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Questo giornale non oggi ma da almeno tre anni sta denunciando sistematicamente una crisi che rischia di diventare sempre più irreversibile, mi riferisco alla grave eredità che l’attuale Governo Draghi trova sia a valle di Governi centrali che da sei anni avevano sottovalutato e non garantito nessun processo di crescita in particolare nelle Regioni Puglia e Basilicata non risolvendo, in nessun modo, la grave emergenza Taranto e ritardando la realizzazione sia del completamento del collegamento della pipeline tra Penta Rossa e Taranto e della Trans Adriatic Pipeline (TAP), sia a valle di decisioni locali completamente imprevedibili e indifendibili quali la definizione delle Zone Economiche Speciali (ZES) nelle tre Regioni Puglia, Basilicata e Molise.
In merito al centro siderurgico di Taranto rimaniamo davvero sconcertati difronte al perdurare di una stasi decisionale che ci preoccupa perché ci avviciniamo, sempre più, verso ciò che abbiamo più volte definito “la più grande bomba sociale” che il Paese rischia di vivere dal dopo guerra ad oggi. Ormai Arcelor Mittal, giorno dopo giorno, sta chiudendo impianti del centro siderurgico; da diverso tempo si doveva concludere il confronto tra la Società ed il Ministro dello Sviluppo Economico, da tempo la Società doveva fornire un nuovo Piano Economico e Finanziario e da tempo si doveva fornire chiarezza sul reale numero di esuberi. Molti sono convinti, e tra questi ci sono anche io, che Arcelor Mittal fra qualche mese pagherà una penalty e andrà via.
Spesso dimentichiamo che con la uscita di Arcelor Mittal abbiamo compromesso una certezza occupazionale di medio periodo per circa 25.000 unità lavorative (tra dirette ed indirette), abbiamo creato cioè un danno alla economia dell’intero ambito ionico-salentino di circa 12-14 miliardi di euro. Un danno questo che si ripercuote nell’intero Mezzogiorno e, in modo epidemico genera un fenomeno migratorio degli investimenti nel comparto industriale verso altre aree del Paese.
In merito, invece, alla istituzione delle ZES ritengo utile ricordare cosa recitavano due distinti Decreti del Presidente del Consiglio con cui venivano istituite la ZES Ionica Interregionale delle Regioni Puglia e Basilicata e la ZES Interregionale Puglia Molise (vedi schede). Nel testo della legge istitutiva delle ZES si precisa che le aree individuate godranno di importanti benefici fiscali e semplificazioni amministrative, capaci di attrarre anche investimenti dall’estero. I benefici economici sono previsti dal Decreto Legge Mezzogiorno n. 91/2017 e vedono notevoli incentivi fiscali più credito d’imposta per gli investimenti e un consistente regime di semplificazioni che saranno stabilite da appositi protocolli e convenzioni.
Tra i benefici concessi ci sono credito d’imposta per l’acquisto di beni fino a 50 milioni di € a condizione che le imprese mantengano le attività nella ZES per almeno cinque anni successivi al completamento dell’investimento oggetto delle agevolazioni, pena la revoca dei benefici concessi e goduti, inoltre, esse non devono essere in liquidazione o in fase di scioglimento. Ma prego il lettore di questa mia nota di leggere le date dei due Decreti del Presidente del Consiglio, perché sicuramente troverà strano che trattasi di provvedimenti presi due anni fa e, cosa ancor più grave, trattasi di provvedimenti attuativi di leggi del 2017, cioè di quattro anni fa.
Ebbene, in questi quattro anni abbiamo assistito solo alla corsa verso nomine di commissari, verso programmi organizzativi, verso articolazioni programmatiche da definire e da condividere ma di concreto nulla, ripeto nulla e spero di essere smentito. Se poi leggiamo i Comuni che godranno dei vantaggi generati dalle ZES scopriamo che nel caso della ZES Puglia-Basilicata i comuni globalmente sono 24 e nel caso della ZES Puglia-Molise sono 35. Cioè nelle tre Regioni Puglia, Basilicata e Molise ci sono ben 59 aree elette a ZES, in tutta la Unione Europea le aree elette a ZES sono solo 91. Già questo dato dimostra la completa deformazione del concetto ispiratore delle stesse ZES da parte delle tre Regioni del Mezzogiorno e, al tempo stesso, rende davvero priva di organicità e di immediata incisività l’azione stessa dello strumento.
