse un’efficace metafora per spiegare le pressioni inflazionistiche negli Stati Uniti: come, quando si riparte velocemente da un semaforo, succede talvolta che le ruote girino a vuoto stridendo sull’asfalto, così, in un’economia che riparte improvvisamente la domanda di materie prime schizza verso l’alto e non trova subito l’offerta corrispondente, facendo pressione sui prezzi.

Un po’ dappertutto, come si conviene a una crisi che ha colpito (e continua a colpire) più i servizi che i beni, sono i prezzi di questi ultimi che salgono più di quelli dei servizi. Ma, in ogni caso, si tratta di pressioni temporanee: le Banche centrali, da sempre arcigni guardiani dell’inflazione, sono molto rilassate di fronte a questi aumenti, e li vedono (giustamente) influenzati da fattori temporanei.

C’è di più in questo atteggiamento benevolo. Le Banche centrali hanno in pratica segnalato che andranno a tollerare tassi di inflazione più alti rispetto al passato (il famoso limite del 2%, di cui già si è parlato su queste colonne il 9 luglio) potrà essere superato. E questa tolleranza è fondata anche sul maggior peso che andranno a dare agli andamenti dell’occupazione: cioè a dire, le politiche di supporto all’economia (tassi bassi e acquisti di titoli) continueranno sino a quando il mercato del lavoro non migliorerà sensibilmente, e la disoccupazione in eccesso creata dalla crisi non sarà riassorbita.

Questa maggiore attenzione all’occupazione fa ufficialmente parte del mandato della Federal Reserve, ma anche la Banca centrale europea, di fatto se non per esplicito statuto, se ne farà carico.

EFFETTI COLLATERALI

Ci sono altri due aspetti dell’inflazione di cui tener conto. Primo: prezzi più alti erodono il potere d’acquisto. Ma la crescita – si auspica – innalzerà i redditi di lavoro, sia attraverso un maggior numero di occupati (che già registriamo sia in Italia che in America, in Germania…) che attraverso maggiori salari.

Secondo: in un mondo molto indebitato, un po’ d’inflazione in più è benvenuta perché alleggerisce il peso reale del debito, e, forzando verso il basso i tassi reali, ne rende meno gravoso il servizio.


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