Il porto di Gioia Tauro
4 minuti per la lettura“Uguaglianza dei punti di partenza”: è un principio cardine di una democrazia liberale, che concilia destra e sinistra, critici dell’assistenzialismo e fautori dell’assistenza.
Di solito questa eguaglianza dei punti di partenza viene declinata in relazione alla scuola (articolo 34 della Costituzione: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”). Ma, in un Paese con forti dualismi territoriali come il nostro, c’è un’altra dimensione dell’uguaglianza dei punti di partenza che merita sottolineare: in aggiunta al capitale umano (la scuola), c’è il capitale pubblico (le infrastrutture).
La dotazione di capitale pubblico nei diversi territori deve essere tale da fornire alle regioni italiane, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, l’eguaglianza dei punti di partenza. Altrimenti, nella gara per lo sviluppo le regioni più svantaggiate corrono con una palla al piede.
Le infrastrutture, in un Paese che vuole crescere, sono come l’olio nel motore: la dotazione di strade, ferrovie, porti, aeroporti, reti di telecomunicazioni… facilitano la mobilità fisica e il trasporto delle informazioni (le imprese sono ‘informazione organizzata a scopi produttivi’). Il solito proverbio cinese dice: “Se volete creare ricchezza, costruite una strada”, e i proverbi sono la saggezza dei popoli (non solo cinesi).
Questo giornale, dal primo giorno della sua esistenza, è andato documentando lo svantaggio del Mezzogiorno nella dotazione infrastrutturale rispetto al resto del Paese, estraendo da varie fonti pubbliche e private i dati che confermano questa minorità. Queste conclusioni sono ribadite e approfondite da un saggio, bello e innovativo, pubblicato nella collana «Questioni di Economia e Finanza» della Banca d’Italia: «I divari infrastrutturali in Italia: una misurazione caso per caso», di Mauro Bucci, Elena Gennari, Giorgio Ivaldi, Giovanna Messina e Luca Moller.
L’innovazione sta nei modi in cui le dotazioni sono state definite geograficamente, e nei modi in cui sono state calcolate. Si è scesi ai livelli territoriali più piccoli, i Sistemi Locali del Lavoro (SLL, una partizione territoriale ottenuta a partire dai flussi di pendolarismo), che in Italia sono più di seicento. E, per ogni tipo di infrastrutture, si è scelto un metodo ad hoc per arricchire il ‘quantum infrastrutturale’, affiancando agli indicatori di spesa e a quelli fisici, anche indicatori qualitativi: per esempio, non bastano i chilometri di strade, bisogna anche guardare ai tempi di percorrenza; e il numero di ospedali deve essere affiancato anche dalla qualità degli stessi e dalla soddisfazione dei pazienti/utenti…
Partiamo dall’inizio. Negli ultimi vent’anni e passa, quale che fosse il colore dei governi – di centro sinistra, di sinistra-centro, di centro-destra, di destra-centro, gialloverdi o rossogialli… – si sono fatti più trasferimenti che investimenti. Perché? Ecco la risposta: date le strettoie delle regole europee, era più facile tagliare gli investimenti. È vera questa risposta? Sì, è vera, ma è inaccettabile. Nell’ultimo decennio (2009-2019) l’accumulazione di capitale pubblico (investimenti fissi e trasferimenti in conto capitale) ha subito una contrazione superiore al 30%, dal 4,6 al 2,9% del Pil. E in questo periodo, come mostra il grafico tratto dallo studio della Banca d’Italia, sia al Nord che al Sud si è visto ridursi l’accumulazione di capitale pubblico. Certo, non solo in Italia l’andamento è stato decrescente; ma “la riduzione osservata in Italia è più pronunciata rispetto agli altri Paesi europei: il dettaglio dei dati disponibili consente un confronto limitato alla sola spesa per investimenti, da cui emerge una riduzione media di oltre il 3 per cento l’anno nel nostro Paese a fronte dello 0,3 nella media dei Paesi dell’area dell’euro”.
La legge 49/2009, di attuazione del federalismo fiscale, aveva previsto una ricognizione dei divari territoriali per – così recitava – “le strutture sanitarie, quelle assistenziali e scolastiche, la rete stradale, autostradale e ferroviaria, quella fognaria, idrica, elettrica, di trasporto e distribuzione del gas, nonché le strutture portuali e aeroportuali”. Questa ricognizione, nell’ottica einaudiana del ‘conoscere per deliberare’ (un’ottica che in Italia spesso viene ignorata), doveva servire ad affinare le modalità di finanziamento dei governi decentrati e orientare interventi speciali di riequilibrio socioeconomico da parte dello Stato (Articolo 119 della Costituzione), ma non è stata mai realizzata (nonostante un ulteriore provvedimento sulle modalità di determinazione di tali fabbisogni).
La ricognizione dei divari infrastrutturali fatta dalla Banca d’Italia si può considerare una supplenza che rimedia all’assenza dei Governi che si sono succeduti dal 2009 ad oggi. Lo studio conferma la situazione ripetutamente denunciata da questo giornale. Tenendo conto sia degli investimenti diretti che dei contributi in conto capitale, alle regioni meridionali e insulari avrebbe dovuto essere destinata una quota di spesa almeno pari al 45 per cento. Le elaborazioni dei Conti pubblici territoriali (CPT), citate dalla Banca d’Italia, “mostrano tuttavia che nell’arco dell’ultimo decennio l’incidenza delle regioni meridionali e insulari sul complesso delle risorse destinate all’accumulazione di capitale pubblico … è oscillata intorno al 30 per cento (con un picco nel 2015 in corrispondenza della chiusura del ciclo di programmazione dei fondi comunitari (a fronte di una popolazione residente pari in media al 34,4 per cento di quella nazionale)”.
Il PNRR rappresenta – lo si è già detto – l’ultima spiaggia per affrontare con ottime probabilità di successo, non tanto la rimozione (sarebbe troppo sperarci, nel breve periodo) ma almeno un deciso restringimento di questi divari. Una più precisa disamina del dualismo infrastrutturale in Italia è rimandata ai prossimi giorni, pescando nelle numerose elaborazioni di questo meritorio contributo della Banca d’Italia: un ex-Governatore, Luigi Einaudi, chiamava le sue analisi “prediche inutili” – ma questa è una ‘predica utile’.
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