Ricordo inoltre che il criterio generale, secondo le norme europee per la concessione di aiuti alle aree ZES, comprende le circostanze secondo le quali le agevolazioni da concedere in determinate Regioni possono essere riconosciute solo:
- per la creazione di un nuovo stabilimento o per l’ampliamento della capacità di uno stabilimento esistente;
- per la diversificazione della produzione di uno stabilimento esistente per ottenere prodotti mai fabbricati prima;
- per un cambiamento fondamentale del processo di produzione complessivo di uno stabilimento esistente.
Quindi questa iniziativa non la ritengo adeguata se contestualmente, come indicato dalla Ministra Carfagna e come ricordato in un articolo di un mese fa su questo giornale, non prende corpo una organica implementazione ed un misurabile sviluppo dei sistemi intermodali composti da porti-retroporti-interporti, insieme con gli aeroporti, le piattaforme logistiche e gli altri hub.
Secondo la Ministra la chiave del funzionamento delle Zone Economiche Speciali è legata a questa azione contestuale. Le ZES funzionano solo in presenza di una collaborazione tra il decisore politico, l’industria e le parti sociali e, al tempo stesso, lo sviluppo della logistica passa solo grazie ad investimenti pubblici e semplificazioni amministrative, come l’attuazione dello sportello unico doganale, o come lo sviluppo dei servizi avanzati a sostegno degli operatori economici.
Quindi due prime critiche ad una iniziativa che viene lanciata come vincente per il rilancio del Mezzogiorno e, già in partenza, non adeguatamente valida sia per il numero di aree, sia per la esigenza di una rete logistica efficace ed efficiente. In merito proprio alla logistica questa va supportata nella sua funzione di leva di competitività: le aziende italiane, soprattutto meridionali, decidono purtroppo di aggirare le disfunzioni della logistica, determinate dalle carenze infrastrutturali, delegando “chiavi in mano” l’intera catena di distribuzione al compratore straniero, con la modalità cosiddetta “ex works”. Il risultato: il nostro tessuto produttivo perde il controllo della supply chain, con esiti penalizzanti sulle politiche di prezzo.
Ebbene, mi spiace essere ancora una volta critico ma questa continua ricerca programmatica, questa continua modalità di “approfondire” tematiche note e finora affrontate solo in modo teorico, non è più condivisibile. Dobbiamo compiere un vero atto di umiltà: imitare le esperienze effettuate dagli altri Paesi della Unione Europea e cercare di imitare quelle ZES realizzate negli altri Mezzogiorni di Europa; se non lo facciamo cresce Amazon e Alibaba, cresce solo la Regione logistica richiamata all’inizio e, cosa grave per il Paese, si consente la crescita, come ripeto sempre, del Prodotto Esterno Lordo (PEL) e non del Prodotto Interno Lordo (PIL).
Una grande responsabilità in questa fase ritengo ricada sui Presidenti delle tre Regioni ed in modo particolare sul Presidente Emiliano della Regione Puglia; la Puglia in realtà è la cerniera chiave per le altre due Regioni; il Presidente Emiliano penso sappia bene che alla Presidenza del Consiglio non c’è più il Professor Conte e, quindi, la sua giunta appoggiata anche dal Movimento 5 Stelle, non credo possa continuare ad essere estranea da una attenta e capillare verifica da parte del Governo sulla prolungata stasi della Regione stessa. Il Presidente Draghi, infatti, non credo sia disposto ad accettare elencazioni clientelari di amministrazioni comunali dove finora non si è praticamente fatto nulla, non sia disposto ad accettare il ripetersi di convegni e di impegni rimasti tali. Draghi non può accettare che queste tre Regioni che potevano essere il motore della crescita dell’intero Mezzogiorno siano oggi una tragica zavorra per lo sviluppo del Paese.
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